Giorno per giorno – 25 Aprile 2021

Carissimi,
“Io sono il buon pastore. Il buon pastore offre la vita per le pecore. Il mercenario invece, che non è pastore e al quale le pecore non appartengono, vede venire il lupo, abbandona le pecore e fugge e il lupo le rapisce e le disperde; egli è un mercenario e non gli importa delle pecore” (Gv 10, 11-13). La parabola dice di Dio. Dice di Gesù. Dice del cristiano. Dice di ogni uomo a immagine di Dio. Tutti siamo chiamati ad essere pastori gli uni degli altri, custodi del gregge dell’umanità. Pastori strani, però, diversi da quelli che conosciamo, che si occupano, sì, del gregge, ma in vista del loro guadagno. Chiamati ad essere, invece, pastori come lo è Dio, come si è fatto conoscere in Gesù, preoccupato solo a dare vita, prendersi cura, proteggere dai pericoli, fino ad offrire la sua vita. Viviamo in tempi di mercenari che, al sopraggiungere del pericolo (pensiamo oggi al virus che semina morte ovunque), lasciano il gregge indifeso, perché non gliene importa nulla, sostenuti da canaglie negazioniste, che sono loro simili nel cuore, per i quali i morti sono niente più che numeri, sui quali si può persino ironizzare e bestemmiare. Venerdì sera, il presidente di questo sfortunato paese si è fatto fotografare, nel corso di un’intervista in Tv, mentre, ridendo, sorreggeva un cartello in cui campeggiava la scritta “Codice fiscale cancellato”, un’espressione in gergo usata dalle milizie e dagli squadroni della morte per commemorare un’esecuzione avvenuta. Da noi, si tratta ormai di quasi 400 mila morti. E si è obbligati ad assistere ogni giorno a simili tragiche ironie. Mercenari dunque e insieme lupi. Noi, saremo capaci di testimoniare il buon pastore?

I testi che la liturgia di questa IV Domenica di Pasqua sono tratti da:
Atti degli Apostoli, cap.4, 8-12; Salmo 118; 1ª Lettera di Giovanni, cap.3, 1-2; Vangelo di Giovanni, cap.10, 11-18.

La preghiera della Domenica è in comunione con tutte le comunità e chiese cristiane.

Il calendario ci porta oggi le memorie di Marco Evangelista e di Ernesto Balducci, profeta di dialogo, pace e nonviolenza dei nostri tempi.

Marco, identificato con Giovanni Marco, di cui si fa menzione più volte nel Nuovo Testamento, era figlio di Maria che abitava a Gerusalemme e cugino di Barnaba. Accompagnò questi e Paolo nel primo viaggio missionario, fino a Perge, in Panfilia, quando, per un dissidio non meglio precisato, li lasciò, facendo ritorno a Gerusalemme. In seguito dovette comunque riconciliarsi con Paolo, dato che questi ne parla come di suo collaboratore e accenna alla sua presenza a Roma, durante la prigionia. L’attribuzione a lui del secondo Vangelo risale al vescovo Papia nel 130 d.C., che cita a sua volta Giovanni il presbitero, affermando che Marco non conobbe il Signore, ma che mise per iscritto ciò che aveva udito da Pietro. Una tradizione tardiva lo vuole martire ad Alessandria in questa data.

Ernesto Balducci era nato il 6 agosto 1922 a Santa Fiora, un paesino di minatori sul Monte Amiata, in provincia di Grosseto. Entrato nel seminario dei padri Scolopi, fu ordinato nel 1945 e inviato a Firenze. Dall’incontro con Giorgio La Pira nacque il suo interesse per le tematiche sociali e politico-culturali che sfociò in numerose iniziative, con lo scopo di dar vita ad un cattolicesimo, fondato su valori di testimonianza, di pace e di dialogo tra le diverse culture. Confinato per un certo tempo a Frascati e poi a Roma, potè seguire a distanza ravvicinata il grande evento del Concilio Vaticano II. Nel 1965 fece ritorno alla Badia Fiesolana, deluso per il ritardo con cui procedeva il rinnovamento ecclesiale. L’amore per la Chiesa non gli impedì di percepire i limiti di una istituzione che gli appariva sempre più ripiegata su se stessa, in una visione ecclesiocentrica che nulla riusciva ad intaccare. E dovrebbe essere l’esatto contrario. Negli ultimi anni i suoi studi e interventi si concentrarono sui temi della pace e della guerra, della non-violenza, e dell’incontro con la diversità. Il 25 aprile 1992 questo “profeta scomodo”, voce di tanti poveri del mondo, anche, e forse soprattutto, di questa America Latina, cui volle dirigere l’ultimo gesto e parola solidale, morì in un tragico incidente stradale.

Oggi, però, è anche, nel vostro Paese, la Festa della Liberazione. Che, come ci è già capitato di dire negli anni passati, per chi, come noi, tende ad avere [quasi] sempre un occhio alla Scrittura, ricorda un po’ la Pasqua degli ebrei. Ma anche quella dei cristiani. La festa che sta alla base di tutto, che celebra l’uscita dalla stagione cupa dell’oppressione, della schiavità, e perciò della morte, e che porta a riscoprirsi come popolo, capace di imboccare e percorrere il cammino della ritrovata dignità fino alla terra promessa, che realizza i nostri sogni e ideali. Una terra che non è mai conquistata definitivamente, ma che rappresenta piuttosto una sfida che si propone nuovamente ad ogni generazione. Anche alla nostra. Oltre ogni difficoltà e ogni tentazione di desistere.

È tutto, per stasera. Noi ci si congeda qui, offrendovi una pagina di p. Ernesto Balducci. Tratta dall’introduzione al suo libro “La pace. Realismo di un’utopia” (Principato), è, per oggi, il nostro

PENSIERO DEL GIORNO
Per la prima volta nella sua storia la specie umana è fisicamente come un individuo solo, secondo la suggestiva immagine di Pascal: un individuo con la coscienza ancora dispersa e frazionata nel suo organismo, ma con strutture fisiche e psichiche già pronte perchè avvenga l’unificazione soggettiva. Le barriere Est/Ovest e, più ancora, quella Nord/Sud, sono sempre più intollerabili: chi le tollera è un ominide il cui sottosviluppo è insieme intellettuale e morale. Se trionferanno gli ominidi, il tempo della fine è già segnato, perchè la loro egemonia è diventata fisicamente impossibile. Il colosso della civiltà della tecnica – il Nord – ha i piedi di argilla. Il Sud lo sa e quando lo schiavo si accorge che il padrone non sarebbe padrone se lui non fosse schiavo, il tempo del padrone è finito, ed è finita la sua cultura. Il padrone può morire come Sansone o può morire di tranquilla morte naturale, e cioè il Nord può morire sotto le macerie cosmiche provocate dalla sua tracotanza o può morire risolvendosi in una comunità mondiale senza più discriminazioni. Il rapporto tra l’uomo e il suo ambiente fisico non può più essere quello che è stato, non lo può più per ragioni fisiche. L’ideologia dello sfruttamento illimitato della natura si capovolge ormai contro i suoi fautori. Già si sta riscoprendo e propugnando un nuovo rapporto con la natura che non è quello alienante del romanticismo, è un rapporto su cui batte la luce dell’utopia marxiana dell’uomo naturalizzato e della natura umanizzata. La passione ecologica è un capitolo importante della cultura della pace. (Ernesto Balducci, La pace. Realismo di un’utopia).

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 25 Aprile 2021ultima modifica: 2021-04-25T21:16:53+02:00da fraternidade
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