Giorno per giorno – 06 Ottobre 2020

Carissimi,
“Marta si fece avanti e disse: Signore, non t’importa nulla che mia sorella mi abbia lasciata sola a servire? Dille dunque che mi aiuti. Ma il Signore le rispose: Marta, Marta, tu ti affanni e ti agiti per molte cose, ma di una cosa sola c’è bisogno. Maria ha scelto la parte migliore, che non le sarà tolta” (Lc 10, 40-42). Sul monte della trasfigurazione, la voce dalla nube aveva detto: “Questi è il Figlio mio, l’eletto; ascoltatelo” (Lc 9, 35). Stamattina, ci dicevamo che, dopo tanti secoli, se va bene (ma proprio se va bene), siamo in grado di osservare tutti i comandamenti – da buoni neo-farisei – , ma non abbiamo ancora davvero imparato a ubbidire a questo comando, l’unico che può davvero rivelarci chi è il Dio che Gesù ci ha rivelato, l’Abbà che ci ama, comunque noi siamo, di amore infinito. Senza questo ascolto, si sprofonda come la buona e pur volenterosa Marta, in un attivismo senza radici, di cui a un certo punto, avendone perso il senso che dovrebbe guidarlo, ci si può anche stancare, sempre che non serva a concimare un certo egoismo travestito da santo, che ci porta a guardare con religioso orgoglio ai meriti con tanta fatica acquisiti. Il vangelo di oggi ci mette davanti a questa nuda verità: la cosa buona, la sola in grado di orientare tutto il nostro agire, è l’ascolto che caratterizza Maria, seduta i piedi di Gesù. È questo ascolto che ci consente di replicarlo, in ogni occasione e incontro della vita, attraverso cui l’Altro continua a parlarci, plasmando poi il nostro agire, non come acrimoniosa valorizzazione del proprio operato, ma come generosa espressione di quella dedizione incondizionata, che è la nostra comune origine.

Oggi è memoria di Bruno di Colonia, monaco fondatore della Certosa, e di William Tyndale, riformatore e martire.

Nato, nel 1030, a Colonia (nell’attuale Germania), in una nobile famiglia, Bruno di Hartenfaust, una volta ordinato sacerdote, si dedicò per venticinque anni all’insegnamento della Teologia, nell’archidiocesi di Reims. A cinquantaquattro anni, dopo un ritiro nell’abbazia di Molesmes, in Francia, decise, con sei compagni, di darsi alla vita eremitica nella regione allora disabitata della Chartreuse. Abitando in piccole abitazioni individuali, i monaci presero a vivere un’esistenza austera, silenziosa e laboriosa, riunendosi solo per pregare insieme l’Ufficio Divino. Nacque così l’Ordine dei Certosini. Quattro anni più tardi, il papa Urbano II, suo antico allievo, lo volle a Roma come suo consigliere, per dar mano alla riforma della Chiesa. Ma l’atmosfera che si respirava alla corte pontificia e i crescenti dissidi tra il papa e l’imperatore non dovettero piacere granché all’austero monaco, che nel 1092, preferì tornare alla sua vita, recandosi questa volta in Calabria, dove fondò l’eremo di Serra, nei pressi di Squillace. Lì morì il 6 ottobre dell’anno 1101.

William Tyndale era nato nel 1493 nella contea di Gloucester. Poco si sa della sua giovinezza, salvo il fatto che studiò ad Oxford e a Cambridge. Divenuto prete, subì presto l’influenza delle idee riformatrici di John Wycliff, che sosteneva la necessità per la gente comune di riappropriarsi della Bibbia. Per fronteggiare questa “minaccia”, da oltre un secolo, nel 1408, era stata approvata una legge che proibiva ogni traduzione della Bibbia in inglese e comminava la scomunica a chiunque si azzardasse a leggere la Sacra Scrittura. Sorpreso per l’ignoranza che caratterizzava gran parte del clero, Tyndale dichiarò un giorno ad uno dei suoi colleghi: “Se Dio mi darà vita a sufficienza, farò sì che un qualunque popolano arrivi a conoscere la Bibbia più di voi”. Fino ad allora, l’unica traduzione disponibile della Bibbia era quella manoscritta da Wycliffe, distribuita clandestinamente dai Lollardi. Basata sulla Vulgata latina e non sui testi originali ebraici e greci, era tuttavia piuttosto approssimativa. Tyndale chiese allora al Vescovo di Londra, Cuthbert Tunstall, il permesso di intraprenderne una nuova. Ma, invano. Deluso, nel 1524, lasciò il Paese, recandosi ad Amburgo, dove si dedicò a tempo pieno a quello che ormai considerava il compito della sua vita. Scoperto e denunciato, fuggì a Worms, dove riuscì a dare alle stampe e ad inviare in Inghilterra la prima edizione della traduzione del Nuovo Testamento in lingua corrente. Era il 1526. Il vescovo Tunstall non gradì e ordinò di bruciare nella pubblica piazza tutte le copie sequestrate. Trasferitosi ad Anversa, dove contava di essere piú al sicuro, Tyndale pubblicò nel 1530 il Pentateuco e la seconda edizione del Nuovo Testamento. Sfortunatamente, nel maggio del 1535, tradito da un suo connazionale di nome Henry Phillips, fu arrestato e rinchiuso nella prigione di Vilvoorde, nei pressi di Bruxelles. Processato da un tribunale della Chiesa d’Inghilterra, che Enrico VIII aveva da poco reso indipendente da Roma, Tyndale fu condannato a morte. Prima di essere strangolato e poi bruciato, in piazza a Bruxelles, il 6 ottobre 1536, gridò: “Signore, apri gli occhi del Re d’Inghilterra!”. E l’anno successivo, di fatto, Enrico VIII avrebbe concesso la sua approvazione alla traduzione e alla diffusione della Bibbia di Tyndale.

I testi che la liturgia odierna propone alla nostra riflessione sono tratti da:
Lettera ai Galati, cap. 1,13-24; Salmo 139; Vangelo di Luca, cap. 10, 38-42.

La preghiera del martedì è in comunione con le religioni tradizionali del Continente africano.

È tutto, per stasera. Noi ci congeda, lasciandovi alla lettura di un brano di un certosino anonimo. Lo troviamo sotto il titolo “Fisionomia spirituale di San Bruno” nel sito “San Bruno e i certosini”, ed è, per oggi, il nostro

PENSIERO DEL GIORNO
Alla radice della vita spirituale di Bruno vi è un amore ardente ed esclusivo per Dio solo. È per amore e in uno slancio d’amore che Bruno e i suoi compagni fecero voto, nell’orto di Adamo, di abbracciare la vita monastica: “divino amore ferventes”. Da questo momento la ricerca esclusiva di Dio sarà il fine perseguito con fermezza da Bruno, sarà il filo conduttore di tutta la sua vita, per cui lascerà tutto ciò che riteneva potesse ostacolarlo in questo suo cammino. Questo spiega la sua scelta per la solitudine che egli vede come il luogo privilegiato dell’amore, dove l’anima può espandersi senza ostacoli, dove “si acquista quello sguardo pieno di serenità che ferisce d’amore lo Sposo celeste”, e si vive nell’attesa di Dio “per aprirgli subito appena busserà”. La solitudine è dunque per Bruno indissolubilmente legata all’amore: in essa il cuore acquista “quell’occhio puro e luminoso che vede Dio”; essa è il luogo della contemplazione, della beatitudine evangelica dei puri di cuore. Bruno è dunque modello di quella “verginità spirituale” che sarà tanto cara alla tradizione certosina e che consiste in una acuta nostalgia del divino che colma un’anima totalmente presa da Dio, e che attraversa il mondo alleggerita da tutto ciò che ingombra, per andare diritta al suo fine, con lo sguardo fisso in Dio, suo unico desiderio. (Un certosino, Fisionomia spirituale di San Bruno).

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 06 Ottobre 2020ultima modifica: 2020-10-06T22:31:51+02:00da fraternidade
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