Giorno per giorno – 19 Luglio 2020

Carissimi,
“Il regno dei cieli è simile a un uomo che ha seminato del buon seme nel suo campo. Ma, mentre tutti dormivano, venne il suo nemico, seminò della zizzania in mezzo al grano e se ne andò. Quando poi lo stelo crebbe e fece frutto, spuntò anche la zizzania” (Mt 13, 24-26). Perché il male? Da chi? Da dove? Come agire nei suoi confronti? Saranno vere le terribili parole che Isaia (e non solo lui) fa pronunciare a Dio: “Io faccio il benessere, io creo il male” (Is 45, 7), variamente tradotto per attenuarne inutilmente lo scandalo (ma l’originale porta proprio “male”)? Dovremo arrivare a diffidare di Dio? Gesù non ci sta. E deve saperne ben più di Isaia e degli altri, perciò non esita a correggerli. Il male non è opera di Dio. Il regno dei cieli è il progetto di Dio per l’umanità e l’insieme della creazione. Ed è cosa buona, molto buona. Come si spiega, che cos’è il male, allora? Il male è opera del Nemico del Regno. Se il Regno, il bene, è l’amore misericordioso, la dedizione incondizionata, la sovrabbondanza del dono di sé, fino a perdersi per la vita dell’altro, il male è il suo contrario, la ritenzione di sé, la chiusura, l’egoismo, l’indifferenza, la violenza, fino all’eliminazione dell’altro per la propria affermazione. Male che, spesso, è [stato] confuso col bene, anche da chi, dicendosi cristiano, non ha esitato a usare le “maniere forti” (lo strappare la zizzania), per difendere quello che affermava essere il bene da ciò che di volta in volta identificava come male, mentre, così facendo, in realtà negava il Bene (significato dall’inevitabile contestuale strappare il grano), operando perciò il male. Pensiamo alle persecuzioni degli eretici (ogni chiesa ha avuto e ha i suoi), l’inquisizione, i roghi, le crociate, le sommarie condanne, le facili scomuniche. Dimenticando che, così facendo, ci si arroga il giudizio che compete solo a Dio, il quale per altro non giudica, ma, sulla croce del Figlio, si addossa il male del mondo, bruciando ogni peccato (la zizzania nostra e degli altri) nel fuoco inestinguibile del suo amore. Noi si deve solo imparare a moltiplicare il bene, come unica forma di contrastare il male, fuori e dentro di noi.

I testi che la liturgia di questa XVI Domenica del Tempo Comune propone alla nostra riflessione sono tratti da:
Libro della Sapienza, cap.12,13.16-19; Salmo 86; Lettera ai Romani, cap.8, 26-27; Vangelo di Matteo, cap.13, 24-43.

La preghiera della Domenica è in comunione con tutte le comunità e chiese cristiane.

Oggi è memoria di Arsenio il Grande, monaco e eremita, e di Macrina la Giovane, monaca “domestica” e contemplativa. In America Latina noi ricordiamo anche la figura di Tupac Amaru, martire della resistenza indigena in Perù.

Arsenio nacque a Roma intorno al 354 da una nobile famiglia. Nel 383 l’imperatore Teodosio lo chiamò alla corte di Costantinopoli per affidargli l’educazione dei figli Arcadio e Onorio. Dopo aver svolto tale funzione per undici anni, Arsenio entrò in una profonda crisi spirituale e ottenne dall’imperatore di potersi ritirare nel deserto egiziano. Recatosi ad Alessandria d’Egitto, si unì alla comunità degli anacoreti di Scete, in pieno deserto. Qui trascorse quasi quarant’anni, vivendo in solitudine, dedicandosi alla preghiera, alla meditazione e al lavoro manuale. Quando nel 434 Scete fu invasa da una tribù libica, Arsenio si spostò a Troe, presso Menfi, dove visse fino al 450 circa. Raccontano di lui, che dopo molti anni di servizio al Signore, gli altri monaci lo udirono un giorno gridare a Dio: “O Dio, non mi abbandonare; non ho fatto niente di buono ai tuoi occhi, ma nella tua bontà concedimi di cominciare”. Al suo ultimo giorno di vita, poi, a quanti, vedendolo piangere, gli chiedevano se avesse paura, rispose: “Il timore che provo ora mi ha sempre accompagnato da quando mi sono fatto monaco”. Detto questo, morì. Deve aver scoperto solo allora che non era il caso di tanto timore. Ma, al buon Dio, gli sarà piaciuto anche così, come tutti gli piacciamo, comunque noi siamo.

Macrina appartenne ad una famiglia di santi. Il nome le fu dato in onore della nonna paterna, Macrina l’Anziana, pure lei santa (di cui si fa memoria il 14 di gennaio). Così come santi furono i genitori, Basilio e Emmelia e altri tre fratelli, Basilio, Gregorio e Pietro. Nata a Cesarea, in Cappadocia, nell’ano 325, poco dopo la morte del padre, avvenuta nel 340, decise di non allontanarsi mai dalla madre, per prendersi cura con lei dell’educazione dei fratelli, giungendo ad esercitare una profonda influenza sulla loro crescita spirituale. Pur avendo ereditato dal padre una considerevole fortuna, abituò la famiglia a evitare ogni tipo di lusso e di privilegio, vivendo con estrema semplicità. Alla morte della madre, fondò un convento nella tenuta della famiglia. Nel 379, Gregorio, uno dei maggiori teologi di tutti i tempi, andò a visitare la sorella e la incontrò inferma, distesa su un semplice letto di tavole. Restarono per ore a parlare sul senso della vita, sulla morte e sulla vita futura. Finché lei esalò l’ultimo respiro.

Tupac Amaru, cacicco inca di Tangasuca (Perù), si ribellò all’oppressione spagnola, rivendicando uguaglianza di diritti per i suoi fratelli indigeni. Nel 1781, fu sconfitto, decapitato e squartato nella piazza di Huacaypata, assieme alla sua sposa, Micaela Bastidas.

È tutto, per stasera. Noi ci si congeda qui, offrendovi in lettura un brano tratto dalla “Vita di Arsenio”, inclusa nella raccolta di “Vite di Santi egiziani” (Edizioni Terra Santa) curata da Bartolomeo Pirone. Che è, per oggi, il nostro

PENSIERO DEL GIORNO
Allorché i meriti del nostro abba Arsenio rifulsero in mezzo alla vita che i monaci menavano, un gran numero di fratelli divennero suoi discepoli ed egli insegnava loro le norme della vita monastica, li plasmava, li ammoniva con molti moniti e li spronava ad affrontare le fatiche della vita ascetica. Più assidui tra tutti nel dedicarsi con cura alla sua frequentazione, furono questi cinque, ossia Alessandro, Daniele, Marco, Zenone e Zoilo. Una volta Alessandro gli chiese di dire loro una parola di salvezza e il vegliardo gli disse: “Applicati, figliolo, secondo le tue forze, a che il tuo agire interiore sia ognora unito con Dio. In questo modo, infatti, potrai soggiogare i mali che vengono dall’esterno”. E Daniele gli disse: “I miei pensieri, padre, mi affliggono dicendomi: ‘Se non sei capace di molto digiuno, di menare vita ascetica e di stare stabilmente nella cella, vai a visitare gli ammalati. Questo precetto, infatti, è un precetto divino ed è di per sé bastante per salvarti’.”. Notando il vegliardo il seme che il demonio aveva seminato nel cuore del fratello, lo fissò e gli disse: “Ritirati, mangia e bevi quel che è agevole, dormi e non fare nulla di male. Non uscire dalla tua cella”. Egli ben sapeva, infatti, che starsene pazientemente in cella, consolida il monaco nella sua regola e lo rinsalda nelle virtù. E Marco, a sua volta, gli disse: “Perché ti sottrai a noi, o padre?”. E il vegliardo gli rispose: “Lo sa Iddio, figlioli, che vi amo, e però non posso essere con Dio e con gli uomini; solamente le miriadi di angeli e tutti i cori celesti hanno una sola volontà, mentre gli uomini ne hanno diverse. Non posso perciò lasciare Dio e mischiarmi alla massa degli uomini”. E Zenone a sua volta gli chiese: “Per quanta parte della notte, padre, basta ad un monaco dormire?”. Il pio Arsenio gli rispose: “Al monaco vigilante una sola ora è più che sufficiente, a chi invece è a costui inferiore, tre ore bastano, chi però è debole, divida la notte in due parti”. E Zoilo gli disse: “Cosa dovrò fare in me della mia intenzione?”. Gli rispose il vegliardo: “Se non ti dai da fare a sradicare la pianticella quando è tenera, come è appunto l’intenzione, radicherà in profondità, divenendo una folta foresta”. (Vita di Arsenio il Grande).

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 19 Luglio 2020ultima modifica: 2020-07-19T22:53:25+02:00da fraternidade
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