Giorno per giorno – 20 Luglio 2020

Carissimi,
“Allora, alcuni scribi e farisei dissero a Gesù: Maestro, da te vogliamo vedere un segno. Ed egli rispose loro: Una generazione malvagia e adultera pretende un segno! Ma non le sarà dato alcun segno, se non il segno di Giona il profeta” (Mt 12, 39-39). Chiedere segni per credere rivela già, anche nelle relazioni umane, una mancanza di fiducia nella parola dell’altro. Per sopperire alla quale nessun segno sarà mai sufficiente. Classico esempio di questa incredulità è la pretesa prova d’amore richiesta in una relazione passionale al suo sorgere, il cui ottenimento finisce spesso per essere conferma della sfiducia nutrita, a partire dalla facilità con cui è stata data. E via dunque per un’altra prova! Chi ama non ha bisogno di prove, come infatti i discepoli che seguono Gesù, non ne chiedono. Lo seguono e basta. Sulla parola. Chi non crede o chi crede male, non finirà mai di correre dietro alle prove che di volta in volta ritiene più convincenti, rifiutandole, o cedendo loro per ingenuità, di cui magari un giorno si pentirà. Nessuna prova, dice Gesù. Salvo una, quella di Giona. Quella cioè che pone tutti, credenti e non credenti, ingenui e furbi, buoni e cattivi, sotto il segno della misericordia, che è data a tutti nell’evento della Croce, evocato dai “tre giorni e tre notti nel cuore della terra” (v.40), di cui parla Gesù. Un segno che è segno, non per un’evidenza matematica, ma solo per chi, una volta di più gli presta fede. E siamo così messi in guardia contro qualsiasi altro segno, affermazione, rivelazione, visione, che si azzardi ad affermare il contrario, quand’anche risulti più ragionevolmente fondato su una sapienza umana o una credenza meramente religiosa, incapace di comprendere quella che Paolo definisce la stoltezza divina. E noi, ci ostineremo a pretendere altre prove oltre a quella definitiva e assoluta rivelataci in Gesù?

Il calendario ci porta oggi le memorie di Elia il Tisbita, profeta, e di Louis-Joseph Lebret, profeta del riscatto e della solidarietà tra i popoli.

Profeta del sec. IX a.C., Elia era originario di Tishbe in Galaad. Lottò strenuamente in difesa del culto del Dio liberatore contro quello dei baal (gli idoli-padroni arbitrari della vita). Nell’episodio della rivelazione ricevuta sul Monte Oreb (1Re 19,8 ss), la Bibbia ci documenta una sua conversione nella comprensione del mistero di Dio. Il loquace Elia (era profeta e parlare pensava fosse il suo mestiere!) scopre che Dio si rivela più e meglio nel silenzio. È un invito a fare vuoto in noi, a liberarci dalle molte parole su di Lui, per lasciare agire Lui. Nel libro dei Re (2Re 2,11) si narra che Elia salì al cielo su un carro infuocato, avvolto in un turbine. Da qui deriva la credenza ebraica che egli non sia morto, ma che continuamente faccia ritorno sulla terra, per aiutare i fedeli bisognosi.

Louis-Joseph Lebret era nato a Minihic, nei pressi di Saint-Malo, in Bretagna, il 26 giugno 1897. Entrato giovanissimo nella Scuola Navale, ne era uscito ufficiale di marina, prendendo parte poco dopo alla Prima Guerra Mondiale. Nel 1923, sentendo la chiamata alla vita religiosa, lasciò la marina e entrò nell’Ordine domenicano. Negli anni successivi all’ordinazione, si sensibilizzò alla situazione dei piccoli pescatori bretoni, colpiti dalla crisi economica di quegli anni, aiutandoli a fronteggiarla e fornendo loro gli strumenti per un’analisi critica della realtà socio-economica, in vista di un’alternativa che vedesse finalmente l’economia al servizio dell’uomo. Sviluppando questa visione, creò nel 1941 l’istituto Economia e Umanesimo. A partire dal 1947, riconosciuto internazionalmente per la serietà dei suoi studi, venne ripetutamente invitato in diversi paesi del Sud del mondo per offrire il suo contributo ad uno sviluppo globale, armonizzato e autopropulsivo. Negli anni 60 il papa Paolo VI lo chiamò a Roma come perito al Concilio Vaticano II e lo volle come suo maggior collaboratore nella redazione della sua enciclica sullo sviluppo dei popoli, la Populorum Progressio. Padre Lebret morì a Parigi il 20 luglio 1966.

I testi che la liturgia odierna propone alla nostra riflessione sono tratti da:
Profezia di Michea, cap.6, 1-4. 6-8; Salmo 50; Vangelo di Matteo, cap.12, 38-42.

La preghiera di questo lunedì è in comunione con i fedeli del Sangha buddhista.

È tutto, per stasera. Noi ci si congeda qui, offrendovi in lettura una preghiera di Louis-Joseph Lebret, che troviamo in rete sotto il titolo “La vie chrétienne est une folie continue” e che è, per oggi, il nostro

PENSIERO DEL GIORNO
La vita cristiana è una follia continua. La vita cristiana è la negazione della prudenza come la intendono gli uomini; è il salto ripetuto verso l’ignoto, la marcia dietro la stella; è la speranza che è garantita solo dalla fede, l’impresa che si ricomincia da capo ad ogni tappa con mezzi di fortuna perché Cristo ha detto che bisognava avanzare e che con lui possiamo trasportare le montagne. Come può uno con tale conoscenza della propria debolezza aprire sempre nuovi progetti, coinvolgere sempre più uomini nella propria avventura, abituarsi a non vivere mai se non nell’irrealizzabile, nell’impossibile? Il fatto è che c’è nell’anima, nel più profondo, una fiammella che spesso sembra tremolare, ma che non si spegne mai, un soffio leggero che non si interrompe mai, una spinta divina verso ciò che è impossibile agli uomini perché ciò che è impossibile agli uomini rimane possibile a Dio. Così sia. (Louis-Joseph Lebret, La vie chrétienne est une folie continue).

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 20 Luglio 2020ultima modifica: 2020-07-20T23:40:19+02:00da fraternidade
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