Giorno per giorno – 21 Novembre 2020

Carissimi,
“Che poi i morti risorgano, lo ha indicato anche Mosè a proposito del roveto, quando dice: Il Signore è il Dio di Abramo, Dio di Isacco e Dio di Giacobbe. Dio non è dei morti, ma dei viventi; perché tutti vivono per lui” ( Lc 20, 37-38). I sadducei, partito dei ricchi latifondisti dell’epoca, non avevano bisogno di credere nella risurrezione, che ritenevano non scritturisticamente fondata, dato che riconoscevano come ispirati i soli cinque libri della Torah, che non sembravano ricarne traccia. Del resto, il loro paradiso, se l’erano creato già qui in terra, trasmesso con tutte le garanzie del caso di padre in figlio. Il paradiso degli altri, l’eone futuro, era fantasia dei loro avversari farisei. Così, per provocare Gesù anche su questo tema, gli raccontano la storiella della donna, sposa, via via, di sette fratelli, in obbedienza alla legge del levirato (cf Dt 25, 5-10), per la quale se un uomo sposato moriva senza figli, suo fratello doveva sposarne la vedova, e il loro figlio primogenito sarebbe stato considerato legalmente figlio del defunto. Senza troppa fortuna, la donna se li vide morire uno dopo l’altro. Ora, domandano i sadducei, di chi sarà moglie nell’aldilà? Gesù risponde molto sobriamente sulla natura della vita nel secolo futuro, affermando che nulla ha a che vedere con le istituzioni di questo mondo e le finalità che le reggono. Resta però valido il principio di un’identità che non viene meno, desunto proprio dai testi cui facevano riferimento gli stessi sadducei: Dio è Dio non di morti, ma di viventi, di cui Abramo, Isacco, Giacobbe sono portati a semplice titolo di esempio. Il loro (e il nostro) nome, che è anche la loro (e la nostra) corporeità, indica tutta la serie di concrete relazioni di cui si è venuta intessendo la loro (e la nostra) storia. Nulla va quindi perduto, ma tutto è riassunto nella vita eterna, che è il darsi dell’amore di Dio a ciascuno/a di noi.

Oggi è memoria di un grande monaco-profeta del vostro paese: Benedetto Calati. Ricordiamo anche la promulgazione della Costituzione dogmatica sulla Chiesa Lumen Gentium, ad opera del Concilio Vaticano II.

Gigino Calati era nato a Pulsano (Taranto) il 12 marzo 1914 ed entrò come novizio, a soli sedici anni, nell’Eremo di Camaldoli, assumendo il nome di Benedetto. Dopo aver terminato gli studi teologici, negli anni ’40, nel monastero di Fonte Avellana, fu maestro dei chierici ed ebbe modo di approfondire la conoscenza spirituale dei Padri della Chiesa e delle fonti camaldolesi. Dal 1951 fu procuratore presso la Santa Sede e superiore del monastero di San Gregorio al Celio in Roma, fino a quando, nel 1969 fu eletto Priore generale della Congregazione Camaldolese. Per 18 anni ricoprì quella funzione, fornendo un sostanziale contributo a trasformare l’eremo aretino in un importante centro di spiritualità e di cultura, conosciuto anche all’estero, per la sua apertura al dialogo e alla collaborazione tra personalità e forze di ispirazione diversa. Fu “uno dei più appassionati sostenitori del Concilio e tra i più convinti assertori della necessità di una profonda riforma della Chiesa, ispirata alla povertà evangelica e al primato dell’amore”. Negli ultimi anni della sua vita, P. Benedetto continuò con la lucidità di sempre a riflettere sui temi che gli erano più cari e a richiamare l’esigenza di dare passi più spediti in direzione di un maggior ecumenismo e dialogo tra fedi diverse, un minor “clericalismo”, maggiore parità tra uomo e donna. Morì il 21 novembre del 2000.

“Nella storia della Chiesa il giorno che ha segnato la promulgazione della costituzione Lumen Gentium apparirà in avvenire certamente come inizio di un’era nuova. La costituzione Lumen Gentium costituisce innegabilmente, a mio parere, una svolta nell’ecclesiologia cattolico-romana. Si può dire che siamo passati da una Chiesa-istituzione ad una Chiesa-comunità, da una Chiesa-potenza ad una Chiesa povera e pellegrina”. È il giudizio dato dal teologo Georges Dejaifve su questo importante documento del Concilio Vaticano II, emesso il 16 novembre 1964 e promulgato da Paolo VI il 21 novembre dello stesso anno. La Lumen Gentium, evitando nuove definizioni dogmatiche e senza ricorrere a formule teologiche tecniche e rigorose, con un linguaggio semplice di stile biblico, dà ampio rilievo ad aspetti che l’ecclesiologia post-tridentina aveva in larga misura ignorati. I tratti più originali della sua ecclesiologia risultano essere: – la distinzione tra Regno di Dio e Chiesa: la Chiesa è soltanto l’inizio, il “germe” e non ancora la piena attuazione del Regno; – la comunionalità: c’è parità essenziale tra tutti i membri della Chiesa, in quanto tutti godono delle stesse grazie fondamentali e degli stessi doveri; – la sacramentalità, che investe non soltanto alcuni segni particolari ma la chiesa stessa nella sua natura profonda; – la cattolicità, intesa come attitudine ad abbracciare il molteplice e a far spazio al diverso; – la politicità, ossia attenzione per i problemi socio-politici che interessano l’umanità. Visione rinnovata della Chiesa, che recupera con forza le sue radici bibliche e cristologiche, e con esse la tensione, la vocazione, il mistero, della comunità delle origini, ma che richiede lo sforzo, il coraggio, la passione sempre nuova, da parte di tutta l’ecumene cristiana per essere ogni volta incarnata nelle concrete sitauzioni e portata così ad attuazione.

I testi che la liturgia odierna propone alla nostra riflessione sono tratti da:
Libro dell’Apocalisse, cap.11, 4-12; Salmo 144; Vangelo di Luca, cap.20, 27-40.

La preghiera del Sabato è in comunione con le comunità ebraiche della diaspora e di Eretz Israel.

È tutto, per stasera. Noi ci si congeda qui, offrendovi in lettura, il brano di un’omelia di Benedetto Calati, tenuta il 6 giugno 1976, solennità di Pentecoste. Pubblicata, assieme ad altre, nel libro uscito postumo con il titolo “Conoscere il cuore di Dio. Omelie per l’anno liturgico” (EDB), è, per oggi, il nostro

PENSIERO DEL GIORNO
Il giudizio che la Chiesa è chiamata ad esercitare sugli erranti, sui peccatori, non è un arbitrio o un giudizio guidato da norme di giustizia umana. Il giudizio della Chiesa sul peccatore ha a monte il dono dello Spirito, che significa che noi per primi siamo stati oggetto della misericordia e della benevolenza di Dio. E come lui ci ha perdonati, così anche noi siamo invitati a scambiarlo tra di noi. Se la Chiesa esercita perciò, in nome dello Spirito, un’autorità sul mondo e sui peccatori, lo fa anzitutto per un’autorità di benevolenza, di misericordia; è un servizio di amore. Ma se lo Spirito di perdono è dato a tutti i credenti, a tutti gli uomini che cercano il Signore, rimane vero che il nostro perdono ai fratelli, oltre che essere riflesso della benevolenza del Padre per noi, suppone altresì, come criterio di verifica, il perdono verso i nostri fratelli che ci hanno offeso, in quanto sono tutti perdonati dal Pade, secondo la preghiera del Padre nostro: “Rimetti a noi i nostri debiti come noi li rimettiamo ai nostri debitori”. Ed è quanto siamo chiamati a verificare costantemente nella nostra vita. Se per noi è di conforto essere stati perdonati da Dio, tuttavia può essere particolarmente arduo perdonare coloro che ci hanno in qualche modo offeso. Forse possiamo correre il rischio di rimanere fuori, o quasi, dal perdono di Dio. Siamo infatti così drastici, talvolta duri, nel giudicare l’uomo e le situazioni di conflitto in cui un fratello o una sorella si trova. Scegliamo la difesa ad oltranza di noi stessi, invece del dialogo costruttivo e paziente, preferiamo stare ad attendere seduti in casa… invece di essere tutt’occhi al suo ritorno, come dovremmo fare perché anche noi siamo persone attese. (Benedetto Calati, Conoscere il cuore di Dio).

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 21 Novembre 2020ultima modifica: 2020-11-21T22:37:11+01:00da fraternidade
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