Giorno per giorno – 26 Dicembre 2021

Carissimi,
“Al vederlo restarono stupiti e sua madre gli disse: Figlio, perché ci hai fatto così? Ecco, tuo padre e io, angosciati, ti cercavamo. Ed egli rispose: Perché mi cercavate? Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio? Ma essi non compresero le sue parole” (Lc 2, 48-50). Non è che Gesù si fosse smarrito, lui infatti, (certo, un po’ precoce il ragazzo!), si dimostra ben consapevole delle sue scelte. Ad averlo perso sono i due benedetti genitori (e i commentatori ce l’hanno messa tutta per cercare di giustificarne la distrazione). Forse, però, l’evangelista, portandocene l’esempio, ha voluto mettere tranquilli noi, come a dire: non preoccupatevi, succede a tutti. Nelle famiglie, nelle comunità, nelle chiese e a ciascuno di noi. A volte, ce lo siamo già persi, pur essendo convintissimi di averlo in mezzo a noi, ma non è lui, è solo un santino delle nostre devozioni. E meno male che, di punto in bianco, ce ne accorgiamo e ci si mette in ricerca. Al trovarlo, anche noi potremmo interrogarlo stupiti, smarriti, angosciati: perché ci hai fatto questo? Sarà stata la nostra notte oscura. E la sua risposta sarà: l’ho fatto perché mi trovaste dove io sempre sto. Occupato nelle cose del Padre mio. Il quale a sua volta è occupatissimo a seguire come vanno le cose del mondo. Ritrovare Gesù vuol dire dunque ritrovare il Gesù vero, non quello delle nostre fantasie, ma quello che si allena a come tradurre la volontà di Dio in mezzo agli uomini, nel dono incondizionato di sé, nel servizio generoso, nella condivisione amorosa, nell’instancabile perdono. Che è poi tutto ciò che Gesù farà lungo la sua vita, fino all’ultimo. È questo ciò di cui ci si dovrebbe preocccupare nelle famiglie, nelle comunità, nelle chiese, e nella vita di ognuno di noi: occuparsi delle cose di Dio, cioè della cura del mondo.

Oggi, Domenica nell’Ottava di Natale è la Festa della santa Famiglia di Nazareth.

I testi che la liturgia propone alla nostra riflessione sono tratti da:
Libro del Siracide, cap. 3, 3-7.14-17a; Salmo 128; Lettera ai Colossesi, cap. 3,12-21; Vangelo di Luca, cap. 2, 41-52.

La preghiera della Domenica è in comunione con tutte le comunità e chiese cristiane.

Se non fosse per il fatto di coincidere con la domenica, il Secondo Giorno dell’Ottava di Natale farebbe memoria del diacono Stefano, primo martire. A cui noi aggiungiamo quella di Jean-Marc Ela, presbitero e teologo africano.

Secondo il racconto che ne fanno gli Atti degli Apostoli, Stefano era un ebreo della diaspora, che, dopo aver accettato il cristianesimo, fu incaricato assieme ad altri sei di provvedere alla cura dei poveri della comunità. Denunciato dinanzi al Sinedrio da un gruppo di ex-correligionari di parlare contro il Tempio e contro la Legge, si produsse in un’autodifesa che ne peggiorò la situazione, al punto che “quelli del tribunale… si turarono le orecchie e gridarono a gran voce; poi si scagliarono tutti insieme contro Stefano, lo trascinarono fuori città per ucciderlo a sassate. I testimoni deposero i loro mantelli presso un giovane, un certo Saulo, perché li custodisse. Mentre gli scagliavano addosso le pietre, Stefano pregava così: ‘Signore Gesù, accogli il mio spirito’. E cadendo in ginocchio, gridò forte: ‘Signore, non tener conto del loro peccato’. Poi morì” (At 7, 57 ss). C’è solo da aggiungere che quel Saulo diventerà poi san Paolo, quasi a significare che, insomma, c’è speranza davvero per tutti!

Nato a Ebolowa, in Camerun, il 27 settembre 1936, Jean-Marc Ela fu prete, teologo, sociologo e professore. Studiò teologia e filosofia all’Università di Strasburgo, in Francia, e passò sedici anni come missionario a Tokombere, tra i Kirdi del Camerun nord-occidentale, accanto alla figura carismatica di Baba Simon, da molti considerato una sorta di san Paolo africano. L’opera che lo fece conoscere fu “La mia fede d’Africano”, apparso in francese nel 1985 e poi tradotto in inglese, tedesco e italiano. Il libro denunciava l’imposizione da parte della Chiesa in Africa di un modello di fede che ignorava del tutto i bisogni reali della popolazione, soprattutto delle comunità rurali. Attraverso un’analisi accurata dei sacramenti, dell’ermeneutica biblica e della prassi missionaria, identificava le vie attraverso cui la tradizione cattolica manteneva gli africani dipendenti nei confronti dell’Europa. Da parte sua, si faceva sostenitore di un’inculturazione della fede che rispettasse, riscattasse e valorizzasse la maniera d’essere della sua gente. Animato, assillato, inquietato dalle figure di Gesù di Nazareth, da quella di Abele, il cui grido giunge fino a Dio e ne provoca la domanda ai Caini di ogni tempo: che hai fatto di tuo fratello?, e da quella rappresentata dal mondo dei più deboli, degli oppressi e degli esclusi, che riassumeva e riviveva nella sua carne la passione dell’uno e dell’altro, Ela collocò la sua teologia al servizio di quel progetto. Critico del potere politico del suo Paese, nonché delle omissioni e delle collusioni della gerarchia ecclesiastica nei confronti di quello, dopo l’assassinio di padre Engelbert Mveng, il 22 aprile 1995, si recò in esilio nel Québec, dove continuò ad insegnare Sociologia nell’Universitá di Laval, a Montreal, fino alla morte, avvenuta il 26 dicembre 2008. Fu sepolto nel suo paese natale, a Ebolowa, in Camerun.

Stamattina, poco prima della celebrazione eucaristica in monastero, ci ha raggiunto la dolorosa notizia della scomparsa, a Città del Capo, del novantenne arcivescovo anglicano Desmond Tutu, icona della lotta non violenta contro l’apartheid, premio Nobel per la pace nel 1984 e protagonista della riconciliazione nazionale. Che, da ora, diventerà una memoria in più nella vita di questa nostra comunità. Nel congedarci, scegliamo di offrirvi in lettura un brano del suo discorso di accettazione del Premio Nobel, tenuto a Oslo, l’11 dicembre 1984. Ed è, così, questo, per oggi, il nostro

PENSIERO DEL GIORNO
Poiché c’è insicurezza globale, le nazioni sono impegnate in una folle corsa agli armamenti, spendendo inutilmente miliardi di dollari in strumenti di distruzione, quando milioni muoiono di fame. Eppure, solo una frazione di ciò che viene speso in modo così osceno nei budget della difesa farebbe la differenza nel consentire ai figli di Dio di riempirsi lo stomaco, ricevere un’istruzione e avere la possibilità di condurre una vita soddisfatta e felice. Abbiamo la capacità di nutrirci più volte, ma siamo quotidianamente ossessionati dallo spettacolo degli scarni avanzi dell’umanità che si trascinano in file senza fine, con ciotole per raccogliere ciò che la carità del mondo ha fornito, troppo poco e troppo tardi. Quando impareremo, quando le persone del mondo si alzeranno e diranno: Basta. Dio ci ha creati per la comunione. Dio ci ha creati perché formassimo la famiglia umana, esistendo insieme perché fatti l’uno per l’altro. Non siamo fatti per l’autosufficienza esclusiva, ma per l’interdipendenza, e infrangiamo la legge del nostro essere a nostro rischio e pericolo. Quando impareremo che un’escalation della corsa agli armamenti non fa che aumentare l’insicurezza globale? Ora siamo molto più vicini a un olocausto nucleare rispetto a quando la nostra tecnologia e le nostre spese erano inferiori. A meno che non lavoriamo assiduamente affinché tutti i figli di Dio, i nostri fratelli e sorelle, membri della nostra unica famiglia umana, tutti godano dei diritti umani fondamentali, del diritto a una vita piena, del diritto di movimento, del lavoro, della libertà di essere pienamente umano, con un’umanità misurata nientemeno che dall’umanità di Gesù Cristo stesso, allora siamo inesorabilmente sulla strada dell’autodistruzione, non siamo lontani dal suicidio globale; eppure potrebbe essere così diverso. Quando impareremo che gli esseri umani hanno un valore infinito perché sono stati creati a immagine di Dio, e che è una bestemmia trattarli come se fossero meno di questo e farlo in ultima analisi ripugna a coloro che lo fanno? Nel disumanizzare gli altri, sono essi stessi disumanizzati. Forse l’oppressione disumanizza l’oppressore tanto quanto, se non di più, l’oppresso. Hanno bisogno l’uno dell’altro per diventare veramente liberi, per diventare umani. Possiamo essere umani solo nella comunione, nella comunità, nella koinonia, nella pace. (Desmond Tutu, Nobel Lecture, December 11, 1984).

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 26 Dicembre 2021ultima modifica: 2021-12-26T22:52:46+01:00da fraternidade
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