Giorno per giorno – 21 Gennaio 2021

Carissimi,
“Gesù intanto si ritirò presso il mare con i suoi discepoli e lo seguì molta folla dalla Galilea. Dalla Giudea e da Gerusalemme e dall’Idumea e dalla Transgiordania e dalle parti di Tiro e Sidone una gran folla, sentendo ciò che faceva, si recò da lui. Allora egli pregò i suoi discepoli che gli mettessero a disposizione una barca, a causa della folla, perché non lo schiacciassero” (Mc 3, 7-9). Nonostante i poteri tramino la sua morte, come abbiamo visto nel vangelo di ieri, essi non possono impedire che la gente accorra da ogni dove a Gesù, del cui operato si diffonde sempre più la fama. L’evangelista ci fa sapere che egli chiede ai discepoli di provvedergli una barchetta (il testo originale usa proprio il diminutivo “ploiarion”), per evitare di finire schiacciato. La piccola barca è immagine della comunità dei discepoli, che perpetua l’insegnamento, l’azione e la presenza di Gesù, mettendolo al riparo del fanatismo della folla, che, anche per l’incitamento strumentale degli “spiriti immondi” (v. 11) – immagine, oggi potremmo dire, di certe interessate “officine del consenso” -, invece che come principio della cura, lo vive come figura del potere magico o politico, distorcendone, così, radicalmente l’identità e perciò la testimonianza che gli è dovuta. È questa una situazione che, almeno qui da noi, è ben chiara ai più coscienti e avveduti, e che siamo chiamati ad affrontare, sapendo di avere a disposizione, contro forze che sembrano ogni volta sovrastarci, la sola arma nonviolenta dell’evangelo, annuncio del dono di sé per la vita di tutti.

Oggi il calendario ci porta le memorie di Agnese, martire a Roma, di Massimo il Confessore, e di Mons. Gerardo Valencia Cano, pastore, profeta e martire della liberazione dei poveri in Colombia.

Dodicenne romana del III secolo, allo scoppio di una delle numerose persecuzioni contro i cristiani, nonostante la defezione di molti fedeli, Agnese seppe restare fedele a Cristo, rifiutandosi di sacrificare agli idoli e di cedere alle voglie del potente di turno. La memoria del suo martirio è molto antica: già nel 354 se ne celebrava l’anniversario presso la sua tomba, sulla Via Nomentana.

Massimo era nato a Costantinopoli da una ricca famiglia, verso il 580. Per qualche anno fu segretario dell’Imperatore Eraclio ma, assai presto, nel 613, lasciò la vita di corte per farsi monaco nel monastero di Crisopoli (Scutari). Nel 624 la minaccia persiana che incombeva sui territori imperiali lo costrinse ad abbandonare il monastero e a trasferirsi a Creta, poi a Cipro e, in seguito, nei pressi di Cartagine, in Africa. Scrisse numerose opere sulla preghiera, la carità e l’ascesi e, a partire dal 634, s’impegnò nella lotta contro le eresie monofisite e monotelite. Dopo la conquista araba dell’Africa, Massimo si spostò in Magna Grecia e, nel 646, a Roma. In quest’epoca entrò in polemica con il giovanissimo imperatore Costante II che, per risolvere le annose diatribe teologiche, che dividevano la cristianità e minacciavano l’unità dell’impero, aveva emesso un editto, Typos – Regola di Fede, con cui proibiva ai cristiani di parlare dell’unica o della duplice volontà di Cristo. Che, a dire il vero, la maggior parte dei cristiani, neppure sapeva di cosa si trattasse. Ma, era comunque roba seria. Fu convocato in Laterano un sinodo, che fece sue le posizioni espresse in materia da Massimo e dal papa Martino, e non mancò di criticare le disposizioni dell’ Imperatore. Mal gliene colse a tutti e due. Costante II li fece infatti arrestare e deportare entrambi. Non solo, ma, in un successivo processo, a Massimo e a due suoi discepoli, Anastasio monaco e Anastasio apocrisario, per lo stesso motivo, fu tagliata la lingua e amputata la mano destra. Massimo morì in esilio, sul mar Nero, nel 662.

Gerardo Valencia Cano era nato, il 26 Agosto 1917, nella famiglia di dieci figli di Maria Cano Tobón e Juan de Dios Valencia Osorio, a Santo Domingo, municipio del Dipartimento di Antioquia (Colombia), dove la coppia possedeva una fattoria, gestendo contemporaneamente un esercizio commerciale in città. Negli anni 30, lui e il fratello Felix entrarono nel seminario dei Missionari Saveriani di Yarumal (MXY). Dopo un’interruzione forzata negli studi, dovuta alla malattia della madre, e alle sopraggiunte difficoltà economiche della famiglia, che lo portarono a lavorare nella fattoria dei nonni, per farvi in qualche maniera fronte, tornò nel seminario di Medellin, dove fu ordinato prete il 29 novembre 1942. Nel luglio 1949 fu nominato prefetto apostolico di Mitú, in Vaupés, una delle regioni più povere e abbandonate della Colombia, abitata prevalentemente da tribù autoctone, sottoposte in quegli anni agli arbitri e alle violenze dei coloni bianchi, che vi si infiltravano per saccheggiarne le ricchezze naturali. Nel 1953, a soli 36 anni, Pio XII lo nominò primo vescovo del Vicariato apostolico di Buenaventura, un territorio ad alta presenza di afrodiscendenti, oggetto di pesanti, persistenti, discriminazioni, e primo porto della Colombia. A questo popolo, volto e sembiante di Cristo, mons. Gerardo Cano si consacrò totalmente, come prete, pastore e cristiano, in tutti gli anno del suo servizio episcopale. Sviluppò una pastorale che coinvolgeva preti, religiosi e laici, organizzò le prime comunità di base che, oltre ad animare la vita delle parrocchie, promuovevano la maturazione della fede, la coscienza dei diritti, la denuncia dell’ingiustizia, la crescita dell’azione solidale tra i settori più poveri ed emarginati della popolazione. Partecipò a tutte le sessioni del Concilio Vaticano II. In patria, il suo appoggio, pur non esente da critiche, al variegato movimento dei preti di Golconda, gli procurò, come prevedibile, sulla stampa di destra del suo paese, l’appellativo di “vescovo rosso”, nonché la fama di “sovversivo” e “comunista”. Morì in un incidente aereo che nessuno investigò, il 21 gennaio 1972.

I testi che la liturgia odierna propone alla nostra riflessione sono tratti da:
Lettera agli Ebrei, cap. 7, 25 – 8,6; Salmo 40; Vangelo di Marco, cap. 3, 7-12.

La preghiera del giovedì è in comunione con le religioni tradizionali indigene.

È tutto anche per stasera. Noi ci si congeda qui, offrendovi in lettura una citazione tratta dai “Capitoli vari sulla teologia e l’economia, sulla virtù e il vizio. I Centuria” di Massimo il Confessore, che troviamo nella “Filocalia” (Gribaudi). Ed è per oggi il nostro

PENSIERO DEL GIORNO
Dio, che brama la salvezza di tutti gli uomini e ha fame della loro deificazione, dissecca la loro presunzione come il fico sterile (cf Mt 21, 18 ss), cosicché preferiscano essere giusti realmente anziché apparire tali e, spogliandosi della tunica della loro ipocrita ostentazione dei loro costumi, perseguendo invece schiettamente la vita virtuosa come vuole la divina Parola, vivano con pietà la loro vita. Così mostreranno piuttosto a Dio la disposizione intima della loro anima, anziché agli uomini un atteggiamento esteriore di vita morale. (Massimo il Confessore, Capitoli vari sulla teologia e l’economia, sulla virtù e il vizio. I Centuria, 74).

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 21 Gennaio 2021ultima modifica: 2021-01-21T22:27:23+01:00da fraternidade
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