Giorno per giorno – 18 Ottobre 2020

Carissimi,
“Rendete a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio” (Mt 22, 21). E chi vuole intendere, intenda. Il piano del partito dei religiosi era quello di sempre: “cercare di cogliere Gesú in fallo nei suoi discorsi” (v.15). E a tal fine non esitano ad allearsi ai sostenitori del paganeggiante sovrano, al servizio della potenza occupante. Anch’essi nemici di Gesù, ma per motivi opposti. Il tranello, almeno così lo si era concepito, era portare Gesù sul piano della politica, tributaria in questo caso. Immaginando che non ne sarebbe venuto fuori, senza inimicarsi una parte o l’altra. “È lecito o no pagare il tributo a Cesare?”. Una questione che, con qualche variante potrebbe essere riproposto anche oggi, in ossequio agli interessi degli uni o degli altri. Finché la politica sarà giocata sul piano degli interessi contrapposti, più che composti. Gesù se ne tira fuori, conosce bene la logica del potere, ne aveva già messo in guardia (senza troppo successo) i discepoli: “I capi delle nazioni, voi lo sapete, dominano su di esse e i grandi esercitano su di esse il potere. Non così dovrà essere tra voi” (Mt 20, 25-26). Nella sua risposta, enuncia un principio generale, che non vuol essere, né offrire, una qualche scappatoia, ma che si offre al credente come mezzo di discernimento nelle diversi situazioni. Cosa dobbiamo, in primo luogo, a Dio? Cosa al potere? A Dio, verità della nostra vita, dobbiamo il riconoscimento e la testimonianza del suo esserci Padre, che fa di noi tutti un’umanità di fratelli e sorelle, a cui ha affidato la cura del creato. Al potere, cui è conferita, nelle diverse istanze, la guida della comunità umana, dobbiamo lealtà, cooperazione, partecipazione, obbedienza critica, ma pure capacità di denuncia e resistenza ove venga offesa anche solo in qualcuno la dignità di figli di Dio e nostri fratelli, chiamati per vocazione divina alla felicità. Il tutto in obbedienza al Vangelo della pace e della nonviolenza, sapendo che questo potrà comportare rifiuto, ostracismo e persecuzione. Ma è il prezzo di una vocazione, che si propone di cambiare il mondo e la vita, a partire da noi.

I testi che la liturgia di questa XXIX Domenica del Tempo Comune sono tratti da:
Profezia di Isaia, cap.45, 1. 4-6; Salmo 96; 1ª Lettera ai Tessalonicesi, cap. 1, 1-5b; Vangelo di Matteo, cap.22, 15-21.

La preghiera della Domenica è in comunione con le comunità e chiese cristiane di qualunque denominazione ed è volta a impetrare il dono dell’unità nella valorizzazione delle differenze.

Il calendario ci porta, dunque, la memoria di Luca evangelista, “scriba della misericordia”, a cui noi aggiungiamo quella del vescovo Giacomo Lercaro, profeta di una Chiesa povera con i poveri.

Secondo la tradizione, Luca era medico, originario di Antiochia, che all’epoca, era per importanza la terza città dell’impero romano. Dopo l’incontro con Paolo, si convertì al cristianesimo e accompagnò l’apostolo nei suoi viaggi missionari, diventando così un testimone prezioso della comunità cristiana delle origini. La tradizione gli attribuisce la redazione del terzo vangelo e gli Atti degli Apostoli, ma sono le lettere di Paolo a menzionarlo. È l’evangelista che dedica maggior spazio ai racconti d’infanzia di Gesù e alla madre di Gesù ed è il più sensibile ai temi della misericordia, del perdono e dell’amore preferenziale che Dio ha per i poveri e per gli ultimi.

Giacomo Lercaro nacque a Genova il 28 ottobre 1891. Entrato in seminario, fu ordinato presbitero nel 1914. Al termine del conflitto mondiale, si dedicò dapprima all’insegnamento nel seminario arcivescovile, e poi, dal 1937, fu prevosto della parrocchia di Maria Immacolata. Durante l’occupazione tedesca della città, a causa della sua azione a favore dei perseguitati, dovette rifugiarsi, sotto uno pseudonimo, in una casa religiosa. Nel 1947 fu nominato arcivescovo di Ravenna. Nel maggio 1948, aprì la casa ai primi ragazzi di quella che sarebbe stata la sua Famiglia. Trasferito nel 1952 alla sede metropolitana di Bologna e creato cardinale l’anno successivo, venne moltiplicando iniziative religiose volte in diverso modo a risaltare la centralità dell’Eucaristia e a valorizzare la dimensione liturgica nella vita della Chiesa. Clamorosa fu la sua protesta, nell’autunno 1956, per l’invasione dell’Ungheria da parte dell’esercito sovietico. Durante il Concilio Vaticano II, anche per la preziosa consulenza di don Dossetti, fu indiscusso protagonista sui temi della riforma liturgica, della pace, e della povertà della Chiesa. Nel 1966 l’amministrazione comunale di Bologna gli conferì la cittadinanza ordinaria. La ferma condanna dei bombardamenti americani in Vietnam, in occasione della 1ª Giornata mondiale per la pace, il 1° Gennaio 1968, fornì, incredibilmente, agli ambienti a lui ostili della Curia romana il pretesto per esigerne le dimissioni. Il 12 febbraio 1968, lasciata la cattedra di S.Petronio, si ritirò a Villa san Giacomo, continuando tuttavia a svolgere un’intensa opera evangelizzatrice in Italia e all’estero, finché la salute glielo permise. Si spense il 18 ottobre 1976.

E, nel congedarci, per restare sul tema della pace, vi proponiamo il brano di un testo del card. Lercaro, che troviamo con il titolo “La Chiesa e la pace” nel volumetto che ne riporta i “Discorsi sulla pace” (Edizioni San Lorenzo). E che è, per oggi, il nostro

PENSIERO DEL GIORNO
La pace non è, come normalmente noi la rappresentiamo, il risultato di un rapporto etico ordinato e progredito secondo ragione ed equità; e non è neppure il frutto di un corretto rapporto metafisico con Dio; essa è un dono storico-salvifico o, meglio ancora, è un dono di salvezza tale che è la Persona stessa dell’unico Salvatore del mondo; la pace non è un rapporto, è una Persona, ha un nome personale, è il Messia, è Gesù, al di fuori del quale nome non si dà né salvezza né pace. Ed è per questo che la pace non può esistere (malgrado qualunque ordine etico e metafisico) se non all’interno del piano storico di salvezza, determinato e realizzato dalle libere scelte di Dio e dai suoi interventi positivi, tutti orientati al Messia, a Gesù il Cristo. Dal capo terzo della Genesi sino all’ultimo capo dell’Apocalisse, la Bibbia non è altro che questa unica affermazione: non esiste pace per l’umanità se non in quanto questa si inserisce nel piano storico della salvezza messianica, cioè nel Cristo, e se non in quanto essa accoglie lo Spirito di Cristo e adotta i mezzi e i metodi di Cristo. Cioè i metodi non della violenza, ma della mitezza; non della potenza umana, ma della debolezza; non dell’orgoglio, ma dell’umiltà; non dell’autoaffermazione, ma dell’abnegazione e della croce. I canti del Servitore di Yahvé in Isaia, le profezie di Geremia, sono quasi già l’Evangelo e concludono con l’annuncio puntuale di Zc 9, 9 ss.: “Figlia di Sion… a te viene il tuo Re; giusto e vittorioso, umile, egli cavalca sopra un asino e sopra un asinello… Farà sparire i carri di guerra da Efraim e i cavalli da Gerusalemme, l’arco di guerra sarà spezzato, annunzierà la pace alle genti, il suo dominio sarà da mare a mare, e dal fiume ai confini della terra”. (Giacomo Lercaro, La Chiesa e la pace).

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 18 Ottobre 2020ultima modifica: 2020-10-18T22:46:52+02:00da fraternidade
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