Giorno per giorno – 23 Settembre 2020

Carissimi,
“Gesù chiamò a sé i Dodici e diede loro forza e potere su tutti i demòni e di guarire le malattie. E li mandò ad annunciare il regno di Dio e a guarire gli infermi. Disse loro: Non prendete nulla per il viaggio, né bastone, né sacca, né pane, né denaro, e non portatevi due tuniche. In qualunque casa entriate, rimanete là, e di là poi ripartite” (Lc 9, 1-4). A molti non dispiacerebbe far parte della squadra dei Dodici, se tutto si limitasse al dono di “forza e potere” per allontanare tutti i mali e guarire le malattie. Se anche non rappresentasse l’occasione per garantirsi una buona rendita stabile, si tradurrebbe però pur sempre in aumento di fama e notorietà quanto basta per solleticare il mai soddisfatto amor proprio. Ma, Gesù non si ferma lì. Detta regole precise circa le modalità secondo cui deve svolgersi la missione, aperte da un categorico: “Non prendete nulla per il viaggio”. E specifica ciò che non ci si deve portare appresso, che sono poi le cose che si poteva permettere un povero nei suoi trasferimenti: un bastone per difendersi o su cui appoggiarsi, una sacca, in cui riporre poche cose, un cambio di vestiti, qualche alimento, un po’ di denaro. Ebbene, niente di tutto questo. Oggi, aggiungerebbe: neppure la carta di credito, che, piccola com’è, rende queste e molte altre cose immediatamente disponibili nel momento del bisogno. Per rendere in qualche modo attuabile, e perciò credibile, questo comando di Gesù, si sono inventati lungo i secoli gli Ordini mendicanti, che però hanno quasi subito smesso di mendicare e hanno via via accumulato discrete fortune. Ben oltre la pur misera bisaccia che Gesù aveva proibito, vedendo già in essa una prima forma di accumulazione. Che fare, dunque, che non sia semplicemente lo staccare il cuore dalle richezze di cui però continuiamo a poter disporre? Forse un inizio di risposta può consistere in un uso povero e condiviso delle cose, in atteggiamento mite, nonviolento, disarmando la mente e il cuore, facendo del pane della Parola di Dio il nostro alimento quotidiano che ci trasforma in pane. Essere pane per la fame degli altri e lasciare che la compagnia degli altri sia pane per la nostra fame. Che è il mistero dell’Eucaristia. Chiesa, tutti noi, ogni volta in uscita, come ripete papa Francesco. Per entrare, stare, testimoniando fraternità, e ripartire.

Il nostro calendario ci porta la memoria di Francisco de Paula Victor, prete afrobrasiliano al servizio della carità.

Francisco de Paula Victor venne al mondo in un fienile della “senzala”, (l’abitazione riservata agli schiavi del tempo), di una piantagione nel municipio di Campanha (Minas Gerais). Era figlio della schiava Lourença Maria de Jesus e di padre ignoto. Il piccolo fu presto preso a benvolere dalla padrona della fazenda, dona Mariana Bárbara Ferreira, che si preoccupò di alfabetizzarlo e istruirlo. Ammirata per le qualità morali del ragazzo e per la sua disposizione allo studio, la donna chiese che gli fosse consentito entrare in seminario a Mariana, offrendo per lui in dote metà della fazenda Conquista, di sua proprietà. È facile immaginare quali e quante, in un ambiente esclusivamente di bianchi, fossere le umiliazioni e soperchierie a cui il giovane fu sottoposto durante tutto il periodo degli studi. I suoi biografi attestano che, però, egli “seppe sempre comprendere, perdonare e amare coloro che l’offendevano”. Sapendo, poi, col tempo, conquistare tutti con la sua mitezza e docilità. Ordinato prete, esercitò per 53 anni il suo ministero nella parrocchia di Três Pontas, dove gli toccò subire le stesse difficoltà del seminario, riuscendo tuttavia anche in questo caso a superare le barriere del pregiudizio razziale e attirando ben presto a sé gli abitanti, non solo della parrocchia, ma dell’intera regione. La sua azione pastorale si caratterizzò soprattutto per l’attenzione nei confronti degli ultimi, visitando gli ammalati, ospitando gli invalidi, occupandosi, benché lui stesso fosse poverissimo, dei più poveri. Morì il 23 settembre 1905. La sua salma restò esposta per tre giorni, per ricevere il pellegrinaggio devoto e riconoscente della sua gente.

I testi che la liturgia odierna propone alla nostra riflessione sono tratti da:
Libro dei Proverbi, cap.30, 5-9; Salmo 119; Vangelo di Luca, cap.9, 1-6.

La preghiera del mercoledì è in comunione con tutti gli operatori di pace, quale che ne sia il cammino spirituale o la filosofia di vita.

È tutto. O quasi. Ricorderemo, anche solo brevemente, che, come oggi, pochi giorni dopo il golpe militare che l’11 settembre 1973 sopprimeva le libertà democratiche in Cile, moriva Neftali Ricardo Reyes y Basoaltonel, più conosciuto come Pablo Neruda, una delle voci più limpide della poesia latino-americana. Scegliamo, allora di congedarci, offrendovi in lettura una sua tenerissima poesia, dedicata alla “Mamadre” (che non avrebbe mai potuto chiamare matrigna), di cui dice “la vita ti fece pane”. Che è ciò che dovremmo essere tutti. È questo, per oggi, il nostro

PENSIERO DEL GIORNO
La Mamadre, ecco che arriva / con zoccoli di legno. Ieri / soffiò il vento del polo, si sfondarono / i tetti, crollarono / i muri e i ponti, / l’intera notte ringhiò con i suoi puma, / ed ora, nel mattino / del sole freddo, arriva / mia mamadre, signora / Trinidad Marverde, / dolce come la timida freschezza / del sole delle terre tempestose, / lanternina / minuta che si spegne / e si riaccende / perché tutti distinguano il sentiero. // Oh, dolce mamadre / mai ho potuto / dire matrigna, / la mia bocca trema a definirti, / perché appena / fui in grado di capire / vidi la bontà vestita di poveri stracci scuri, / la santità più utile: / quella della farina e dell’acqua, / e questo fosti: la vita ti fece pane / e lì ti consumammo / nei lunghi inverni desolati / con la pioggia che grondava / dentro la casa / e la tua ubiqua umiltà / che sgranava / l’aspro / cereale della miseria / come se tu andassi / spartendo / un fiume di diamanti. // Ahi, mamma, come avrei potuto / vivere senza ricordarti / ad ogni mio istante? / Non è possibile. Io porto / il tuo Marverde nel mio sangue, / il cognome / di quelle / dolci mani / che ritagliarono da un sacco di farina / le brachette della mia infanzia, / di lei che cucinò, stirò, lavò, / seminò, calmò la febbre, / e, quando ebbe fatto tutto / e ormai potevo / reggermi saldamente, / si ritirò, cortese, schiva, / nella piccola bara / dove rimase in ozio per la prima volta / sotto la dura pioggia del Temuco. // (Pablo Neruda, la Mamadre).

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 23 Settembre 2020ultima modifica: 2020-09-23T21:01:34+02:00da fraternidade
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