Giorno per giorno – 08 Giugno 2021

Carissimi,
“Voi siete la luce del mondo; non può restare nascosta una città che sta sopra un monte, né si accende una lampada per metterla sotto il moggio, ma sul candelabro, e così fa luce a tutti quelli che sono nella casa. Così risplenda la vostra luce davanti agli uomini, perché vedano le vostre opere buone e rendano gloria al Padre vostro che è nei cieli” (Mt 5, 14-16). La comunità che riesca a vivere lo spirito delle beatitudini è paragonata da Gesù al sale della terra e alla luce del mondo. La scelta è voluta, dato che, nella nostra esperienza, l’uno e l’altra esistono non per se stessi, ma in funzione di altro da sé: il sale è utilizzato da sempre per conservare carne e pesce e impedirne così la corruzione, come anche per insaporire gli alimenti, e la luce fa vivere la creazione e ne consente la visione in tutta la sua bellezza, come, d’altro canto, rende visibili minacce e pericoli che incombono. La missione della Chiesa di Gesù è, dunque, qualcosa di simile. Lungi dal pretendere che tutti siano come lei (sarebbe come se il sale volesse che tutto fosse sale, senza altri alimenti di cui valorizzare il sapore, e la luce tutto solo luce, senza nulla da illuminare), con la parola e con l’esempio, testimonia l’amore incondizionato che Dio ha per tutte le sue creature, nella loro infinita varietà. Affermare questo, e solo questo, è già mantenere al sale il suo sapore, e alla luce il suo splendore. Ovvero, il sapore/sapere della Croce, la luce della risurrezione.

Il calendario eecumenico ci ricorda oggi le figure di Matta el Meskin (Matteo il Povero), monaco copto e maestro spirituale; August Hermann Francke, teologo, pedagogo e filantropo pietista; e Mohammed, profeta dell’Islam.

Jussef Scandar era nato a Benha, el Kaliobia (Egitto), il 20 settembre 1919. Laureatosi brillantemente in farmacia all’Università del Cairo, aveva intrapreso con successo la professione, garantendosi uno stile di vita ricco e invidiabile. Ma, a 29 anni, sentendo la chiamata del Signore che gli chiedeva tutto, lasciò ogni cosa ed entrò in uno dei monasteri più poveri dell’Egitto, Deir Amba Samuil, a Qualmun, dove vivevano ormai solo pochi monaci vecchi e malati. Fu allora che prese il nome di Matta el Meskin. Alla fine degli anni cinquanta, decise di compiere una scelta ancor più radicale, optando per la vita eremitica, nel deserto di Wadi El Rayan, dove, qualche anno più tardi cominciarono a raccogliersi attorno a lui giovani monaci desiderosi di vivere come lui la radicalità dell’evangelo. Nel 1969 la piccola comunità rispose positivamente all’invito del papa Cirillo VI che la voleva nel deserto di Wadi El Natroun, per dare nuovo vigore all’antico monastero di San Macario, abitato da soli sei monaci. In pochi anni il centro spirituale avrebbe conosciuto una sorprendente rinascita spirituale e materiale, arrivando ad ospitare oggi oltre cento monaci e richiamando dai luoghi più disparati pellegrini alla ricerca dell’Assoluto. Matta el Meskin è morto come oggi, l’8 giugno del 2006.

August Hermann Francke nacque a Lubecca (Germania) il 22 marzo 1663. Conseguito nel 1686 il dottorato in teologia all’università di Lipsia, vi divenne professore di ebraico due anni più tardi. Convertito assai presto alle idee di Philipp Jakob Spener, il fondatore del movimento pietista, creò, sull’esempio di quello, delle scuole per la spiegazione pratica e devozionale delle Sacre Scritture, aperte ai suoi concittadini. Osteggiato dall’ortodossia luterana, fu dimesso dall’insegnamento e esonerato dall’incarico di pastore. Accettò allora l’invito di Spener di insegnare lingue orientali nell’Università di Halle, e nel contempo assunse l’incarico di pastore in uno dei più miserabili sobborghi della città. L’impatto con la miseria del popolo, lo spinse a dedicare tutte le sue forze nella creazione di scuole per i figli dei mendicanti e diseredati, case di riposo per anziani e laboratori artigiani, seguiti da un orfanotrofio e infine dall’Istituto Biblico Canstein, dotato di una propria tipografia, che stampò e fece distribuire 80.000 Bibbie complete e 100.000 copie del Nuovo Testamento in soli sette anni. Nominato, nel 1715, pastore dell’importante chiesa di St. Ulrich e rettore dell’università di Halle, Francke morì l’8 giugno 1727. Le sue fondazioni, attive ancor oggi, furono decisive per lo sviluppo del missionariato luterano pietista del XVIII e XIX secolo.

Mohammed era nato alla Mecca verso il 570 d. C., figlio di Abdallah e di Amina. Rimasto orfano ancora bambino, fu accolto dal nonno paterno e in seguito adottato dallo zio Abd al-Muttalib, che lo introdusse nel mondo del commercio. Entrato al servizi della ricca vedova Khadija, accettò, successivamente, di sposarla. All’età di 35 anni, inquieto e insoddisfatto della vita che conduceva, Mohammed prese a rifugiarsi in una grotta del monte Hira vicino alla Mecca, dedicandosi alla meditazione. Dopo cinque anni di questa sua ricerca spirituale, la notte del 27 di Ramadan del 610 d.C. udì una voce che gli recitò e gli fece ripetere questa sura: “Leggi! In nome del tuo Signore che ha creato, ha creato l’uomo da un grumo di sangue. Leggi, ché il tuo Signore è il Generosissimo, Colui che ha insegnato mediante il càlamo, che ha insegnato all’uomo quello che non sapeva” (Corano, XCVI, 1-5). Con questa rivelazione (cui seguirono le altre che costituiranno l’insieme del Corano), iniziava la missione profetica di Mohammed, che fu vista da subito come una minaccia dal potere economico che dominava la società meccana del tempo e come tale avversata duramente. Vedendosi abbandonato dal suo stesso clan hascimita, Mohammed decise di fuggire con i suoi discepoli a Yatrib (la futura Medina). Era l’anno 622, che divenne così il primo anno dell’era egiriana (da Hejira = espatrio). Fu redatto un Patto che, sottoscritto da tutti i gruppi presenti in città, dava vita alla Umma, la comunità politica dei credenti. Dopo una serie di battaglie ad esiti alterni, Mohammed e le sue truppe entrarono nel 630 alla Mecca, ponendo fine ai culti idolatrici che vi erano praticati. Stabilitosi nuovamente a Medina, Mohammed moriva, l’8 giugno 632, poche settimane dopo aver compiuto il suo ultimo pellegrinaggio alla Mecca. Qui aveva pressantemente invitato gli oltre centomila pellegrini presenti a non dimenticare i princípi da lui predicati: l’uguaglianza tra i popoli e le razze di tutto il mondo, il rispetto reciproco tra uomini e donne, la sollecitudine nei confronti dei subalterni, la fraternità tra i credenti, la pratica dei cinque pilastri dell’Islam (la testimonianza di fede nell’unico Dio, la preghiera, l’aiuto ai bisognosi, il digiuno solidale, il pellegrinaggio alla Mecca).

I testi che la liturgia odierna propone alla nostra riflessione sono tratti da:
2ª Lettera ai Corinzi, cap.1, 18-22; Salmo 119, 129-135; Vangelo di Matteo, cap.5, 13-16.

La preghiera del martedì è in comunione con le religioni tradizionali del Continente africano.

Nato a Lima (Perù), l’8 giugno 1928, compie oggi novantatre anni Gustavo Gutiérrez, teologo peruviano dell’ordine dei frati predicatori, fondatore della teologia della liberazione. AD MULTOS ANOS!

E, per stasera, è tutto. Noi ci si congeda qui, offrendovi una riflessione di Matta El Meskin, che troviamo sotto il titolo “Predicare è il grido di salvezza dei salvati” nel sito di spiritualità cristiana ortodossa “Nati dallo Spirito” e che è, così, per oggi, il nostro

PENSIERO DEL GIORNO
Predicare, in arabo, significa “gridare”. E’ cioè chiamare con voce forte, come fece la Samaritana: “La donna intanto lasciò la brocca, andò in città e disse alla gente: Venite a vedere un uomo che mi ha detto tutto quello che ho fatto. Che sia forse il Messia?” (Gv 4,28-29). Questa donna senza marito lasciò la brocca, dimenticò se stessa, non si curò del suo peccato, si mise alla prova e uscì a predicare. Predicò il Messia che Anna e Caifa uccisero dopo aver predicato la salvezza per tre anni e mezzo. Fu come se Cristo avesse detto alla Samaritana: “Va, corri, predica, non temere, il tuo peccato me lo porto io sulle spalle!”. Il predicatore è dunque un uomo che ha udito un giorno risuonare nel cuore la voce dell’Onnipotente che gli offriva la buona novella della salvezza. All’istante, egli dimentica se stesso, il suo peccato, la compagnia dei peccatori, i suoi errori e si lancia a richiamare tutti a quella salvezza che è entrata nel suo cuore senza averla meritata in alcun modo! Il peccatore che ha provato dentro di sé la misericordia di Dio e ha gustato il miele del pentimento è il predicatore che più di altri è capace di portare la salvezza ai peccatori e di attrarre ad essa coloro che fuggono dal volto di Dio! L’opera missionaria sgorga dalla salvezza e non dal cuore e dalla mente del missionario. Essa attrae le menti e i cuori verso il pensiero e l’opera della salvezza, verso il cuore di Dio che chiama. La predicazione è una potenza che si spande dall’alto dei cieli e avvolge il predicatore prima di toccare coloro a cui è rivolta la predicazione. (Matta el Meskin, Predicare è il grido di salvezza dei salvati).

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 08 Giugno 2021ultima modifica: 2021-06-08T22:13:49+02:00da fraternidade
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