Giorno per giorno – 07 Giugno 2021

Carissimi,
“Vedendo le folle, Gesù salì sulla montagna e, messosi a sedere, gli si avvicinarono i suoi discepoli. Prendendo allora la parola, li ammaestrava dicendo: “Beati i poveri in spirito, perché di essi è il regno dei cieli. Beati gli afflitti, perché saranno consolati” (Mt 5, 1-4). Stamattina, ci dicevamo che nelle otto Beatitudini che aprono il “Discorso della montagna” è possibile leggere in anteprima ciò che di Gesù verremo a sapere dal resto del Vangelo. E non solo di Gesù, ma di Dio, di cui Gesù è il volto visibile nella storia. E quindi anche di ciò che siamo chiamati ad essere come Chiesa, corpo di Cristo nel mondo, guidato dal suo Spirito, e di quale sia infine il volto di un’umanità redenta, ricreata a immagine di Dio. Paradosso dei paradossi, quanti Gesù designa come beati, felici, i poveri, come destinatari del Regno (che non è l’Aldilà, ma la presenza tra loro del Dio che regna nel servizio e nel dono di sé), sono quelli che la mentalità corrente di ogni tempo ci propone come sfortunati, disgraziati. Questo rovesciamento, tuttavia, non intende portarli ad accettare nell’immobilità il loro stato, come alcuni temono e altri vorrebbero. Quel che succede è, invece, che l’identificazione di Dio con essi viene orientando la storia, nella contestazione dei valori che la guidano, ad affermarne la centralità, trovare i modi di restituire dignità, consolarne le pene, saziarne la sete di giustizia, stabilire tra essi vincoli di solidarietà, di gratuità e perciò di vera pace. In questo si è concretizzata la pratica di Gesù, che, proprio per questo, è stato perseguitato, condannato e ucciso dai poteri del tempo. E da quelli di ogni tempo. Dio, tuttavia, si riserva l’ultima parola con la risurrezione. Che, per noi, non accade soltanto alla fine dei tempi, ma è anticipata, già qui ed ora, ogni volta che poniamo in essere l’agire di Gesù, confermando la verità delle beatitudini, cioè della gioia promessa ai poveri. Resta da chiederci: noi, viviamo davvero lo spirito delle Beatitudini?

Il nostro calendario ci porta oggi la memoria di Matt Talbot, il santo [ex]-bevitore.

Nato il 2 maggio 1856, a Dublino (Irlanda), secondo dei dodici figli di Charles e Elisabeth Talbot, Matt aveva trascorso la sua infanzia nella totale mancanza di sicurezza e di stabilità. Mai aveva frequentato regolarmente una scuola. A dodici anni trovò lavoro in un deposito di imbottigliamento di vino e fu qui che cominciò a bere smodatamente. Una sera, all’età di vent’otto anni, per strada s’imbatté in un prete, pensò tra sé: forse è il momento di smettere, almeno per un po’. Si confessò e promise di non bere per tre mesi. Molte volte sentì che non sarebbe riuscito a mantenere quella promessa, eppure dopo un anno rinnovò l’impegno di non bere mai più neppure una goccia di alcool. E furono 41 anni. Con l´aiuto del suo amico prete, modellò la sua vita su quella dei monaci irlandesi del VI e VII secolo: un rigoroso programma di lavoro manuale, preghiera (con al centro l’eucaristia), digiuno e carità. Distribuiva la maggior parte del suo salario ai poveri e, nello stesso tempo, era profondamente consapevole delle giuste lotte e rivendicazioni dei suoi compagni di lavoro. A questi e ai suoi vicini presentò sempre l’immagine amichevole di un uomo sorridente, realizzato e felice. Matt Talbot morì d’infarto il 7 giugno 1925. Dopo la morte, la sua fama di santità si diffuse rapidamente. Paolo VI lo dichiarò venerabile nel 1975.

I testi che la liturgia odierna propone alla nostra riflessione sono tratti da:
2ª Lettera ai Corinzi, cap.1, 1-7; Salmo 34; Vangelo di Matteo, cap.5, 1-12.

La preghiera di questo lunedì è in comunione con i fedeli del Sangha buddhista.

Non abbiamo, quanto meno sottomano, scritti di Matt Talbot. Scegliamo allora di congedarci con la pagina di un “prete di strada”, che ha scelto da tempo di condividere la vita, le lotte, le sconfitte, le vittorie di quanti hanno conosciuto a diverso titolo la via dell’emarginazione. La troviamo nel libro di Luigi Ciotti “La speranza non è in vendita” (Giunti Edizioni Gruppo Abele) ed è, per oggi, il nostro

PENSIERO DEL GIORNO
Marginali per eccellenza, secondo il senso comune, sono i tossicodipendenti: i tossici, come vengono talora definiti (e sappiamo l’importanza delle parole nella società delle comunicazioni) con termine evocativo di effetti devastanti, provocati dalla loro presenza sulla convivenza civile. L’arcipelago droga è complesso, variegato e in rapida trasformazione. Ci sono sostanze e sostanze: droghe pesanti e droghe leggere (unificate solo dal regime proibizionista che le accomuna), ma anche nuove droghe (spesso sommerse e poco conosciute quanto a effetti e modi d’uso) soprattutto farmaci; e poi consumatori e consumatori: da coloro che assumono droghe occasionalmente a chi riesce comunque a gestirsi, a chi ha perso ogni autonomia dalla sostanza. Anche questi ultimi non sono una categoria unitaria, né in termini di comportamenti né quanto a prospettive. E c’è bisogno per tutti, non di minimizzare, ma di accogliere e di rispettare. C’è bisogno di un contesto che si occupi delle persone e delle loro difficoltà, più che delle sostanze. E invece – lo segnalano i numeri del carcere, che mostrano più di 15.000 tossicodipendenti detenuti ogni anno – prevalgono la rimozione, la repressione, il rifiuto. E tutto si riduce alla previsione di divieti, nella illusoria (e irresponsabile) aspettativa che basti vietare per estirpare un fenomeno. (Luigi Ciotti, La speranza non è in vendita).

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 07 Giugno 2021ultima modifica: 2021-06-07T22:10:57+02:00da fraternidade
Reposta per primo quest’articolo