Giorno per giorno – 10 Luglio 2020

Carissimi,
“Il fratello farà morire il fratello e il padre il figlio, e i figli si alzeranno ad accusare i genitori e li uccideranno. Sarete odiati da tutti a causa del mio nome. Ma chi avrà perseverato fino alla fine sarà salvato” (Mt 10, 21-22). “Sarete odiati a causa del mio nome” è diverso dall’essere odiati per qualunque altro motivo, come spesso è accaduto e accade nella storia. Il vangelo di oggi si apriva con “Io vi mando come pecore in mezzo ai lupi” (v.16): è l’attitudine che rende i discepoli somiglianti al Maestro, disposti a subire persecuzione, violenza e morte, senza per questo ingegnarsi di vendicarsi con la stessa moneta. Purtroppo, l’invito di Gesù è rimasto spesso disatteso, al punto che i cristiani non hanno esitato a occupare la scena del mondo come lupi tra lupi, e, peggio ancora, come lupi contro agnelli. Le memorie che celebriamo oggi sono una triste testimonianza di ciò che accade quando la religione si prostituisce a strumento del potere o quando essa stessa in prima persona ne impugna le armi. Essere odiati a causa del nome di Gesù è determinato invece dall’aver posto la propria vita al servizio della sua causa, a testimonianza della universale volontà salvifica del Padre. È proprio questo, con le azioni che comporta, a indispettire i potenti del mondo, la cui logica consiste nel dividere, asservire, sfruttare e dominare, perseguitando perciò quanti affermano con la loro vita che un altro mondo è possibile, regno di solidarietà, fraternità e pace.

Oggi le chiese copta, ortodossa e cattolica fanno memoria di Cirillo d’Alessandria, pastore e padre della Chiesa. Il martirologio latinoamericano ricorda P. Faustino Villanueva, martire della solidarietà in Guatemala. Noi ricordiamo anche i 51 Martiri ebrei di Berlino, vittime del fanatismo religioso nel 1519.

Cirillo nacque nel 370, nei pressi di Alessandria d’Egitto, ma della sua vita conosciamo in pratica solo gli eventi che seguirono la sua nomina a papa di Alessandria, nel 412, quando succedette nella carica a suo zio, il patriarca Teofilo, uomo violento e intollerante nei confronti di pagani, ebrei e cristiani che non la pensassero come lui, responsabile tra l’altro, nel 403, della fraudolenta deposizione da patriarca di Costantinopoli di S. Giovanni Crisostomo. A titolo di curiosità, furono i patriarchi della Chiesa alessandrina i primi in ordine di tempo a fregiarsi del titolo di papa (papas, padre), ai tempi di Eracla, 13º patriarca (232-248) sulla cattedra che fu, secondo la tradizione, di san Marco. Cirillo, teologo colto e penetrante, non fu, come del resto lo zio, alla cui scuola era cresciuto, quel che si dice uomo di dialogo. Se anche non vi intervenne personalmente, delegò tuttavia ai suoi armigeri e sostenitori l’organizzazione di provocazioni e tumulti che sfociarono nella cacciata degli ebrei da Alessandria, nell’espulsione dei Novaziani dalle loro chiese, nonché, nel marzo del 415, nella folle uccisione della filosofa e scienziata pagana Ipazia. Dal punto di vista teologico, Cirillo si dedicò soprattutto ad elaborare una cristologia e una pneumatologia con base nell’Evangelo e nella tradizione. Si scontrò per questo con Nestorio, patriarca di Costantinopoli, sul cui insegnamento teologico ebbe la meglio, nel Concilio di Efeso (431), che vide l’affermarsi della sua teologia dell’Incarnazione: “L’Emmanuele consta con certezza di due nature: di quella divina e di quella umana. Tuttavia il Signore Gesù è uno, unico vero figlio naturale di Dio, insieme Dio e uomo; non un uomo deificato, simile a quelli che per grazia sono resi partecipi della divina natura, ma Dio vero che per la nostra salvezza apparve nella forma umana”. Sembra che, negli ultimi anni di vita, condotto a più miti consigli dalla pluriennale esperienza pastorale, si sia dedicato a ricercare un cammino che aiutasse a superare i contrasti insanabili tra le chiese, creati dalla radicalizzazione del dibattito teologico. Morì nel 444. La chiesa copta lo ricorda il 27 giugno del calendario giuliano, che corrisponde al nostro 10 luglio.

Faustino Villanueva era un missionario spagnolo della Congregazione del Sacro Cuore, giunto in Guatemala, ventottenne, nel 1959, e destinato alla parrocchia di Joyabaj, nel Quiché. Lì, come nelle altre località in cui fu inviato negli anni seguenti – Canillá, San Andrés Sajcabajá, San Bartolomé Jocotenango, San Juan Cotzal, Sacapualas – la sua attitudine pastorale fu sempre la stessa: conoscere la realtà e i problemi della gente, annunciare la Parola di Dio, celebrare l’Eucaristia e amministrare i sacramenti nei diversi villaggi e comunità, portare medicinali, animare e organizzare la catechesi, e, negli ultimi tempi, aiutare a costituire una piccola cooperativa di produzione che riuscisse a sottrarre la povera gente dalle mani degli usurai. Tutti lo conoscevano come grande organizzatore, uomo di dialogo, pacifico, equilibrato e serio, ma anche sempre teneramente vicino alla sua gente. In nulla, pericoloso e, tanto meno, sovversivo. Eppure, nel Guatemala di quegli anni, chiunque scegliesse di vivere a servizio delle comunità indigene, sapeva già di essere nel mirino degli squadroni della morte. Il 10 luglio 1980, a tarda sera, due giovani bussarono alla sua porta chiedendo di parlargli. Il prete li fece accomodare nell’ufficio parrocchiale. Il tempo di entrare e lo crivellarono di colpi. Morì a causa della sua dedizione agli indigeni del Quiché, i più emarginati nella società guatemalteca.

Nel 1519, un folto gruppo di Ebrei di Berlino fu accusato del furto sacrilego della pisside e delle ostie consacrate perpetrato in una chiesa di Knoblauch, un paese del circondario. Centoundici ebrei furono arrestati e processati sommariamente. Di essi, cinquantuno furono condannati a morte e trentotto mandati al rogo nella piazza del mercato. Era il 10 luglio 1519. Venti anni dopo, la Dieta di Francoforte li avrebbe riconosciuti tutti innocenti. Vittime dell’odio per la loro fede di cristiani fanatici.

I testi che la liturgia odierna propone alla nostra riflessione sono tratti da:
Profezia di Osea, cap.14, 2-10; Salmo 51; Vangelo di Matteo, cap.10, 16-23.

La preghiera del venerdì è in comunione con i fedeli della Umma islamica che professano l’unicità del Dio clemente e misericordioso.

Bene, per stasera è tutto. La memoria del martirio di Faustino Villanueva ci porta ad offrirvi in lettura, nel congedarci, un brano del teologo-martire della liberazione Ignacio Ellacuría, tratto dal suo articolo “Las Iglesias latinoamericanas interpelan a la Iglesia de España”, pubblicato in Sal Terrae 826(1982). Che è, così, per oggi, il nostro

PENSIERO DEL GIORNO
Vorrei chiedervi – anche se “chiedere” suona molto forte – solo due cose: prima, che rivolgeste il vostro sguardo e il vostro cuore a questi popoli, che stanno soffrendo tanto – alcuni di miseria e di fame, altri di oppressione e di repressione – e poi (dato che sono gesuita), che davanti a questo popolo così crocifisso faceste il colloquio proposto da S. Ignazio nella prima settimana degli esercizi, domandandovi: cosa ho fatto io perché fosse inchiodato alla croce? Che cosa faccio perché sia dischiodato dalla croce? Che cosa debbo fare perché questo popolo risusciti? (Ignacio Ellacuría, Las Iglesias latinoamericanas interpelan a la Iglesia de España).

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 10 Luglio 2020ultima modifica: 2020-07-10T22:10:12+02:00da fraternidade
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