Giorno per giorno – 09 Luglio 2020

Carissimi,
“Strada facendo, predicate, dicendo che il regno dei cieli è vicino. Guarite gli infermi, risuscitate i morti, purificate i lebbrosi, scacciate i demòni. Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date. Non procuratevi oro né argento né denaro nelle vostre cinture, né sacca da viaggio, né due tuniche, né sandali, né bastone, perché chi lavora ha diritto al suo nutrimento” (Mt 10, 7-10). Se l’apostolo è inviato per annunciare l’accadere del regno di Dio, non può limitarsi alle parole, è tenuto, invece, a mostrarne i segni, gli stessi che hanno caratterizzato la missione di Gesù. Nel linguaggio e nella realtà di oggi potremmo identificarli nel prendersi cura dei piú deboli, nel restituire alla vita [dell’amore] quanti ne sono privi, nel reintegrare nella comunione chi ne è stato escluso; nel favorire l’unità contro ogni forma di divisione e discriminazione. Il tutto gratuitamente, come espressione della gratuità della salvezza, e in povertà, non, perciò, in vista di un qualche guadagno, a volte così sfacciatamente sottratto alle già magre risorse dei poveri, ma, liberi dagli idoli del Sistema, pienamente solidali con loro.

Oggi ricordiamo Angelus Silesius, mistico tedesco del XVII secolo; Augustus Tolton, primo prete afroamericano negli Usa; Bruno Borghi, primo preteoperaio in Italia; e André Chouraqui, uomo dei tre mondi.

Johannes Scheffler nacque a Cracovia nel dicembre del 1624, figlio di Stenzel e di Maria Magdalena Henneman, entrambi luterani. Nel 1637 rimase orfano di padre e due anni più tardi gli morì la madre. Compiuti gli studi ginnasiali a Breslavia, nel 1643 si trasferì a Strasburgo e poi a Padova, per studiarvi diritto e medicina. È in questo periodo che prese a leggere autori mistici come Taulero e Meister Eckhart, che ne influenzarono la spiritualità. Nel 1649 ottenne l’incarico di medico di corte del duca Sylvius Nimrod von Württemberg in una cittadina nei pressi di Breslavia. Ma vi rimase solo tre anni a causa di un conflitto con il cappellano luterano di corte. Il 12 giugno 1653, Johannes aderì alla fede cattolica e assunse il nome di Angelus Silesius. Poco dopo fu nominato medico di corte dell’imperatore Ferdinando III e nel 1657 pubblicò gli scritti che aveva composto nel frattempo. Al fine di spogliarsi progressivamente dei propri beni, costituì fondazioni in favore di monasteri e di poveri. In quello stesso anno, venne ordinato sacerdote. Nel 1671 ottenne ospitalità in un monastero cistercense, dove trovò modo di sottrarsi agli attacchi che, dai tempi della sua conversione, gli venivano dagli ex-correligionari. Visse gli ultimi anni in assoluta povertà, dedito alla preghiera e alla contemplazione, morendo il 9 luglio 1677.

Augustus Tolton nacque, secondo di quattro figli, nella famiglia di una coppia di schiavi cattolici, Peter Paul e Martha Jane Tolton, a Ralls County, nel Missouri, il 1° Aprile 1854. Allo scoppio della Guerra Civile, nel 1861, il padre fuggì dalla proprietà e si arruolò nell’esercito dell’Unione al fine di lottare per la libertà della sua famiglia e per la fine dello schiavismo. Fu uno dei 180 mila negri che morirono durante la guerra. Martha Tolton a sua volta fuggì con i figli verso la libertà, attraversando il fiume Mississippi e stabilendosi a Quincy, nell’Illinois. Crescendo, il giovane Augustus manifestò il desiderio di essere prete, ma non si trovava un seminario disposto ad accoglierlo. Senza disanimare, egli studiò dapprima col suo parroco, poi, nel 1878, fu ammesso nella scuola gestita dai francescani a Quincy, dove rimase due anni, finché ottenne di potersi recare a Roma nel Collegio Urbano, il seminario della Congregazione di Propaganda Fide. Ordinato prete nel 1886, divenne il primo prete afroamericano negli Stati Uniti. Tornato nella sua diocesi, gli fu affidata una parrocchia di negri, ma il suo carattere, la sua preoccupazione per le reali necessità della sua gente, e le sue predicazioni lo resero presto popolare anche tra molti bianchi di origine tedesca e irlandese, che presero a frequentare la sua chiesa. Suscitando, neanche a dirlo, il risentimento e la gelosia degli altri parroci della zona. I quali nel giro di poco tempo riuscirono ad ottenere il trasferimento del “prete negro” a Chicago, dove divenne il primo pastore negro della città, profondendosi senza risparmio per la causa della sua gente e per la causa del Regno di Dio. Troppo, forse, per durare a lungo. Morì d’infarto, la notte del 9 luglio 1897, tornando da un ritiro. Aveva quarantatre anni.

Di Bruno Borghi abbiamo a disposizione solo pochi elementi biografici. Ne ricaviamo alcuni da un ricordo a lui dedicato a suo tempo da Adista. Cristiano e prete scomodo, fece parte, con La Pira, Balducci, Turoldo, Facibeni, Vannucci, Milani e altri, di una generazione che seppe animare e provocare salutarmente il panorama ecclesiale e politico italiano, a partire dagli anni cinquanta. Nato nel 1922, entrò nel seminario di Firenze dove fu compagno di studi di don Lorenzo Milani, con cui instaurò una duratura amicizia. Nel 1950, scelse di lavorare in fabbrica, desiderando “immedesimarsi totalmente nella condizione della classe operaia, in cui vedeva la presenza di valori e istanze capaci di rivitalizzare una realtà sociale ed ecclesiale in cui cominciavano, dalla base, a nascere i primi fermenti del rinnovamento”. Nell’ottobre 1964 fu autore, insieme a don Milani, di una “Lettera ai sacerdoti della diocesi fiorentina”, in cui denunciava l’autoritarismo del vescovo Ermenegildo Florit. Nel 1965, sempre con don Milani, intraprese una battaglia in difesa dell’obiezione di coscienza al servizio militare, allora fuori legge. Nel 1968, scese in campo per esprimere la sua solidarietà concreta a don Enzo Mazzi, che l’arcivescovo aveva allontanato dalla comunità dell’Isolotto. In seguito Borghi abbandonò il sacerdozio. Conobbe e sposò Agnese, da cui ebbe un figlio, Giovanni. Negli anni successivi, non venne mai meno il suo impegno nella società civile, a difesa dei settori più emarginati. Si impegnò tra l’altro come volontario, a fianco dei carcerati, nel carcere fiorentino di Sollicciano. È morto il 9 luglio 2006, nella sua abitazione di Torri (Firenze).

Nathan André Chouraqui era nato l’11 agosto 1917 (per il calendario ebraico il 23 del mese di Av dell’anno 5677), a Ain-Témouchent in Algeria, nono dei dieci figli di Isaac Chouraqui e Meléha Meyer, entrambi ebrei sefarditi. Colpito da poliomelite a sette anni, dopo gli studi nel Liceo francese di Orano, si trasferìi a Parigi per studiarvi Diritto. Nel 1938 conobbe Colette Boyer, una musicista ammalata di tubercolosi, che sposò nel 1940 ad Ain-Témouchent nel villaggio natale, con una cerimonia ebraica, cui seguì, poco dopo, la conversione di lei all’ebraismo. Durante la seconda guerra mondiale, Chouraqui fu attivo nella Resistenza francese. Poi lavorò per qualche tempo come magistrato in Algeria. Nel 1948, Colette scelse, con il consenso ma anche con il comprensibile strazio del marito, di far ritorno alla Chiesa, restando tuttavia fedele al Credo di Israele. Entrò tra le Piccole sorelle di Gesù, dove sarebbe vissuta fino al 18 ottobre 1981, quando spirò tra le braccia di lui, accorso al suo capezzale per l’aggravarsi delle sue condizioni di salute. Intanto, nel 1951, Chouraqui aveva scelto di emigrare in Eretz Israel, stabilendosi a Gerusalemme, dove nel 1958, sposò Annette Lévy, che gli darà cinque figli. Da allora, dedicò tutta la sua vita a cercare le vie di un dialogo fruttuoso tra ebrei, cristiani e musulmani, i tre mondi in cui affondavano le radici della sua biografia. Traduttore e commentatore in francese della Bibbia ebraica, del Nuovo Testamento e del Corano, sapeva scorgere in essi la trama nascosta di un unico disegno divino che mira alla nascita di un uomo nuovo, libero dai condizionamenti e dalle schiavitu di sempre. Fu promotore di associazioni per il dialogo interreligioso e ambasciatore instancabile di un pensiero di pace nel mondo. Nel 1999 fu insignito del Premio Internazionale per il Dialogo fra gli Universi Culturali. André Chouraqui è morto a Gerusalemme il 9 luglio 2007.

I testi che la liturgia odierna propone alla nostra riflessione sono tratti da:
Profezia di Osea, cap.11,1-4. 8c-9; Salmo 80; Vangelo di Matteo, cap.10,7-15.

La preghiera del giovedì è in comunione con le religioni tradizionali indigene.

Bene, se avete retto fino a qui, reggete ancora un po’ e leggete questo brano di André Chouraqui, tratto da un suo intervento, apparso con il titolo “Religioni: sorelle, non nemiche” sulle pagine di Avvenire del 1º Ottobre 2000. Ed è questo, per oggi, il nostro

PENSIERO DEL GIORNO
Paradossalmente le stesse religioni che sono all’origine dei peggiori conflitti della storia detengono anche, nei Dieci Comandamenti, la chiave del futuro. Esse sono unanimi nell’indicare questo testo come essenziale per il futuro dell’umanità, soprattutto in questo anno 2000, proclamato anno internazionale della pace dalle Nazioni Unite, che su iniziativa dell’Unesco hanno redatto un manifesto che sollecita tutti i Paesi del mondo ad aderire al Mouvement international pour la culture de la paix et de la non-violence, e ognuno di noi cittadini ad assumere nella vita quotidiana, nella famiglia, nel lavoro, nella nostra comunità, nel nostro Paese, l’impegno di: rispettare la vita, in particolare quella di qualunque persona senza discriminazioni né pregiudizi; respingere la violenza, fisica, sessuale e psicologica in particolare; liberare la nostra generosità; ascoltare per comprendere meglio; preservare il pianeta, difendendo l’equilibrio delle sue risorse naturali; reinventare la solidarietà. A questi sei principi proclamati dal Manifesto dell’anno 2000 aggiungo una settima raccomandazione, invitando tutti coloro che si rifanno alla Torah, ai Vangeli o al Corano, a eliminare ogni reciproca barriera di misconoscimento e di odio. Cristiani, musulmani ed ebrei devono ritenersi particolarmente responsabili di questo Manifesto, che in ogni sua parte è implicito nel Decalogo. Il nostro sogno, quello dei profeti di Israele, degli apostoli di Gesù Cristo, dei compagni di Muhammad, come pure dei fondatori delle Nazioni Unite, diventa ai giorni nostri un’esigenza politica. Essa condiziona non solo la sopravvivenza dell’umanità, ma anche quella del pianeta stesso, minacciato dalla corsa agli armamenti da parte di tutti i governi del mondo. In questo senso le religioni, che hanno agito da potente freno, potrebbero, con la loro riconciliazione e riunione, accelerare il cammino dell’umanità verso l’adempimento della sua unità originaria. Un primo passo in questa direzione è stato compiuto durante lo storico pellegrinaggio di papa Giovanni Paolo II a Gerusalemme, in occasione della sua preghiera ai piedi del muro del pianto. L’ulivo della pace, piantato a Gerusalemme da un ebreo, un musulmano e dal Papa stesso, apre la prospettiva nuova di una sinergia fra le tre religioni un tempo concorrenti. (André Churaqui, Religioni: sorelle, non nemiche).

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 09 Luglio 2020ultima modifica: 2020-07-09T22:37:12+02:00da fraternidade
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