Giorno per giorno – 27 Dicembre 2021

Carissimi,
“Giunse intanto anche Simon Pietro che lo seguiva ed entrò nel sepolcro e vide le bende per terra, e il sudario, che gli era stato posto sul capo, non per terra con le bende, ma piegato in un luogo a parte. Allora entrò anche l’altro discepolo, che era giunto per primo al sepolcro, e vide e credette” (Gv 20, 6-8). “L’altro discepolo” è quello che il Vangelo nomina solo come il “discepolo amato”, senza specificarne il nome. Tradizionalmente è stato identificato con l’apostolo Giovanni, di cui oggi si celebra la memoria. Ma è più facile che non se ne faccia il nome, perché tutti possano identificarsi con lui. Amati, infatti, da Dio lo si è tutti, prima che, e affinché, noi lo si possa poi amare. C’è chi lo scopre prima, chi dopo, chi solo lo intuisce, lo spera o forse non ci pensa proprio, ma non per questo Dio lo ama di meno. Certo, se c’è qualcuno che si sente non amato, Dio fa il possibile perché si senta amato, proprio come con chi si sente perduto, farà di tutto perché si senta salvato. La storia della salvezza si riassume in questo. Chi crede di non essere perduto e di non avere perciò bisogno di salvezza, faticherà a rendersi conto di quanto questa salvezza si destini anche a lui. Ecco perché, nel mistero che celebriamo in questi giorni, Dio si dà a conoscere a chi nella società vive ai margini, come, allora, in quel determinato contesto, i pastori: da non-amati si scoprono amati, destinatari della notizia, di cui saranno i primi evangelisti, che fa sapere al mondo che il Dio-che-salva è nascosto in quel batuffolo di carne appena nato, che troveranno avvolto in fasce, deposto in una mangiatoia, come fosse uno qualunque dei loro figliolini, anzi meno ancora. Che segno mai è questo? Noi lo si sarebbe detto un non-segno, eppure loro credettero e noi lo crediamo sulla loro parola. Così il discepolo amato di oggi, amato perché non-amato, al notare la tomba vuota, le fasce a terra e il sudario ripiegato a parte, segni di niente, non-segni per chi ancora non si senta raggiunto dall’amore di Dio, che pure ci porta tutti tra le sue braccia, egli vide questi non-segni e credette. Credette che c’è un amore più forte della morte, che è la ragione e avrà ragione di tutto. In cui vale la pena di credere.

Nel Terzo giorno dell’Ottava di Natale la chiesa celebra anche la memoria di Giovanni, apostolo ed evangelista. Assieme, noi ricordiamo le figure di quattro Padri Bianchi: Charles Deckers, Alain Dieulangard, Jean Chevillard, Christian Chessel, martiri in Algeria.

Giovanni era figlio di Zebedeo e di Salome, fratello di Giacomo, con cui doveva formare una coppia mica male se erano chiamati i “figli del tuono”. Discepolo, forse giovanissimo, di un altro Giovanni, il precursore, l’aveva lasciato per seguire colui che il Battista aveva additato come “l’agnello di Dio che prende su di sé il peccato del mondo”. Non immune da qualche intemperanza (cf Lc 9,54) e da qualche ambizione di troppo (cf Mc 10,37), seppe però vivere nell’intimità del Maestro, apprendendo a decifrarne la Verità più profonda e condividendo con Maria gli ultimi istanti di vita di Gesù, ai piedi della croce. Una tradizione molto antica vuole che sia vissuto a lungo, fino alla fine del I secolo, a Efeso, contribuendo con la sua testimonianza e il suo insegnamento alla redazione del Quarto Vangelo e degli altri scritti neotestamentari che portano il suo nome. C’è chi vede nella figura del discepolo amato la sovrapposizione di due personaggi: il figlio di Zebedeo e un altro Giovanni, più giovane, forse appartenente ad una famiglia dell’aristocrazia sacerdotale di Gerusalemme, che avrebbe conosciuto Gesù e che sarebbe entrato a far parte della cerchia del primo, facendone sua la memoria e approfondendone la riflessione. È a costui che si dovrebbe forse la stesura dell’Apocalisse.

Charles Deckers era nato ad Anvers (Belgio), nel 1924, in una famiglia di nove figli. Arrivato in Algeria nel 1955, durante la guerra d’Indipendenza, nel 1956 aveva creato a Tizi-Ouzou “Lemâaouna” (Aiuto reciproco), un’associazione con lo scopo di visitare i prigionieri musulmani, insegnare il berbero e l’arabo, dare una mano ai poveri. Chi l’ha conosciuto ripete di lui : “Era un santo!”. Alain Dieulangrand, originario di St. Brieuc in Bretagna (Francia), dov’era nato nel 1919, era giunto in Algeria nel 1952. Avrebbe passato 44 anni della sua vita in Kabilia. Lo chiamavano “nonno”. Anche i musulmani ricorrevano a lui per confidargli i loro tormenti. Jean Chevillard, nato ad Angers (Francia) nel 1925, in una famiglia di 15 figli era stato ordinato prete nel 1950. In Algeria aveva creato numerosi centri di formazione professionale. Il giorno della sua morte aveva confidato ad alcuni amici: “So che morirò assassinato”. Christian Chessel, il più giovane del gruppo, era nato a Digne (Francia), nelle Alpi, nel 1958. Ingegnere del genio civile, fu mandato a Tizi-Ouzou nel 1993 e, l’anno successivo, fu nominato responsabile della comunità. Sognava di creare una grande biblioteca per i giovani della zona, ma non gliene hanno dato il tempo. La mattina del 27 dicembre 1994, una banda armata irruppe nella casa dei Padri Bianchi a Tizi Ouzou, a circa 60 chilometri da Algeri. Tre o forse quattro individui, arrivati a bordo di un furgone, si introdussero nel cortile, con l’obiettivo evidente di sequestrare i religiosi. Ostentando un documento della polizia, intimarono ai padri di seguirli “per discutere un problema”. Ammalato e con difficoltà a camminare, il P. Chevillard fu trascinato fuori a forza e ucciso freddamente. Subito dopo fu la volta degli altri tre sacerdoti. I tre padri che abitavano a Tizi Ouzou e il P. Deckers, arrivato il giorno prima da Algeri, avevano scelto di restare in Algeria, malgrado il pericolo a cui erano esposti. Molto attivi nell’aiuto sociale ai bisognosi, la loro vita quotidiana era divisa tra l’impegno di sostenere moralmente e materialmente la gente e la preghiera. Centinaia di persone, per lo più di fede islamica, seguirono il giorno dopo i funerali dei quattro imrabden irumyen, i santoni francesi. Come li chiamava la loro gente.

I testi che la liturgia propone alla nostra riflessione sono propri della memoria del Discepolo amato e sono tratti da:
1ª Lettera di Giovanni, cap. 1,1-4; Salmo 97; Vangelo di Giovanni, cap. 20,2-8.

La preghiera di questo lunedì è in comunione con le grandi religioni dell’India: Vishnuismo, Shivaismo, Shaktismo.

Poco prima della sua ordinazione sacerdotale, e per invitarli ad essa, Christian Chessel inviò una lettera alla sua famiglia e ai suoi amici per condividere con loro ciò che questo impegno significava per lui. Li preparò anche per la celebrazione dell’ordinazione stessa, con i suoi riti liturgici. Nel congedarci ve ne offriamo alcuni estratti, che troviamo nel sito di “Nice catholique”, come nostro

PENSIERO DEL GIORNO
Alla fine di un lungo periodo di formazione, mi rendo conto di quanto solo la fedeltà di Dio e la sua grazia mi abbiano permesso di andare avanti – a volte a tentoni – e di rispondere alla sua chiamata. Essere così chiamati è un invito a donare la propria vita a tutti. Una chiamata ad essere, in mezzo a tutti e per tutti, testimone della bontà e dell’amore di Dio per tutti gli esseri umani. Diventare sacerdote missionario è essere chiamato a testimoniare in modo più particolare questo aspetto universale della missione della Chiesa: essere vicino a chi è lontano, geograficamente o spiritualmente, per dire a tutti che in Gesù Cristo, Dio si è fatto per sempre vicino all’uomo fino a divenire uno di noi; e che si è fatto vicino a tutti, uomini e donne di ogni razza, lingua, popolo, cultura, in una tale vicinanza di amore e di vita da aprirci per sempre la via di una comunione di amore con Dio. Allo stesso tempo, ricevere una missione del genere richiede molta modestia, per non dire umiltà. Questo ministero, se vuole essere un ministero di servizio a Dio e di servizio agli uomini, non può che essere radicato in un profondo rispetto per le coscienze, i valori, le culture, come per la storia propria di ciascuno. Andare in missione significa prima di tutto imparare a togliersi i sandali davanti alla terra santa che l’altro rappresenta; è imparare che “il servo non è maggiore del suo padrone” (San Giovanni 13,16). Il rinnovamento e l’espansione del mondo musulmano oggi mi sembra un “segno dei tempi” al quale dobbiamo renderci presenti e attenti. Significa intraprendere la strada difficile ma appassionante della scoperta di un’altra religione e di un’altra cultura, delle sue tradizioni e dei suoi valori, in modo da poter mantenere un vero dialogo basato sul rispetto dell’altro senza nulla negare della propria fede o delle esigenze di proclamare il Vangelo (Christian Chessel, Se faire proche de ceux qui sont loin).

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 27 Dicembre 2021ultima modifica: 2021-12-27T22:53:48+01:00da fraternidade
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