Giorno per giorno – 15 Gennaio 2022

Carissimi,
“Gesù uscì di nuovo lungo il mare; tutta la folla veniva a lui ed egli insegnava loro. Passando, vide Levi, il figlio di Alfeo, seduto al banco delle imposte, e gli disse: Seguimi. Ed egli si alzò e lo seguì” (Mc 2, 13-14). Ieri avevamo visto che è la parola del perdono che rende posssibile la conversione, non viceversa. Il vangelo di oggi ce ne offre la conferma. Non era uno scherzo dove si trovava e cosa stesse facendo Levi, quando Gesù lo vide e gli disse di seguirlo. Peggio che lo avesse trovato con un grimaldello a svaligare una cassaforte, o in un postribolo, o nel letto sbagliato, o a trafficare droga. E tuttavia, non ci pensa su neanche un minuto: Sei il tipo che fa per me, seguimi. Più sorprendente ancora è la reazione dell’altro, che si alza e lo segue, senza proferire verbo. Per intendere ciò che significava la chiamata e capire l’insensatezza del suo vivere e pentirsente, a partire da un perdono di cui mai si era sognato di aver bisogno, ci sarebbe stato tempo. Un tempo anche maggiore ci sarebbe voluto per i suoi compagni di misfatti, che senza ancora lasciare di compierli, presero a mettersi spesso a tavola con quel maestro così fuori dalle norme, un “rabbi di strada” si sarebbe detto, che non temeva di contaminarsi in loro compagnia, per lo sconcerto di devoti e benpensanti. Matteo (per la tradizione, il Levi del racconto) se ne sarebbe ricordato a suo tempo, quando sorse il problema nella sua comunità se ammettere al banchetto eucaristico notori peccatori o restare in attesa di una conversione che tardava. Gli sarebbero tornati alla mente l’insegnamento e la prassi pastorale di Gesù, in risposta allo scandalo dei farisei: “Non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati; non sono venuto per chiamare i giusti, ma i peccatori” (v. 17). Già, solo l’accoglienza e il perdono rendono possibile la conversione ad una vita proiettata nel dono.

Oggi è memoria di don Zeno Saltini, profeta di una società fraterna, e di Olivier Clément, teologo ortodosso e testimone di ecumenismo.

Zeno Saltini era nato, nono di dodici fratelli, il il 30 agosto 1900, a Fossoli di Carpi (Mo). A quattordici anni, lasciati gli studi, scelse di lavorare nei poderi della famiglia, entrando così in contatto con la dura realtà dei braccianti. Dopo il servizio militare, l’intenzione di difendere come avvocato coloro che non potevano pagarsi un difensore, lo portò a laurearsi in legge, e poi a decidere di farsi prete, per cercare piuttosto di prevenire che ci fossero quelli che finiscono in galera. Quando, nel 1931, celebrò la sua prima messa, adottò come figlio un ragazzo di 17 anni appena uscito dal carcere. Sarà il primo di molti. Dieci anni dopo, una ragazza fuggita di casa accettò di diventare la mamma “di vocazione” dei più piccoli tra gli ospiti di quella strano prete. Anche lei seguita da molte altre. Alla fine della seconda guerra mondiale (durante la quale molti componenti integrarono le file della resistenza antinazista), occupato il campo di concentramento di Fossoli, vicino a Carpi, don Zeno e i suoi costruirono la loro città. Accanto alle famiglie di mamme di vocazione si formarono le prime famiglie di sposi, che chiesero a don Zeno di accogliere i figli abbandonati, decisi ad amarli come quelli che sarebbero nati dal loro matrimonio. Nacque così Nomadelfia, che significa “Dove la fraternità è legge”. Le pressioni politiche dei partiti di destra e la difficile situazione economica degli anni che seguirono portarono al tentativo di “abolire” Nomadelfia. Il Sant’Ufficio ordinò a don Zeno di lasciare. Costretti ad abbandonare Fossoli, i nomadelfi si rifugiarono a Grosseto, in una grande tenuta da bonificare, frutto di una donazione. Per restare fedele alla sua famiglia, il prete chiese ed ottenne dal Papa, nel 1953, la rinuncia all’esercizio del sacerdozio. Anni più tardi, quando, nel 1961 i nomadelfi si diedero una nuova Costituzione come associazione civile, don Zeno chiese alla Santa Sede di riprendere l’esercizio del sacerdozio. Il 22 gennaio 1962 celebrò la sua “seconda prima messa”. Il papa, ricevendo i Nomadelfi, nell’agosto 1980, per una serata di festa, disse: “Se siamo chiamati ad essere figli di Dio e tra noi fratelli, allora la regola che si chiama Nomadelfia è un preavviso e un preannuncio di questo mondo futuro dove siamo chiamati tutti”. Qualche mese dopo, don Zeno, colpito da infarto, moriva a Nomadelfia. Era il 15 gennaio 1981.

Olivier Clément nacque ad Aniane, in Llenguadoc (Francia), il 17 novembre 1921, e crebbe in una famiglia agnostica. Dopo gli studi all’Università di Montpellier, cominciò ad interessarsi alla storia del cristianesimo e alle chiese orientali. Più tardi, sotto l’influenza degli scritti di Berdiaev e di Looskij, del quale divenne allievo ed amico, si convertì al cristianesimo, chiedendo ed ottenendo di essere battezzato nella parrocchia francofona del Patriarcato di Mosca a Parigi. Insegnò per molto tempo storia al Lycée Louis-le-Grand a Parigi e fu professore all’Istituto di Teologia Ortodossa San Sergio, affermandosi come uno dei teologi più stimati dell’Oriente ortodosso e, certo, uno tra i più attenti agli interrogativi della modernità, cui cercò di rispondere con una riflessione insieme profonda e poetica, in una ripresa sempre creativa e innovatrice della tradizione. Dal 1967 al 1997, fu membro del comitato misto di dialogo teologico cattolico-ortodosso e degli incontri bilaterali fra ortodossi e protestanti. Negli ultimi decenni è stato interlocutore di grandi figure della vita delle chiese dell’ultimo secolo; tra gli altri: il Patriarca Atenagora di Costantinopoli, Giovanni Paolo II, il prete e teologo rumeno Dumitru Stăniloae, l’archimandrita Sofronio del monastero di Maldon (Gran Bretagna), Frère Roger Schutz di Taizé. Ma, più ancora, ha avuto un ruolo determinante e significativo nell’orientare e aiutare la ricerca di senso, il cammino di fede, il desiderio di dialogo, di molti altri. Clément si è spento a Parigi, il 15 gennaio 2009.

I testi che la liturgia odierna propone alla nostra riflessione sono tratti da:
1° Libro di Samuele, cap.9, 1-4. 17-19; 10, 1. Salmo 21; Vangelo di Marco, cap.2, 13-17.

La preghiera del sabato è in comunione con le comunità ebraiche della diaspora e di Eretz Israel.

Oggi ricordiamo anche la nascita di Martin Luther King Jr., pastore battista, apostolo della resistenza non violenta, eroe e paladino degli ultimi ed emarginati, assassinato il 4 aprile 1968. Pur facendone memoria nella data della morte, vogliamo ricordarlo anche oggi con queste sue parole: “Ora ci troviamo di fronte al fatto che il domani è già oggi. Ci troviamo di fronte alla feroce urgenza dell’adesso. In questo enigmatico dispiegarsi della vita e della storia c’è qualcosa che ci dice essere già troppo tardi… C’è un libro invisibile della vita che registra fedelmente la nostra vigilanza o la nostra negligenza… Ora cominciamo. Ora ridedichiamoci alla lunga e amara – ma bellissima – lotta per un mondo nuovo. Questa è la chiamata dei figli di Dio, e i nostri fratelli aspettano con ansia la nostra risposta” (Beyond Vietnam: A Time to Break Silence”, Discorso nella Riverside Church, a New York, 4 Aprile 1967).

È tutto, per stasera. Noi ci si congeda qui, offrendovi in lettura una pagina di Don Zeno, tratta dal suo libro “L’uomo è diverso” (Edizioni di Nomadelfia), che è, così per oggi, il nostro

PENSIERO DEL GIORNO
I mansueti non sono degli imbecilli, sono degli eroi. Mediocri non lo possono essere, perché per essere mansueti bisogna superare le forze più potenti del “mondo”: vincere se stessi, rinnegare se stessi, e piegarsi alla Legge; non credere ciecamente a se stessi, ma solo a ciò che è da Dio anche in se stessi. La mansuetudine è un titanico atto di volontà. Il mansueto non è servile, tutt’altro è. È un uomo o una donna che si drizzano invincibili contro se stessi ogni volta che l’assecondare se stessi significa scendere alla animalità ed all’errore; che si drizzano invincibili contro chiunque voglia piegarli alla animalità ed all’errore; mentre si piegano sempre alla volontà di Dio che essi sanno ben distinguere da quella degli uomini anche quando la volontà di Dio viene espressa attraverso gli uomini o attraverso gli eventi. L’universo è nelle loro mani perché si muovono con le mani, con il cuore e con il cervello di Dio. Sono “gli eredi della terra”, i legittimi eredi del padrone assoluto della terra. “Beati i mansueti, perché erediteranno la terra”. È gente che sa prendere in mano se stessa e consegnarsi nelle mani di Dio. Per molti il Vangelo è come una fosforescente utopia; ma per essi è l’essenza della vita. Per i mansueti il Vangelo è come per gli uccelli l’aria: volteggiano in essa mentre la respirano. (Don Zeno di Nomadelgia, L’uomo è diverso).

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 15 Gennaio 2022ultima modifica: 2022-01-15T22:34:58+01:00da fraternidade
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