Giorno per giorno – 25 Dicembre 2021

Carissimi,
“Non temete, ecco vi annunzio una grande gioia, che sarà di tutto il popolo: oggi vi è nato nella città di Davide un salvatore, che è il Cristo Signore. Questo per voi il segno: troverete un bambino avvolto in fasce, che giace in una mangiatoia” (Lc 2, 10-12). Da allora Dio è così. E solo così. Il più piccolo nel regno dei cieli. Cioè, in una terra che viva nella logica di Dio. Per celebrarlo, ci siamo trovati, ieri, al calar della notte, nella chiesa del monastero, che ci regala, in queste occasioni, emozioni forti, ben ancorate tuttavia al reale. L’Emanuele, il Dio-con-noi, spogliatosi di ogni potere, ancor più se, come è spesso immaginato, magico, scende per condividere la vita, i sogni e le lotte dei più poveri [di ogni povertà] ed ultimi, recando loro solo una certezza, quella della sua inseparabile compagnia. È quanto permette di continuare a vivere, a impegnarsi, a sperare in un’umanità che, alla fine, istruita dalla sua parabola, possa sentirne il richiamo e ritornare sui passi che, dalle origini, l’hanno allontanata dalla vita vissuta nell’intimità con Dio, nella forma dell’amicizia e del reciproco dono gioioso.

Oggi, celebriamo dunque il Natale del Signore.

Anticamente, nelle chiese d’Oriente, la nascita di Cristo veniva festeggiata il 6 gennaio, col nome di Epifania, che significa “manifestazione” ed era associata alle altre teofanie con cui il Verbo di Dio si era fatto conoscere: al mondo (nella figura dei magi), al popolo ebreo (durante il battesimo), e ai discepoli (alle nozze di Cana). Sarà solo nella seconda metà del secolo IV, che la chiesa di Roma volle sostituire la festa pagana del 25 dicembre, quel “Natale del Sole Invitto” che, dopo la notte più lunga dell’anno, segnava l’inizio della rivincita del sole sulle tenebre invernali, con la celebrazione cristiana del Natale di Cristo, proclamato come il vero Sole di giustizia, venuto a illuminare e liberare quanti giacciono nelle tenebre dell’oppressione e dell’ingiustizia. Annuncio di una Pace, che è insieme salute, salvezza, gioia, vita felice, dignitosa, piena, benessere materiale e spirituale, per ciascuno e per la comunità nel suo insieme.

I testi che la liturgia di questa Solennità del Natale di Gesù propone alla nostra riflessione sono tratti da:
Profezia di Isaia, cap.9, 1-6; Salmo 96; Lettera a Tito, cap.2, 11-14; Vangelo di Luca, cap, 2, 1-14.

Anche se un po’ sottovoce, per la coincidenza con il Natale, ricorderemo che il nostro calendario ci porta oggi la memoria di due figure che ci sono particolarmente care: quella del filosofo Emmanuel Lévinas, profeta dell’alterità, e quella di Paul Gauthier, testimone silenzioso di solidarietà.

Emmanuel Lévinas era nato il 12 gennaio 1906 (corrispondente nel calendario giuliano al 30 dicembre 1905), a Kaunas, in Lituania, da una famiglia ebrea che, emigrata in Ucraina alla fine della 1ª Guerra mondiale, fece ritorno in patria allo scoppio della rivoluzione d’ottobre. Nel 1923, all’età di 17 anni Lévinas si trasferì in Francia, per compiere i suoi studi all’università di Strasburgo. Nel biennio 1928-29, frequentò invece l’Università di Friburgo, dove ebbe come professori i filosofi Edmund Husserl e Martin Heidegger, dei quali farà conoscere il pensiero in Francia all’inizio degli anni 30. Durante la 2ª Guerra mondiale, la sua famiglia, rimasta in Lituania, scomparve negli orrori dell’Olocausto, mentre lui, come cittadino e soldato francese, fu mandato ai lavori forzati in campo di concentramento in Germania. La moglie Raissa, una musicista viennese da lui sposata nel 1932, e la figlia, Simone Hansel, vissero invece nascoste in un convento francese. L’altro figlio della coppia, Michael, sarebbe nato solo in seguito. La filosofia propria di Lévinas si venne precisando dopo la fine della Guerra. Estraneo alle problematiche metafisiche e epistemologiche, egli proponeva la “responsabilità etica personale per l’altro” come punto di partenza del suo pensiero. L’enfasi da lui posta su questo tema, il suo impegno a favore dell’ebraismo, il suo ricorso a un linguaggio spiccatamente religioso e i numerosi commenti a brani della Bibbia e del Talmud ne fecero un pensatore unico, distante dagli esiti scettici e nichilisti di molta filosofia contemporanea. Morì il 25 dicembre 1995.

Nato il 30 Agosto 1914 in Borgogna (Francia), Paul Gauthier era entrato giovanissimo in seminario a Digione, rimanendovi poi come professore di teologia. Stanco dei privilegi comunque legati allo stato ecclesiastico, aveva partecipato per qualche tempo all’esperienza dei preti-artigiani (Roma aveva proibito il lavoro salariato), portata avanti dal domenicano Jacques Loew e poi aveva deciso di recarsi a Nazareth, a lavorare come Gesù. Aveva scritto nel suo diario: “Dal giorno in cui, attraverso le sue creature che vivono nella miseria e nella più dura fatica, il Signore Gesù mi aveva fatto sentire questo duro rimprovero: ‘Io sono povero: ma tu non vivi con me e per me’, sento il desiderio di andare a vivere e a lavorare in mezzo ai poveri e agli operai”. In seguito, altri uomini e donne si sarebbero uniti a lui, scegliendo di chiamarsi Compagni e compagne di Gesù Carpentiere. Profeta scomodo, radicale, intransigente, sempre più insofferente del quietismo e dell’indifferenza per le tragedie dei poveri, di cui vedeva caratterizzate le Chiese, avrebbe ritenuto giusto, negli anni seguenti, per fedeltà ai “popoli che hanno fame e sete di giustizia”, sciogliere ogni legame residuo con l’istituzione ecclesiastica. Con Marie Thérèse Lacaze (Myriam), la prima delle Compagne, decise di creare una famiglia, adottando due bimbi indiani, Shanty e Nirmal, fermo nel suo impegno di attenzione e immedesimazione con i poveri, nell’azione a favore di una Palestina pacificata nella giustizia, nella difesa della Creazione e nella cura premurosa della sua famiglia. Morì il 25 dicembre 2002, in un piccolo appartamento di Marsiglia. Ai suoi funerali, celebrati il 28 seguente nella chiesa ortodossa di San Giorgio, assieme ai suoi cari, poche decine di persone: cristiani, ebrei, musulmani e non credenti.

Ed è tutto, per stasera. Noi ci si congeda qui, offrendovi in lettura una citazione di Giovanni Vannucci, tratta da una sua riflessione sui simboli della Natività, che troviamo nel suo “La vita senza fine. Commenti ai Vangeli festivi dell’anno liturgico – ciclo C” (Servitium). Che è, così, per oggi, il nostro

PENSIERO DEL GIORNO
Nella grotta incontriamo la Vergine-Madre e il Fanciullo adagiato nella “mangiatoia”. La mangiatoia di cui parla l’evangelista Luca non è la greppia delle nostre stalle, ma la cesta che serviva ai pastori per portarsi dietro il cibo per le lunghe soste nei pascoli. La Vergine-Madre depose il Figlio nella sporta per il cibo dei pastori, e anche questo è un “segno” di riconoscimento del nuovo uomo, la cui novità si rivelerà nell’essere pane e vino per la fame e la sete dei cuori umili, dei pastori. Nell’umile e necessaria sporta degli alimenti troviamo un Fanciullo fragile e indifeso. Egli rappresenta l’annullamento di tutte le immagini, di tutti i nomi con i quali l’uomo, potente e assetato di potenza, aveva rivestito il mistero di Dio. L’Onnipotente diventa impotente, Fanciullo indifeso e bisognoso del tepore di un senso di Donna, di una culla; il Tremendo diventa dolcissimo; il Condottiero di eserciti, un Fanciullo fragile, attorniato di luce e di canti che invitano alla pace. Così la grotta, la Vergine-Madre, il Fanciullo sono i simboli dell’annullamento di quanto l’uomo ha tentato di costruire negando la semplicità e la sanità della vita. La grotta, la Vergine-Madre, il Fanciullo sono il rovesciamento dei templi, dei riti, delle ideologie che nascono dall’affermazione di sé e dall’avidità. In questa grotta vogliamo entrare anche noi per riconoscere il Fanciullo e la vergine che vi si rivelano. Nella grotta non ci sono soltanto dei complessi di distruzione e di libidine, di crudeltà e di paura, ma anche un complesso divino, un complesso immacolato e verginale. Complesso questo più forte dell’istinto di conservazione, superiore alla sessualità: per esso l’uomo rinnega se stesso, rinuncia alla carne e al sangue perché in lui Cristo divenga carne. (Giovanni Vannucci, I simboli della Natività, in “La vita senza fine”).

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 25 Dicembre 2021ultima modifica: 2021-12-25T22:49:52+01:00da fraternidade
Reposta per primo quest’articolo