Giorno per giorno – 14 Dicembre 2019

Carissimi,
“Mentre scendevano dal monte, i discepoli domandarono a Gesù: Perché dunque gli scribi dicono che prima deve venire Elìa?” (Mt 17, 10). Forse la trasfigurazione a cui i tre discepoli più intimi di Gesù avevano assistito non aveva granché chiarito loro le cose. Da qui la loro domanda, che dice in sostanza: ma come funziona la redenzione? I maestri dicono che, a prepararla, sarebbe venuto il profeta Elia, rapito in cielo sul carro di fuoco otto secoli prima. E allora come la mettiamo? E Gesù in riposta: Sì, è vero, deve venire Elia a sistemare le cose, come dice il profeta, a “convertire il cuore dei padri verso i figli e il cuore dei figli verso i padri” (Ml 3, 24). Ma subito dopo, come correggendosi, e aiutando così anche noi a non restare prigionieri della lettera del testo, ma a sforzarci ogni volta di interpretarla, aggiunge: “Elia è già venuto e non l’hanno riconosciuto; anzi l’hanno trattato come hanno voluto. Così anche il Figlio dell’uomo dovrà soffrire per opera loro” (v. 12). E i discepoli compresero che nel dire di Elia, Gesù parlava di Giovanni Battista e anche della sua propria fine. Ma questo non vale!, ci è venuto di dire stamattina: ci si sta preparando a celebrare il Natale e si parla della morte. Il fatto è che i due misteri, dell’incarnazione e della morte, si implicano, perché sono espressione della stessa passione d’amore che muove Dio. Così gli Elia continueranno a venire con il loro appello a conversione, e Gesù, totalmente solidale con il corpo sofferente dell’umanità, continuerà a morire, vittima del sopruso dei potenti, certo che alla fine, per il mistero della risurrezione che tutto riassume e dice l’esito finale della storia e le sue miracolose anticipazioni, tutto sarà bene. E l’amore avrà la meglio e trionferà su ogni male. Avvento è entrare in questo gioco dalla parte giusta.

Il nostro calendario ci porta oggi la memoria di Giovanni della Croce, contemplativo e maestro della fede; di Catherine Kolyschkine de Hueck Doherty, mistica; e del Card. Paulo Evaristo Arns, pastore intrepido in difesa degli ultimi.

Juan de Yepez y Alvarez, o, come lo si conosce noi, Giovanni della Croce, era nato a Fontiveros presso Avila (Spagna), nel 1542, ed era entrato poco più che ventenne nel Carmelo, in un tempo in cui la vita monastica era assai rilassata. Dopo gli studi di filosofia e teologia a Salamanca, fu ordinato sacerdote nel 1567 e, in quello stesso anno, conobbe Teresa di Gesù, con cui iniziò a collaborare in vista della riforma del Carmelo. Questo non mancò di causargli problemi e perfino l’esperienza della prigione. Fu in questo periodo che egli scrisse alcune delle sue più belle poesie. Le sofferenze che conobbe lo portarono a scoprire il mistero della croce e ad avanzare sul cammino della più alta contemplazione. Cammino che egli descrisse nelle sue opere di teologia spirituale: La Salita al monte Carmelo, La Notte oscura dell’anima, Il Cantico spirituale, La Fiamma viva di amore. Morì a quarantanove anni, nella notte tra il 13 e il 14 dicembre 1591 a Ubeda. Al centro del suo insegnamento pose l’unione per grazia dell’uomo con Dio, per mezzo di Gesù Cristo, in un itinerario che prevede le tappe della via purgativa, illuminativa e unitiva. Per arrivare al Tutto, che è Dio, occorre che l’uomo dia tutto di sé, non con uno spirito di schiavo, ma di amante. Disse: “Nella sera della tua vita sarai esaminato sull’amore”, e “Dove non c’è amore, metti amore e ne ricaverai amore”.

Catherine Kolyschkine era nata a Nizhny-Novgorod, in Russia, il 15 agosto 1896 da una famiglia aristocratica. Sposa a quindici anni del cugino, il barone Boris de Hueck, durante la prima Guerra mondiale fu al fronte come infermiera. Dopo la rivoluzione bolscevica, Catherine e Boris emigrarono dapprima in Inghilterra e poi, nel 1921, a Toronto, in Canadà, dove entrambi si adattarono a svolgere mansioni umili e sottopagate per sopravvivere e per mantenere il figlio George nato nel frattempo. L’inatteso affermarsi di Catherine come conferenziera di successo, se portò un nuovo benessere alla vita familiare, provocò tuttavia la crisi del matrimonio della coppia, che ottenne il divorzio e, successivamente, il riconoscimento di nullità. La prosperità recuperata generò una nuova e più profonda insoddisfazione nella donna, in cui echeggiavano incessantemente le parole di Gesù: “Vai, vendi tutto ciò che possiedi e dá il ricavato ai poveri, poi vieni e seguimi”. Fu così che Catherine decise di vendere tutte le sue proprietà e, dopo avere provveduto il necessario al figlio, si recò a vivere una vita nascosta negli slums di Toronto. In seguito si spostò a New York, dove ad Harlem fondò la Casa dell’Amicizia, per lottare insieme alla popolazione nera contro il peccato del pregiudizio razziale, dello sfruttamento economico e dell’ingiustizia sociale. Conobbe e ricevette sostegno da Dorothy Day e verso di lei si sentirà debitore il giovane Thomas Merton, in seguito trappista e maestro spirituale di molte generazioni di cristiani impegnati. Nel 1943 Catherine sposò il giornalista Eddie Doherty. Nel 1947 i due si trasferirono a Combermere, nell’Ontario, dove cominciarono a lavorare con i braccianti e i contadini poveri della regione. Da quell’esperienza nacque Madonna House, una comunità in cui confluirono uomini e donne, laici e presbiteri, desiderosi di vivere in comune i valori della solidarietà, della povertà e della preghiera. Nel 1955, Catherine e Eddie fecero voto perpetuo di celibato e, nel 1969, Eddie fu ordinato prete secondo il rito cattolico melkita. Morì nel 1975. Catherine gli sopravvisse fino al 14 dicembre 1985, giorno della sua morte, avvenuta dopo una lunga malattia.

Paulo Evaristo Arns era nato a Forquilhinha (Santa Catarina) il 14 settembre 1921, quinto dei tredici figli di Gabriel Arns e di Helena Steiner, discendenti di immigrati tedeschi, ed era entrato in gioventù nell’Ordine dei Frati Minori. Ordinato sacedote nel 1945, fu consacrato vescovo nel 1966 e nominato arcivescovo metropolitano di São Paulo nel 1970. La sua azione pastorale fu rivolta soprattutto agli abitanti delle periferie e alle classi lavoratrici dei campi e della città, alla formazione delle Comunità ecclesiali di base e, nell’epoca della dittatura, all’intransigente difesa dei diritti umani, alla lotta contro la pratica della tortura e per il ristabilimento della democrazia. Con il pastore presbiteriano Jaime Wright, coordinò il progetto Brasil Nunca Mais (Brasile Mai Più), con la finalità di documentare i crimini commessì da agenti di Stato contro i prigionieri politici. Nel 1972 creò la Commissione brasiliana di Giustizia e Pace, con la scopo di articolare le denunce contro gli abusi del regime militare. Incentivò la Pastorale Operaia e la Pastorale della Casa; con la sorella Zilda, pediatra (che sarebbe morta nel terremoto di Haiti), creò la Pastorale dei Bambini, e più tardi la Pastorale per i Sieropositivi, e il Consiglio arcidiocesano dei Laici. Lasciò scritto: “Gesù non era indifferente o disinteressato al problema della dignità e dei diritti della persona umana, né alle necessità dei più deboli, dei più bisognosi e delle vittime dell’ingiustizia. In ogni momento egli mostrò una solidarietà reale con i più poveri e miserabili (Mt 11, 28-30), lottò contro l’ingiustizia, l’ipocrisia, gli abusi del potere, l’avidità di lucro dei ricchi, indifferenti alle sofferenze dei poveri, richiamando con forza il rendiconto finale, quando tornerà nella gloria, per giudicare il vivi e dei morti”. Dom Paulo è morto il 14 dicembre 2016, a São Paulo, in seguito a complicazioni di una broncopolmonite. Papa Francesco lo additó come “sicuro punto di riferimento per la Chiesa brasiliana”.

I testi che la liturgia odierna propone alla nostra riflessione sono tratti da:
Libro del Siracide, cap.48, 1-4. 9-11; Salmo 80; Vangelo di Matteo, cap.17, 10-13.

La preghiera del Sabato è in comunione con le Comunità ebraiche della diaspora e di Eretz Israel.

La pustinia, l’eremo, come spazio che ricaviamo, anche solo nel cuore, per l’incontro con Dio, a noi l’ha fatta conoscere quasi sedici anni fa Ivo, dei piccoli fratelli del Vangelo di Spello, durante un ritiro con la comunità. E molti di noi non l’hanno più dimenticata. Il libro di Catherine de Hueck Doherty, “Pustinia: le comunità del deserto oggi” (Jaca Book), lo avremmo letto solo più tardi. Ed è da questo che, comunque, prendiamo il brano che scegliamo di proporvi, nel congedarci, come nostro

PENSIERO DEL GIORNO
La pustinia è nell’intimo, e si è sprofondati per sempre nel silenzio di Dio, per sempre all’ascolto della parola di Dio, per sempre occupati a ridirla agli altri mediante la parola e l’azione […] La pustinia è questa solitudine interiore, quest’immersione interiore nel silenzio di Dio. È mediante quest’identificazione totale con l’umanità e con il Cristo che ogni cristiano deve vivere in stato di contemplazione. È la pustinia nell’intimo di sé. Non so se tutto questo sia comprensibile. È solo identificandosi col Cristo, è solo immergendosi in questo immenso silenzio di Dio all’interno di me, che posso amare gli altri e identificarmi a loro. È ascoltando quest’immenso silenzio di Dio, e in questo strano dialogo passivo con il quale prendo coscienza di questo silenzio che è il discorso di Dio – è soltanto ascoltando questo che sono capace di parlare al mio fratello. È solo ascoltando questo silenzio che posso acquistare nelle mie relazioni umane l’ingenuità dell’amore, la delicatezza del Cristo. In questo silenzio sono identificata al Cristo, acquisto un cuore che ascolta. La pustinia è uno stato nel quale si è costantemente alla presenza di Dio perché lo si desidera di un desiderio immenso, perché in lui solo ci si può riposare. La pustinia è camminare in questa solitudine interiore, immersi nel silenzio di Dio. La mia vita di servizio e d’amore per il mio simile è semplicemente l’eco di questo silenzio e di questa solitudine. Interiormente mi identifico con Dio e con l’umanità. È Gesù Cristo stesso che mi guida a questo silenzio interiore, a questa solitudine che parla al Padre a voce così alta sotto la guida dello Spirito Santo. Adesso io sono immersa nella Trinità, nel fuoco del silenzio di Dio (perché il silenzio di Dio è sempre un fuoco; il suo discorso è fuoco). Adesso io sono come messa a fuoco dal suo amore e da quello di tutta l’umanità in tutto il mondo. Adesso non sono io che parlo. Dico quello che Dio mi dice di dire. Quando la mia immersione in quest’immenso silenzio ha finito col prender fuoco alle sue parole, allora sono capace di parlare. Posso parlare perché la sua voce risuona alta e chiara al mio orecchio, che è stato svuotato di tutto fuorché di lui. Adesso solo il suo nome è costantemente nel mio cuore; egli è divenuto il battito del mio cuore. (Catherine de Hueck Doherty, Pustinia: le comunità del deserto oggi).

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 14 Dicembre 2019ultima modifica: 2019-12-14T22:59:50+01:00da fraternidade
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