Giorno per giorno – 21 Luglio 2020

Carissimi,
“Qualcuno gli disse: Ecco di fuori tua madre e i tuoi fratelli che vogliono parlarti. Ed egli, rispondendo, disse: Chi è mia madre e chi sono i miei fratelli? Poi stendendo la mano verso i suoi discepoli disse: Ecco mia madre ed ecco i miei fratelli; perché chiunque fa la volontà del Padre mio che è nei cieli, questi è per me fratello, sorella e madre” (Mt 12, 47-50). Non sono i vincoli di sangue, né di religione o di chiesa a renderci famigliari di Gesù. Soprattutto se, apertamente o meno, stiamo alla larga dai suoi insegnamenti (“Ecco di fuori tua madre e i tuoi fratelli”), e, concretamente, attraverso le nostre scelte e comportamenti, così difformi dai suoi, dimostriamo di considerare illogica e pericolosa la sua maniera di agire (“è fuori di sé”, dicono di lui i suoi parenti, in Marco 3, 21). Ciò che conta non è volergli parlare, come si è soliti fare con Dio nelle religioni, nella speranza di convincerlo a piegarsi al nostro volere. Che, in genere, è espressione del nostro egoismo, dell’amore, per lo più sbagliato, di noi stessi e dei nostri. Gesù, sul monte, ci ha insegnato invece a chiedere al Padre che la sua volontà si compia e di fare, perciò, di noi i suoi esecutori. E la volontà di Dio è il contrario del nostro personale, famigliare, religioso, patriottico, desiderio di affermazione, realizzazione e successo. È il suo desiderio che noi si lavori ad una umanità di fratelli, che manifesti la verità della nostra fede nella paternità di Dio. Facendo questo saremo famiglia di Gesù, suoi fratelli, sorelle e madri. Genereremo il figlio di Dio nella storia.

Oggi il nostro calendario ci porta le memorie di Alejandro Labaca e Inés Arango, missionari e martiri nella foresta ecuadoriana; di Albert John Luthuli, testimone di pace; e di Franco Rodano, uomo dell’Esodo.

Il 21 luglio 1987 cadevano nella foresta amazzonica dell’Ecuador monsignor Alejandro Labaca, vescovo cappuccino del Vicariato apostolico di Aguarico, e suor Inés Arango, terziaria cappuccina della Congregazione della Sacra Famiglia. Alejandro Labaca era nato il 19 aprile 1920 a Beizama (Spagna). Cappuccino dal 1942, e sacerdote dal 1945, era stato mandato missionario in Ecuador, dove aveva speso decenni nell’approssimazione agli indigeni della regione amazzonica, apprendendo e condividendo con loro, lingua, costumi, tradizioni, modo di vestire e di mangiare. Riuscì a farsi benvolere da tutti i gruppi huaorani, meno uno, i tagairi, che non avevano mai accettato l’intromissione di nessuno sul loro territorio. Nominato vescovo di Aguarico, il 2 Agosto 1984, denunciò ripetutamente le violazioni del diritto alla vita, alla terra e alla salvaguardia della propria cultura perpetrate ai danni dei popoli della foresta da parte delle compagnie petrolifere, delle istituzioni e del governo. Quando, nel luglio del 1987, seppe che la Petrobras era decisa ad entrare nella regione abitata dai tagairi, volle recarvisi, con suor Inés Arango, benché entrambi fossero consapevole dei rischi che questo implicava. Il piano era discutere con gli indigeni la maniera di sfuggire al probabile sterminio. Il 21 luglio 1987, il vescovo e la suora furono depositati da un elicottero in una radura della foresta, e non se ne seppe più nulla fino al giorno, quando i loro corpi furono trovati, trafitti con decine di colpi di lancia. “Morti come huaorani, in difesa degli huaorani, uccisi dagli huaorani, ritenuti nemici, confusi con i loro nemici”.

Albert John Luthuli era nato nel 1898 a Bulawayo (nell’attuale Zimbabwe) dove il padre era missionario. Il nonno era capo di una piccola tribù a Groutville nella riserva della missione di Umvoti vicino a Stanger, nel Natal (Sudafrica). Alla morte del padre, Luthuli con la madre e il resto della famiglia fece ritorno al paese d’origine. Conseguito il diploma di insegnante, Luthuli sposò, nel 1927, Nokukhanya Bhengu, da cui avrà sette figli. Nel 1928 divenne segretario dell’Associazione degli Insegnanti africani e crebbe, nel frattempo, la sua attività in seno alla Chiesa congregazionalista di cui faceva parte. Il 1° gennaio 1936, lasciato l’insegnamento, subentrò allo zio nella guida della tribù, e mantenne la carica fino al 1952, quando fu “dimissionato” dal Governo della minoranza bianca del Sudafrica. Questo gli consentì, tuttavia, di dedicarsi a tempo pieno alle attività del ANC (Congresso Nazionale Africano), fino ad emergere come suo leader nazionale. La strategia dell’ANC combinava educazione politica e resistenza attiva non-violenta, i cui strumenti erano gli scioperi, il boicottaggio e la disobbedienza civile. La partecipazione alla lotta non-violenta per la fine del regime dell’apartheid si tradusse in ripetuti arresti e condanne al confino. Ma, gli valse, a livello internazionale, il conferimento del premio Nobel per la Pace, nel 1960. Contrariamente a quanti, suoi compagni di lotta, vedevano nel cristianesimo niente più che la religione degli oppressori, continuò a vivere con intensità e coerenza la sua fede cristiana. Vedendo, anzi in essa, la motivazione più vera e la radice più profonda del suo impegno politico. Luthuli morì il 21 luglio 1967 in un drammatico incidente ferroviario.

Franco Rodano è un nome che, oggi, forse, dice poco ai più, ma che ha significato molto per la generazione di cattolici, cresciuta, in Italia, nel crogiuolo della lotta antifascista e per quella che nel dopoguerra si è data come compito, nella confluenza con le forze espresse dal movimento operaio, quello di pensare e di aprire le vie di una salvezza storica, a partire dall’eliminazione dell’individualismo e dello sfruttamento dell’uomo sull’uomo. Nato a Roma il 6 agosto 1920, Rodano iniziò la sua carriera come antifascista militante nelle file dell’Azione cattolica e della Fuci. All’inizio degli anni quaranta è tra i promotori di quello che sarà il Partito comunista cristiano. Incarcerato e deferito al Tribunale Speciale, dopo l’8 settembre fonda il Movimento dei cattolici comunisti, chiamato in seguito Partito della sinistra cristiana. Allo scioglimento di questo, con altri militanti e dirigenti del partito aderisce al Pci, contribuendo con la sua riflessione al superamento della pregiudiziale atea e delle strettoie ideologiche che avevano caratterizzato fino ad allora il maggiore partito della sinistra italiana. Sofferta, ma senza cedimento alcuno a sterili forme di ribellismo, fu la sua testimonianza di fede. Colpito nel 1947 da interdetto, nonostante la sofferenza che la misura gli causa, Rodano continuerà con umiltà e costanza la sua partecipazione alla vita della Chiesa, nei limiti stabiliti dall’autorità ecclesiastica, fino a che la sanzione sarà ritirata, nel clima aperto dal Concilio Vaticano II, e poi fino alla morte, avvenuta a Monterado (Ancona) il 21 luglio 1983.

I testi che la liturgia odierna propone alla nostra riflessione sono tratti da:
Profezia di Michea, cap.7, 14-15.18-20; Salmo 85; Vangelo di Matteo, cap.12, 46-50.

La preghiera del martedì è in comunione con le religioni tradizionali africane.

E, per stasera, è tutto. In una serie di lezioni tenute, nella prima metà del 1969, a un gruppo di giovani del movimento studentesco, Franco Rodano cercò di sondare i possibili percorsi di una storia altra – rispetto a quella data – se si fosse presa sul serio la concezione dell’uomo, implicita in alcuni passi delle lettere paoline, capace di portare al superamento della figura signorile, allora, e a lungo, dominante, per affermare quella dell’uomo “servo di Dio”, in termini teologici, o, laicamente, “a servizio dell’umanità”. Il libro “Lezioni di storia ‘possibile’” (Marietti) raccoglie la trascrizione fedele di gran parte di quell’attività didattica e noi, nel congedarci, ve ne proponiamo un brano come nostro

PENSIERO DEL GIORNO
Vedremo, in un testo fondamentale di san Paolo non mai adeguatamente sviluppato, che nella posizione cristiana originaria c’è questa affermazione della dignità decisiva dell’uomo come “servo”, fuori di una mèta di assoluto. Constateremo anzi come per san Paolo, ove si neghi questa dignità dell’uomo in quanto servo, non ci può essere nemmeno fruizione dell’assoluto: ci può esser solo perseguimento disperato di esso. Vedremo difatti in san Paolo come, secondo la posizione cristiana originaria, il riconoscimento della bellezza, della dignità, della pienezza dell’uomo in quanto servo, non proteso dunque verso l’assoluto, sia la condizione indispensabile, per fruire di quest’ultimo. Non possiamo essere “figli” se non ci riconosciamo gioiosamente come “servi”: se non ci riconosciamo cioè – per usare parole indipendenti dal quadro religioso – come pienamente uomini nella nostra operazione, completamente e tranquillamente umana. E poiché, dopo il cristianesimo, l’assoluto è vita divina (sia essa concepita in termini religiosi di trascendenza, o lo sia in termini immanentistici, è comunque vita divina), io affermerei – tentando un’interpretazione audace ma seria di questo messaggio di Paolo – che a suo giudizio non si può essere realmente capaci di fruizione dell’assoluto, se non si è per così dire “atei”, nel senso di vedere tutta la bellezza della vita umana a prescindere dall’assoluto. Solo a questo punto può poi accadere “per grazia”, di accedere alla fruizione dell’assoluto: solo, cioè, dopo aver compreso tutta la grandezza dell’umana condizione immediata, storico-naturale. (Franco Rodano, Lezioni di storia “possibile”. Le lettere di san Paolo e la crisi del sistema signorile).

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 21 Luglio 2020ultima modifica: 2020-07-21T22:50:58+02:00da fraternidade
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