Giorno per giorno – 13 Dicembre 2019

Carissimi,
“È venuto Giovanni, che non mangia e non beve, e dicono: È indemoniato. È venuto il Figlio dell’uomo, che mangia e beve, e dicono: Ecco, è un mangione e un beone, un amico di pubblicani e di peccatori. Ma la sapienza è stata riconosciuta giusta per le opere che essa compie” (Mt 11, 18-19). Gesù aveva cominciato col dire: “A chi paragonerò questa generazione?” (v. 16). Se lo chiedeva a rigardo della sua, ma anche di ogni altra, compresa perciò la nostra. E la risposta è che ogni genrazione si crea infinite scappatoie, per non farsi carico delle responsabilità che tutti noi abbiamo nei confronti della vita nostra, degli altri, del mondo intero. Così, chi denuncia i limiti e i rischi gravi di un certo tipo di sviluppo, trova chi scrolla le spalle, chi lo deride come profeta di sventura, chi lo denuncia come strumento del comunismo internazionale (ancora!), o infine, non avendo comunque argomenti da opporre, lo liquida con un insulto. Come è successo, proprio in questi giorni, al nostro sciagurato presidente, che ne infila ogni giorno una peggio dell’altra, con la giovane attivista Greta Thunberg. Né migliore fortuna tocca a quanti si fanno carico di proposte concrete per un vivere più umano, solidale e ecologicamente sostenibile. Le maggioranze si fanno portare e contagiare dalle decisioni dei potenti e dalla legge del minimo sforzo, in vista di quello che credono il loro personale vantaggio. La conclusione, quand’anche tardi, si preannuncia, però, buona, ad opera dei piccoli, che riconoscono giusta la sapienza di Dio, cioè la logica della Croce e del dono di sé, che operano per la trasformazione del mondo. Per l’Avvento del Regno. Avvento, proprio questo.

Il nostro calendario ecumenico ci porta oggi le memorie di Lucia, martire a Siracusa, di Alexandre Schmemann, teologo ortodosso, e quella di Mosè Maimonide (Rambam), sapiente d’Israele.

Si sa poco di certo sulla vita della giovane cristiana, Lucia, morta martire a Siracusa, per ordine del governatore Pascasio, in questo giorno nell’anno 304. Ma sappiamo quanto basta. Ed è il fatto che una semplice donna come lei abbia saputo dire il suo “no” all’impero, alla sua idolatria del potere, alla sua religione alienante, ed abbia scelto, come norma di vita, la buona notizia di Gesù e la verità che essa ci trasmette: la fede in un Dio che è padre universale, l’amore solidale per il prossimo, che da questa fede deriva, il rifiuto di ogni sistema oppressivo.

Alexandre Schmemann era nato il 13 settembre 1921 a Revel (oggi Tallin) in Estonia in una famiglia russa di radici tedesche. Ancora bambino, si trasferì con la famiglia in Francia, a Parigi, dove, nel 1940, si iscrisse all’Istituto di teologia ortodossa San Sergio. Il 31 gennaio 1943 si sposò con Juliana Ossorguine, da cui avrà tre figli: Anne, Serge e Marie. A partire dal 1946, dopo essere stato ordinato prete dal metropolita Vladimir Tikhonitsky, insegnò Storia della Chiesa nella stessa facoltà che l’aveva visto studente. Nel 1951, su invito di padre Georges Florovsky, si trasferì nel seminario di San Vladimiro, allora a New York, per insegnarvi Storia ecclesiastica e Teologia Liturgica. Quando il seminario di San Vladimiro si trasferì a Crestwood (New York), nel 1962, padre Alexandre vi assunse la funzione di decano, che mantenne fino alla morte. Ricevette il titolo di protopresbitero, la più alta distinzione che può ricevere un sacerdote sposato. Fu designato osservatore ortodosso al Concilio Ecumenico Vaticano II, dal 1962 al 1965. Nel 1970 fu uno dei membri attivi per la creazione della Chiesa Ortodossa in America, riconosciuta come indipendente dalla Chiesa ortodossa russa dal Patriarcato di Mosca. I suoi libri e i suoi sermoni acquistarono crescente notorietà e cominciarono ad essere diffusi un po’ ovunque, Unione Sovietica compresa, sotto forma di samizdat anonimi. Nel settembre 1982 gli fu diagnosticato un tumore ai polmoni con metastasi al cervello. Continuò comunque a lavorare, ultimando il suo ultimo libro sull’Eucaristia, poco tempo prima della morte, avvenuta a Crestwood il 13 dicembre 1983.

Mosè ben Maimon era nato a Cordova, all’epoca sotto dominazione islamica, il 30 marzo 1135. Giovanissimo, studiò la Bibbia e il Talmud, ma anche matematica, logica, metafisica, filologia, scienze naturali e medicina. Quando, nel 1148, Cordova cadde nelle mani degli Almohadi, cristiani e ebrei furono costretti a scegliere tra convertirsi all’Islam o emigrare. Dopo alcuni anni di spostamenti nella penisola iberica, la famiglia di Mosè, nel 1160, si trasferì a Fez, in Marocco. Da lì, nel 1165, nuove insorgenti difficoltà sul piano religioso, portarono alla decisione di partire per la Terra Santa e a spostarsi, qualche mese dopo, in Egitto. Qui, dopo la morte del padre e del fratello minore, David, Mosè si diede alla professione medica ed ebbe tanto successo che fu nominato medico alla corte del Sultano Saladino. Nello stesso tempo crebbe la fama della sua sapienza, competenza e capacità di discernimento sia all’interno della locale comunità ebraica che tra le altre della diaspora. In Egitto Maimonide portò a compimento le sue tre opere maggiori: il Commento alla Mishnà, iniziato in gioventù; il Mishneh Torah, il primo vero codice di leggi dall’epoca della Mishnà; e infine l’opera filosofica Moreh nevukhim (Guida dei perplessi). Presto ricopiate da centinaia di amanuensi, le tre opere conobbero una rapida diffusione in tutto il mondo ebraico. Sovraccaricato di lavoro, minato nella salute, Maimonide morì il 13 dicembre 1204 (13 Tevet 4965), a 69 anni. A Fostat (il Cairo), la sua morte fu pianta per tre giorni da ebrei e musulmani e gli ebrei di ogni altro paese decretarono il lutto. Fu seppellito a Tiberiade, in Eretz Israel, dove la sua tomba attira ancor oggi un continuo flusso di pellegrini.

I testi che la liturgia odierna propone alla nostra riflessione sono tratti da:
Profezia di Isaia, cap.48, 17-19; Salmo 1; Vangelo di Matteo, cap.11, 16-19.

La preghiera del venerdì è in comunione con le comunità islamiche che confessano l’unicità del Dio clemente e ricco in misericordia.

È tutto, per stasera. Noi ci si congeda qui, offrendovi in lettura un testo di Alexander Schmemann, tratto dal suo libro “Per la vita del mondo. Il mondo come sacramento” (Lipa). Che è, per oggi, il nostro

PENSIERO DEL GIORNO
Essere cristiani, credere in Cristo, significa ed ha sempre significato questo: sapere, con una conoscenza sovrarazionale e tuttavia asolutamente certa che si chiama fede, che Cristo è la vita di ogni vita, che è la Vita stessa, e perciò la mia vita. “In Lui era la vita e la vita era la luce degli uomini” (Gv 1, 4). Tutti i dogmi cristiani – quello dell’incarnazione, della redenzione, dell’espiazione – sono spiegazioni, conseguenze, ma non “causa” di questa fede. Solo quando noi crediamo in Cristo tutte queste affermazioni diventano “valide” e “coerenti”. Ma la fede in sé è l’accettazione non di questa o di quella “proposizione” su Cristo, ma di Cristo stesso come Vita e luce della vita. “Poiché la vita si è fatta visibile, noi l’abbiamo veduta e di ciò rendiamo testimonianza e vi annunziamo la vita eterna, che era presso il Padre e si è resa visibile a noi” (1Gv 1,2). In questo senso la fede cristiana è radicalmente diversa dalla “credenza religiosa”. Il mio punto di partenza non è la “credenza”, ma l’amore. In sé e per sé, ogni credenza è parziale, frammentaria, fragile. “La nostra conoscenza è imperfetta e imperfetta la nostra profezia… le profezie scompariranno, il dono delle lingue cesserà e la scienza svanirà (1Cor 3, 9. 8). Solo l’amore non avrà mai fine (1Cor 3, 8). E se amare qualcuno significa che io ho la mia vita in lui, o piuttosto che egli è divenuto il contenuto della mia vita, amare Cristo significa conoscere e possedere Lui come la Vita della mia vita. Solo questo possesso di Cristo come Vita, solo la “gioia e pace” della comunione con Lui, la certezza della sua presenza, danno pieno significato alla proclamazione della morte di Cristo e alla confessione della sua risurrezione. In questo mondo, la risurrezione di Cristo non può mai diventare un “fatto oggettivo”. Il Signore risorto è apparso a Maria, ma lei “vide Gesù che stava in piedi, ma non sapeva che era Gesù” (Gv 20, 14). Egli stava sulla sponda del lago di Tiberiade, “ma i discepoli non si erano accorti che era Gesù” (Gv 21, 4). E sulla via di Emmaus gli occhi dei discepoli “erano incapaci di riconoscerlo” (Lc 24, 16). L’annuncio della risurrezione rimane follia per questo mondo e non desta meraviglia se persino i cristiani stessi in qualche modo la “eliminano”, riducendola praticamente alle antiche dottrine precristiane dell’immortalità e della sopravvivenza. (Alexander Schmemann, Per la vita del mondo. Il mondo come sacramento).

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 13 Dicembre 2019ultima modifica: 2019-12-13T22:58:40+01:00da fraternidade
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