Giorno per giorno – 19 Ottobre 2020

Carissimi,
“Fate attenzione e tenetevi lontani da ogni cupidigia perché, anche se uno è nell’abbondanza, la sua vita non dipende da ciò che egli possiede” (Lc 12, 15). La frase di Gesù era in risposta a un tale che gli aveva detto: “Maestro, dì a mio fratello che divida con me l’eredità” (Lc 12, 13). Stamattina, ci dicevamo che, più che a costui, evidentemente vittima della disonestà del fratello, Gesù intendeva rivolgersi a quest’ultimo, presente o assente che fosse, che, per la sua avidità, non aveva esitato a rompere la comunione che avrebbe dovuto unirlo al primo. Acquista così un senso la breve parabola, con l’avvertimento che Gesù fa seguire (v.16-20). Una storia che, se può riflettere la vita di famiglie certo più abbienti di quelle del nostro bairro (anche se a volte capita pure qui che ci si azzanni per il possesso di poche e povere cose), dice, e in modo più eclatante, la vita della famiglia umana, con la rapina sfacciata, a vantaggio di una minoranza, di quelle risorse, che costituiscono la fonte di sopravvivenza di una popolazione o di popolazioni intere. Davanti a una economia del possesso e dell’accumulazione, che sfrutta, ruba, violenta e uccide su grande scala, ma non può poi però scappare dalla paura e dall’assedio della morte, che la raggiunge o nelle forme criminali della rivalsa e dell’emulazione, o sulle spinte innescate da bisogni insostenibili da essa provocati, o, se non altro, per l’inevitabile limite biologico, vissuto con angoscia, Gesù propone un’altra prospettiva: quella del riscatto della relazione fraterna e del godimento comune e solidale dei beni che essa favorisce. Lui non è venuto a dividere, ma a insegnare a condividere. Difficile, certo, oggi ancora ai limiti dell’impensabilità. Ma resta l’unica prospettiva che sia foriera di vita. Se è questo che desideriamo.

Il calendario ci porta oggi la memoria di Daudi Okelo e Jildo Irwa, catechisti e martiri in Uganda, e quella di Aldo Capitini, maestro di nonviolenza.

Daudi Okelo e Jildo Irwa appartenevano entrambi alla tribù Acholi, stanziata ancor oggi nel Nord dell’Uganda. Daudi era nato nel 1902 da genitori pagani e a 14 anni aveva chiesto di ricevere i sacramenti dell’iniziazione cristiana nella missione aperta dai missionari comboniani a Kitgum. Assieme a lui, ricevette il battesimo, l’Eucaristia e la Cresima, anche Jildo Irwa di quattro anni più giovane. Dopo la somministrazione della Cresima, Daudi aveva ottenuto l’iscrizione nell’elenco dei catechisti. Alla morte del catechista di Paimol, un villaggio a 80 chilometri da Kitgum, Daudi chiese di essere inviato al suo posto. I missionari gli fecero presente la pericolosità di tale missione, ma il giovane insistette. Così, a fine novembre 1917, Daudi si trasferì a Paimol, accompagnato dal giovanissimo Jildo, che era stato deciso di affiancargli. I due cominciarono la loro missione, riunendo ogni giorno all’alba i catecumeni per le preghiere del mattino e l’insegnamento dei primi rudimenti di catechesi. Durante il giorno visitavano i villaggi vicini, dove altri catecumeni erano impegnati nella guardia del bestiame o nei lavori dei campi. Poi, al tramonto, ancora un tempo dedicato alla preghiera in comune. Le minacce di quanti non gradivano tali pratiche non tardarono tuttavia a manifestarsi. La mattina del 19 ottobre 1918, prima dell’alba, un gruppo di cinque persone raggiunse la capanna dove abitavano Daudi e Jildo, per indurli a lasciare la zona o concretizzare le minacce. Davanti al sereno rifiuto opposto, presero Daudi, lo trascinarono fuori dal recinto e lo uccisero a colpi di lancia. Poi tornarono da Jildo che protestò: “Non abbiamo fatto niente di male, ma se avete ucciso Daudi, dovete uccidere anche me, perché insieme abbiamo insegnato la parola di Dio”. Lo portarono fuori, lo trafissero con una lancia e lo finirono con una coltellatata alla testa.

Aldo Capitini era nato a Perugia il 23 dicembre 1899 e la sua avventura esistenziale fu segnata dall’incontro con la Bibbia, la figura di Cristo, Francesco d’Assisi, Mazzini, Tolstoj e Gandhi. Nel 1924, ottenne una borsa di studio alla Normale di Pisa per la facoltà di Lettere e Filosofia, dove si laureò nel 1928. Seguì la vicenda politica di quegli anni con un crescente distacco critico nei confronti del fascismo. Rifiutata la tessera del Partito Nazionale Fascista, fu allontanato, nel 1933, dal posto di segretario della Scuola Normale, dove nel frattempo si era impiegato. Risale a quegli anni la scoperta del pensiero di Gandhi che portò Capitini a cogliere nella non-collaborazione la via della resistenza nonviolenta alla guerra, la sola forza capace di sconfiggere l’oppressione. Scelta che esige necessariamente una buona dose di amore per la persona che compie il male. Del resto, la lotta violenta alle strutture ingiuste e violente presenta “un difetto molto grave, che per guarire il male uccide spesso il malato, e allora il male risorge in noi”. E, in ogni caso, “dove si semina morte, non può nascere vita”. La critica severa dell’istituzione ecclesiastica, di cui Capitini denunciava la perdita della carica profetica ed evangelica, e il rifiuto, sul piano civile, della forma partito, cui imputava l’obiettivo della ricerca del potere, spiegano l’isolamento, il disinteresse e l’ignoranza in cui Capitini fu volutamente lasciato per molti anni. Nel giugno del 1944 fondò a Perugia il primo C.O.S. Centro d’Orientramento Sociale) e, successivamente, il C.O.R. (Centro d’Orientamento Religioso). Soprattutto il primo rappresentò un’esperienza fondamentale di democrazia dal basso, per la discussione dei problemi amministrativi e sociali. Dove dal basso “vuol dire esattamente di muovere dai singoli esseri, nella loro esistenza e molteplicità”. Per dare spazio a quella che lui chiamò l’omnicrazia, l’unica forma di potere in cui tutti abbiano davvero la parola e vivano in solidarietà. Importante fu la sua attuazione sul fronte della pace. Presidente della Consulta per la pace, fondatore del Movimento Nonviolento per la Pace e del suo mensile Azione nonviolenta, nel 1961, organizzò la prima Perugia-Assisi, la marcia per la Pace e la fratellanza dei popoli. Nel 1965 ottenne la cattedra di Pedagogia all’Università di Perugia. E, nella sua città, Aldo Capitini morì il 19 ottobre 1968, per complicazioni insorte a seguito di un intervento chirurgico.

I testi che la liturgia odierna propone alla nostra riflessione sono tratti da:
Lettera agli Efesini, cap.2, 1-10; Salmo 100; Vangelo di Luca, cap.12, 13-21.

La preghiera di questo lunedì è in comunione con le grandi religioni dell’India: Vishnuismo, Shivaismo, Shaktismo.

È tutto, per stasera. Noi ci si congeda qui, offrendovi in lettura un brano di Aldo Capitini, tratto dall’opuscolo “Teoria della nonviolenza” (Edizioni del Movimento Nonviolento), che ne raccoglie vari scritti. È, per oggi, il nostro

PENSIERO DEL GIORNO
Riguardo ad esseri umani la nonviolenza è l’appello continuo e intenso alla comprensione, alla spontaneità, alla capacità che ha l’altro essere umano di giungere ad una decisione razionale. Nel campo umano la dedizione a questo appello ha un fondamento più saldo che per ogni altro essere: basta che io pensi che colui che incontro, potrebbe essere mio figlio: nulla di eccezionale in questo sentimento di genitura, per la somiglianza umana che c’è tra noi. Del resto, io penso che sempre nei riguardi di un essere umano debbo richiamarmi a un punto interno in cui io mi senta madre di lui; che debbo abituarmi a costituire costantemente questo atteggiamento nel mio intimo; che, insomma, almeno per una volta, esaurite e sfogate se si vuole, tutte le altre possibilità, io debbo domandarmi: “ma mi sono anche considerato pur per un istante madre di costui? come agirei se fossi sua madre, certo una madre non stolta, ma pronta a vedere che cosa c’è a favore di lui, a sperare per lui?”. (Aldo Capitini, Teoria della nonviolenza).

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 19 Ottobre 2020ultima modifica: 2020-10-19T22:33:46+02:00da fraternidade
Reposta per primo quest’articolo