Giorno per giorno – 03 Luglio 2020

Carissimi,
“Otto giorni dopo i discepoli erano di nuovo in casa e c’era con loro anche Tommaso. Venne Gesù, a porte chiuse, si fermò in mezzo a loro e disse: Pace a voi! Poi disse a Tommaso: Metti qua il tuo dito e guarda le mie mani; stendi la tua mano, e mettila nel mio costato; e non essere più incredulo ma credente! Rispose Tommaso: Mio Signore e mio Dio!” (Gv 20, 26-28). Tommaso, in aramaico (come Didimo, in greco), significava “gemello”, era quindi il soprannome dell’apostolo, forse affibbiatogli, come era già successo per altri, dallo stesso Gesù. Il per altro tardivo vangelo apocrifo che porta il suo nome, dice si chiamasse anche lui Giuda, come l’Iscariote e come Taddeo, ma è impossibile trovare conferme. “Gemello” comunque di chi e perché? Chissà, forse di Gesù, che se lo sentiva vicino più degli altri. Del resto era stato proprio lui a dirsi pronto a morire con Gesù (Gv 11,16) e a voler sapere quale fosse la via per restare con lui (Gv 14, 5). Ma sono solo, ovviamente, supposizioni. “Gemello” è forse di tutti noi, quando siamo nel dubbio, ma non desistiamo dall’interrogare la realtà e dal cercare la verità. Noi, il Simbolo apostolico, la forma più semplice e anche più antica del Credo, lo recitiamo ogni domenica, e lo si fa precedere ogni volta che si prega il rosario. In esso, ripetiamo, tra le altre cose, forse un po’ meccanicamente, che Gesù “fu crocifisso, morì e fu sepolto; discese agli inferi; il terzo giorno risuscitò da morte”. Tommaso, di Gesù, sapeva bene che era stato sepolto. Fino alla sera di quel giorno in cui, tornando dai compagni, si era sentito raccontare di quella poco credibile apparizione, forse una semplice allucinazione. Ci voleva altro per credere. Come anche a noi, a distanza di venti secoli. E Gesù si rifa vivo, per darci qualche suggerimento in più, per aggiungere spessore e credibilità, alla visione sperimentata e alla missione ricevuta dai dieci, la sera di Pasqua. Il luogo in cui è possibile incontrare Dio è nelle ferite del Figlio dell’uomo, cioè di ogni uomo crocifisso, con cui Dio ha scelto di identificarsi una volta per tutte. Colpevole o innocente che sia, anzi più colpevole, se mai si consideri innocente, dato che Lui, Dio, Innocente per antonomasia, si è voluto colpevole per solidarietà. Di fronte alla vittime della storia, siamo chiamati a piegare le ginocchia e a proclamare con Tommaso, che ci rappresentava tutti, il “Mio Signore e mio Dio”. Sapendo che la risurrezione sarà credibile se noi la testimonieremo nello schiodare gli uomini dalle loro croci, e sarà totale solo quando l’ultimo crocifisso sarà fatto scendere, libero, dalla sua.

Bene, se, oggi, si è letto questo vangelo, è a causa della memoria di Tommaso apostolo. Noi, assieme a lui, ricordiamo una grande figura di maestro del sec. XX: Bernard Häring, apostolo della non-violenza.

Israelita, Tommaso fece parte del gruppo dei dodici. Il suo nome appare nell’elenco fornito dai quattro evangelisti. Il Vangelo di Giovanni gli dedica un rilievo particolare. È lui che incita i discepoli a seguire Gesù e a morire con lui in Giudea (Gv 11,16). È lui che chiede a Gesu, durante l’ultima cena, sul cammino che conduce al Padre (Gv 14,5-6). Tommaso fa una singolare esperienza dell’incontro con il Cristo risorto (Gv 21,2). Temperamento coraggioso e pieno di generosità, percorre le tappe della fede e riconosce Gesù, il maestro che ha dato la sua vita per amore, come Dio e Signore (Gv 20,26-28). Una tradizione afferma che nella sua missione di evangelizzazione arrivò fino in India, dove sarebbe morto martire.

Bernard Häring era nato il 10 novembre, 1912 a Böttingen (Germania), da Johannes e Franziska Häring. Entrò dodicenne nel seminario di Gars-am-Inn e, nel 1933, iniziò il suo noviziato tra i Redentoristi. Ordinato sacerdote sei anni più tardi, dopo la parentesi bellica, riprese gli studi di teologia morale, a cui l’avevano destinato i superiori, conseguendo, nel 1947, il dottorato in Sacra Teologia nell’Università di Tübingen. Nel 1954 pubblicò la sua prima opera maggiore di teologia morale: La Legge di Cristo, in cui “proponeva una teologia morale incentrata sulla Bibbia, sulla liturgia, sulla cristologia e sulla vita”, opponendosi “risolutamente ad ogni legalismo che facesse di Dio un controllore anziché un salvatore di grazia”. Fu nominato da papa Giovanni XXIII membro della Commissione Preparatoria del Concilio Vaticano II e a lui si deve un decisivo contributo nella redazione del documento conciliare Gaudium et Spes. Nel 1979 gli venne diagnosticato un tumore alla gola, contro cui lottò coraggiosamente, senza mai perdere il suo spirito. Centrale nel suo magistero e nella sua testimonianza di vita i temi della pace, della non-violenza e del dialogo. Scrisse: “Non potrei perdonarmi, se non credessi di poter vivere il Vangelo dell’amore non-violento e se non lo predicassi come nucleo e apice della fede in Cristo, redentore del mondo”. Molto ebbe a soffrire per le incomprensioni e le censure da parte della gerarchia ecclesiastica, ma questo non gli impedì di scrivere alla vigilia della morte: “Amo la Chiesa così com’è, come anche Cristo mi ama con le mie imperfezioni e le mie ombre”. Si spense a Gars-am-Inn il 3 luglio 1998.

I testi che la liturgia odierna propone alla nostra riflessione sono propri della memoria dell’Apostolo Tommaso e sono tratte da:
Lettera agli Efesini, cap.2, 19-22; Salmo 117; Vangelo di Giovanni, cap.20, 24-29.

La preghiera del Venerdì è in comunione con i fedeli dell’Umma islamica, che confessano l’unicità del Dio clemente e misericordioso.

Oggi ricordiamo anche la drammatica scomparsa, avvenuta il 3 luglio 1995, a Firenze, di Alexander Langer, una delle personalità più ricche, profonde e, negli ultimi tempi, sofferte, della vicenda politico-culturale di fine secolo del vostro Paese. Vogliamo farlo citando le parole con cui, in un discorso tenuto a Viterbo, il 27 gennaio 1995, spiegava la sua proposta di rovesciare il motto olimpico (“citius, altius, fortius”) come segno di una cultura nuova preoccupata di ristabilire un rapporto armonioso con la natura e relazioni pacifiche e solidali tra gli uomini: “Invece di dire più veloce probabilmente abbiamo bisogno oggi di una svolta verso una maggiore lentezza (lentius). Invece di dire più alto, che è poi il massimo della competizione, io credo che possiamo puntare viceversa sul più profondo (profundius), cioè sul valorizzare più le dimensioni della profondità che significa tante volte rinunciare alla quantità, alla crescita, guadagnando in qualità. E invece di più forte oggi possiamo cercare invece il più dolce, il più mite (suavius): nei comportamenti collettivi ed individuali invece di puntare alla prova di forza, al massimo della competizione, si punti, anche in questo caso, sostanzialmente alla convivenza”.

Oggi, dom Eugenio, il nostro ormai vescovo emerito e temporaneo amministratore apostolico, ha compiuto 76 anni. Ci siamo stretti virtualmente attorno a lui una volta di più, in un’azione di grazie al Signore, per il ministero pastorale svolto al servizio di questa diocesi, con la speranza di poterne godere ancora per molti anni la compagnia.

E, per stasera è tutto. Noi ci si congeda qui, offrendovi in lettura una citazione di Bernard Häring, tratta dal suo libro “Nonviolenza. Per osare la pace” (Edizioni Messaggero Padova). Che è, così, per oggi, il nostro

PENSIERO DEL GIORNO
È necessario capire il dono dell’alterità: l’altro è diverso da me. Il fanatico vuole l’altro perfettamente come una copia del suo io. Io invece accetto l’altro come dono di Dio, affidato da Dio. Accetto l’alterità come dono, come arricchimento. Il rapporto uomo-donna, sposo-sposa, dipende dalla riconoscenza del dono dell’altro e della sua diversità. Quando una coppia in conflitto viene da me, io chiedo: “Perché volete che il marito abbia gli stessi difetti della moglie, o le stesse virtù? Sarebbe un fastidio vivere in questo modo”. Accettiamo la diversità delle virtù, per poterle emulare. Accettiamo pure che l’altro abbia delle ombre diverse dalle nostre e così vivere la gratuità. L’altra persona – il figlio, l’amico, l’ospite – accettato come dono di Dio, rispettato nella sua alterità, dà la possibilità di acquistare la propria identità e autenticità sempre più ricca. (Bernard Häring, Nonviolenza. Per osare la pace).

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 03 Luglio 2020ultima modifica: 2020-07-03T22:59:23+02:00da fraternidade
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