Giorno per giorno – 14 Novembre 2020

Carissimi,
“C’era in una città un giudice, che non temeva Dio e non aveva riguardo per nessuno. In quella città c’era anche una vedova, che andava da lui e gli diceva: Fammi giustizia contro il mio avversario. Per un certo tempo egli non volle; ma poi disse tra sé: Poiché questa vedova è così molesta le farò giustizia, perché non venga continuamente a importunarmi”(Lc 18, 2-5). Già in un’altra occasione, parlando dell’importanza della preghiera, Gesù aveva portato l’esempio di chi, importunato nel bel mezzo della notte dalla richiesta di un amico, dopo aver opposto un’inutile resistenza, finisce per cedere all’insistenza di quello (cf Lc 11, 5-8). E, subito dopo, prendendo spunto dal contesto famgliare, aveva tratto come conclusione: “Se voi, che siete cattivi, sapete dare cose buone ai vostri figli, quanto più il Padre vostro celeste darà lo Spirito Santo a coloro che glielo chiedono!” (Lc 11, 13). Non darà le cose che chiediamo, ma lo Spirito che ci insegna a chiedere e a fare le cose giuste. Nel vangelo di oggi, egli segue un po’ lo stesso schema: se a un giudice disonesto, anche solo per il fatto di non essere importunato, capita di fare giustizia, quanto più Dio farà giustizia – e prontamente – a coloro che gridano a lui. Ora, se la giustizia tarda ad accadere, deve essere perché la vedova ha smesso di chiederla. Fuor di metafora, abbiamo perso la connessione con Dio che dichiara beati quanti hano fame e sete di giustizia, perché saranno saziati. Forse ha preso il sopravvento la fame di altre cose. Questo, ci dicevamo stamattina, spiega il perdurare nel tempo di sistemi ingiusti e di regimi disumani. E dà ragione della domanda finale di Gesù: “Il Figlio dell’uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra?”. O non trova, piuttosto, che, già da ora, chiese che si dicono sue l’hanno rinnegata, la fede, limitandosi a fare mercato di beni terreni, lasciando che l’ingiustizia dilaghi, i diritti degli ultimi vengano conculcati, l’accoglienza negata, i prigionieri abbandonati in condizioni disumane, mentre non si esimono dall’appoggiare e benedire governi autoritari, o aspiranti tali, espressione dei privilegi di pochi, che ne hanno comprato i favori con i trenta denari di allora, e anche di più, per fare di esse le cappellanie di corte? Pregare con insistenza, dunque, lasciar pregare in noi lo Spirito che grida Abbà, papà, fino a che la preghiera, questa preghiera, abbia plasmato tutto il nostro essere e agire. Dio, il Padre, non resisterà a lungo, farà giustizia in noi e intorno a noi, attraverso noi.

Oggi ricordiamo Gregorio Palamas, mistico esicasta.

Gregorio nacque a Costantinopoli l’11 novembre 1296. A vent’anni, assieme ai fratelli Macario e Teodosio, si fece monaco sul Monte Athos, divenendo in seguito abate del monastero di Esfigmenou. Il suo radicalismo e il rigore nelle pratiche ascetiche lo resero però ben presto inviso ai suoi monaci, che preferivano di gran lunga una vita tranquilla e senza troppe pretese. Dato che come spesso accade, la moneta cattiva scaccia quella buona, anche Gregorio fu cacciato dal monastero. Ma non tutto il male viene per nuocere. Recatosi a Salonicco, potè impegnarsi meglio nella sua battaglia a favore della dottrina mistica dell’ “esicasmo” (la ricerca dell’unione con Dio attraverso la preghiera incessante). Ebbe il tempo di farsi scomunicare come eretico e mandare in esilio. Ma poi con l’appoggio insperato dei suoi antichi confratelli, fu richiamato in patria e eletto arcivescovo di quella città (1347). Da allora la sua diverrà dottrina ufficiale della Chiesa bizantina. Contro ogni pericoloso panteismo, ma anche contro ogni dualismo che contrapponga spirito e materia, Gregorio affermò che lo spirito umano è radicalmente differente da Dio, tanto quanto il corpo: ma Dio, concedendo la sua grazia, salva l’intero essere umano, la sua anima e il suo corpo. Questa grazia e salvezza non si situa fuori della storia, ma agisce già qui e adesso, in un’escatologia realizzata, che ci permette di rifare l’esperienza degli apostoli sul Tabor. Ogni cristiano, indipendentemente dal fatto che sia uomo o donna, laico o consacrato, coniugato o celibe (dato che, come sosteneva san Simeone il nuovo Teologo, “la vita più alta è lo stato a cui Dio chiama ciascuno personalmente”), per raggiungere tale condizione escatologica nel divenire esistenziale dopo il battesimo, deve alimentare incessantemente la propria quotidianità con la pratica sacramentale ed ascetica ed essere così perennemente in comunione con Cristo. Questo il senso anche della “preghiera del Nome”, la ripetizione incessante del nome di Gesù, propria della tradizione esicasta. Gregorio morì il 14 novembre 1359. Fu canonizzato dal patriarca ecumenico Filoteo nel 1368.

I testi che la liturgia odierna propone alla nostra riflessione sono tratti da:
3ª Lettera di Giovanni, 5-8; Salmo 112; Vangelo di Luca, cap.18, 1-8.

La preghiera del Sabato è in comunione con le comunità ebraiche della diaspora e di Eretz Israel.

A partire da oggi, e per cinque giorni (gli ultimi tre del mese lunare di Āshwin e i primi due di quello Kārtik), tutte le religioni dell’India – incluse le minoranze di giainisti e sikh (pur variando per queste il significato) – celebrano la loro maggior festa, Diwali (o Dipavali, “Fila di lampade”). Gli indú ricordano con essa il ritorno di Rama (considerato un avatāra di Vishnu), nella città di Ayodhya, capitale del suo regno, dopo la sconfitta inferta al re di Lanka Ravana, che gli aveva rapito la moglie Sita. Diwali vuole affermare il trionfo della luce sulle tenebre, della vita sulla morte, della verità sulla menzogna e ha, in questo senso, un significato universale. Ce n’è di bisogno un po’ ovunque.

Oggi ricordiamo il compleanno di due persone che, per diversi motivi, ci sono care: il nostro vecchio Pedro Recroix, e padre Pedro Arrupe. Entrambi lo festeggiano in cielo, loro così diversi, a testimonianza della fantasia di Dio. Di padre Pedro, che aveva fatto sua la preghiera incessante del nome, ci chiediamo se avesse mai saputo di essere nato il giorno in cui le Chiese orientali fanno memoria del santo che ne fu propogatore, come in una sorta di passaggio del testimone. Di Pedro Arrupe vogliamo ricordare ciò che aveva scritto un giorno: “Niente deve importare di più che incontrare Dio, vale a dire, innamorarsi di lui in maniera definitiva e assoluta. Ciò di cui ti innamori afferra la tua immaginazione e finisce per lasciare tracce in tutto. Sarà esso che decide ciò che ti scuote fin dal momento dell’alzata, e quello con cui riempi le tue serate, e spendi i tuoi fine-settimana, e ciò che leggi, quello che conosci, ciò che muove il tuo cuore e ti riempie di gioia e di gratitudine. Innamórati! Rimani nell’amore. Tutto sarà diverso”. Vorremmo fosse vero anche per tutti noi. Ciascuno a modo suo.

E, per stasera, è tutto. Noi ci si congeda qui, offrendovi in lettura una citazione di Pedro Arrupe, tratta da una conferenza tenuta a Valencia il 31 luglio 1973, con il titolo “Uomini per gli altri”. Ed è, per oggi, il nostro

PENSIERO DEL GIORNO
L’ideale dell’uomo a cui tende il nostro lavoro educativo è l’uomo “spirituale”. Non già l’ “homo faber”, l’uomo abile e operoso che agli albori della storia cominciò a differenziarsi radicalmente dagli animali dominando il mondo; né il semplice “homo sapiens”, che con l’intelligenza e saggezza si eleva al vertice del creato ed è capace di conoscerlo e di spiegarlo; neppure l’ “uomo prometeico” che partecipa del potere creativo di Dio trasformando il mondo; e nemmeno l’ “homo politicus”, che conosce la complessità di questo mondo e sa trovare i punti nevralgici da cui dipendono le grandi trasformazioni sociali. Tutti questi aspetti dell’uomo rimangono nella sfera dell’ “homo psychicus” di San Paolo, cioè l’uomo semplicemente naturale, dotato di spirito o psiche umana. Questo uomo in concreto non esiste, se non come possibilità astratta e ambivalente; di fatto sarà in maggiore o minor misura umano o disumano, fino a diventare l’ “homo lupus”, rapinatore dei suoi fratelli, o al contrario l’uomo “concor”, “philanthropus”, amante della pace e degli uomini. Di solito quest’uomo sarà anche “homo religiosus”, aperto alla trascendenza, e se la sua religiosità è autentica, fonderà in unità inscindibile l’amore degli uomini con l’amore di Dio. Però questo ideale non è possibile raggiungerlo, senza l’aiuto di Dio, che ci trasforma nell’ “homo novus”, in una nuova creatura, il cui principio vitale ultimo è lo Spirito Santo. Ma questo Spirito è lo Spirito di Cristo, per il quale siamo cristiani. Anche nel lavoro di promozione della giustizia Cristo è tutto: Via, Verità e Vita. Cristo, il Dio-fatto-uomo, che dando la vita per la liberazione e la salvezza del mondo è diventato, più di tutti, l’Uomo-per-gli-altri. (Pedro Arrupe, Uomini per gli altri).

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 14 Novembre 2020ultima modifica: 2020-11-14T21:45:05+01:00da fraternidade
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