Giorno per giorno – 07 Ottobre 2020

Carissimi,
“Gesù disse loro: Quando pregate, dite: Padre, sia santificato il tuo nome, venga il tuo regno; dacci ogni giorno il nostro pane quotidiano, e perdona a noi i nostri peccati, anche noi infatti perdoniamo a ogni nostro debitore, e non abbandonarci alla tentazione” (Lc 11, 2-4). Padre. O, nella lingua di Gesù, “Abbà”, che è come dire “Babbo”, “Papà”. Qui da noi “Paizinho”. E ci si potrebbe anche fermare qui. Gesù, però ha voluto aggiungere qualcosa, articolando questo nome in una preghiera capace di dar corpo e verità a questa relazione, la cui rivelazione ha consegnato alla nostra fede. Noi siamo chiamati a dare consistenza nella nostra vita alla paternità divina, questo significa “santificare il nome” già di per sé santo, così come possiamo e dobbiamo ogni giorno impetrare la venuta del regno, attraverso i segni che ci ha manifestato Gesù, nella condivisione del pane e nel dono del perdono ai fratelli, di cui anche noi abbiamo fatto e facciamo anticipatamente esperienza. Tutto questo, nella fiduciosa speranza che egli ci eviti di cedere alle lusinghe e alla logica del Sistema-mondo, volte a imprigionarci nello spazio di egoismi che, in nome del culto e dell’affermazione dell’io, individuale o collettivo, generano divisione, inimicizia, violenza, sopraffazione. Negazione del Padre, negazione di Dio. Le forme più vere di un ateismo, che spesso si dà anche in nome di dio.

Il calendario ci porta oggi la memoria della Beata vergine Maria del Rosario.

L’origine della festa non è, come si dice, delle più felici. Voluta da Pio V per celebrare la vittoria conseguita sulla flotta turca, a Lepanto, il 7 ottobre 1571, dicono che ancora oggi, più di quattrocento anni dopo, la Madonna non si dia pace. E quando le capita di vedere il papa Pio per le strade dei cieli (dato che l’hanno pure canonizzato per garantirgli il paradiso), scuote ancora la testa e gli fa: ma, a te, ti ha dato di volta il cervello? Già, perché a Lepanto, come in ogni guerra, passata, presente e futura, a combattersi c’erano, ci sono e ci saranno, solo dei diavoli. Quand’anche poveri. Dall’una e dall’altra parte.

Noi facciamo anche memoria di John Woolman, profeta quacchero, e di Manuel Antonio Reyes, prete, martire in El Salvador.

John Woolman era nato, il 19 ottobre 1720, quinto dei dodici figli di Samuel Woolman e Elizabeth Hudson Burr, una famiglia quacchera di Rancocas, nel New Jersey, non lontano da Filadelfia. Da ragazzo ebbe una prima rudimentale istruzione nella scuola quacchera del paese, ma la sua formazione fu comunque autodidatta. Dopo una malattia, seguita ad una sbandata adolescenziale, cominciò a lavorare come garzone in un panificio e a frequentare regolarmente gli incontri della Società degli Amici, sempre più attento ad ascoltare gli insegnamenti di Gesù e preoccupato di porli in pratica. Iniziatosi al mestiere di sarto, sposò ventinovenne Sarah Ellis, da cui nacquero due figli, Mary e William. Nel 1756 cominciò a redigere il suo Diario e prese a pubblicare alcuni opuscoli contro il sistema schiavista. Tale lotta sarebbe divenuto obiettivo prioritario della sua vita. Diceva che “l’unica maniera cristiana per trattare gli schiavi è liberarli”. Sempre ospitalissimo con tutti, rifiutava tuttavia di accogliere in casa chi fosse proprietario di schiavi. Durante le guerre contro i francesi e contro gli indiani, scelse l’obiezione di coscienza, rifiutando di pagare le tasse di guerra e preferendo pagare le multe salate a cui era ogni volta condannato. Visse semplicemente, delle cose essenziali, sapendo che il desiderio smodato del lusso e delle ricchezze è la radice di tutte le oppressioni e le guerre. Decise di non mangiare nulla che contenesse zucchero o melassa perché prodotto dal lavoro degli schiavi, e rifiutò gli abiti tinti per la stessa ragione. Sosteneva che non ci si può limitare ad evitare l’oppressione diretta degli altri esseri umani, ma si deve rifiutare il consumo e il godimento di ogni bene che sia frutto dello sfruttamento umano. Inviato in Inghilterra per divulgare tra le locali congregazioni quacchere le idee abolizioniste, si ammalò di vaiolo e morì il 7 Ottobre 1772, nella città di York.

Manuel Antonio Reyes era nato il 13 dicembre 1945 a San Rafael Oriente, nel dipartimento di San Miguel (El Salvador). Era parroco di Santa Marta, nella Colonia “10 Settembre”, quando la mattina del 6 ottobre 1980 la sua casa venne perquisita e lui sequestrato da individui che dichiarano di appartenere a “nuclei investigativi”. Il giorno seguente il Ministro della Difesa, a Mons. Rivera y Damas, che gli chiede conto della scomparsa, assicura il suo interessamento. Ma, il giorno stesso, il corpo senza vita del sacerdote è ritrovato per strada. Per questo prete di trentacinque anni il suo legame con la comunità cristiana di un quartiere operaio è stato motivo sufficiente per decretare la sua morte.

I testi che la liturgia odierna propone alla nostra riflessione sono tratti da:
Lettera ai Galati, cap.2, 1-2.7-14; Salmo 117; Vangelo di Luca, cap.11, 1-4.

La preghiera del mercoledì è in comunione con quanti, lungo i cammini più diversi, perseguono un mondo di giustizia, fraternità e pace.

Per stasera è tutto. Noi ci si congeda qui, lasciandovi alla lettura del brano di una lettera di fr. Timothy Radcliffe, già maestro generale dell’Ordine domenicano, dedicata al Rosario. La troviamo in rete ed è, per oggi, il nostro

PENSIERO DEL GIORNO
Un domenicano americano che ritornava in Cina qualche anno fa, vi trovò parecchi gruppi di domenicani laici che erano sopravvissuti agli anni di persecuzione e di isolamento. La sola cosa che essi avevano conservato durante tutti quegli anni, era stata di recitare il Rosario tutti insieme: era il pane quotidiano della sopravvivenza.Ed essendosi recati nelle regioni remote del Messico per incontrare gruppi di laici domenicani che da anni non avevano avuto più alcun contatto con l’ordine, molti dei nostri fratelli scoprirono la stessa cosa: l’unica pratica che si conservava era quella del Rosario. È la preghiera per i sopravvissuti del tempo presente. Bede Jarrett, padre provinciale inglese negli anni trenta, mandò in Africa del Sud un membro della provincia di nome Bertrand Pike, per aiutare la nuova missione dell’Ordine. Bertrand si sentì però sopraffatto e incapace di far fronte alla situazione: era più di quanto lui potesse sopportare, gli mancava il coraggio di continuare. Bede allora, con una lettera, gli ricordò di un’epoca in cui, durante la guerra, egli aveva attinto il coraggio dal Rosario: “Ricordi quel giorno terribile in cui dovevi attraversare le trincee a Ypres, quando ti mancava il coraggio, e solo dopo tre o quattro tentativi ti forzasti a passare, e ti accorgesti dopo che i grani tagliati del rosario ti avevano morso le dita, nell’inconsapevole gesto di afferrarli per attingere dalla loro stretta un nuovo slancio di coraggio… Ma, mio caro Bertrand, coraggio e paura non sono opposti. Hanno coraggio soltanto coloro che fanno il loro dovere anche quando hanno paura e Bertrand deve tenere sicuramente il suo rosario ben stretto per trovare il coraggio “adesso e nell’ora della sua morte”. Il Rosario è la preghiera di tutti noi che abbiamo bisogno di coraggio per continuare, per trionfare davanti alla paura. Esso ci dà il coraggio del pellegrino. (Timothy Radcliffe O. P., Il rosario).

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 07 Ottobre 2020ultima modifica: 2020-10-07T22:47:48+02:00da fraternidade
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