Giorno per giorno – 02 Dicembre 2019

Carissimi,
“In verità vi dico, presso nessuno in Israele ho trovato una fede così grande. Ora vi dico che molti verranno dall’oriente e dall’occidente e siederanno a mensa con Abramo, Isacco e Giacobbe nel regno dei cieli” (Mt 8, 10-11). Stamattina, ci chiedevamo in cosa possa consistere questa fede che, messa al confronto della fede di Israele (ma, oggi, potremmo anche leggere della chiesa), suscita lo stupore e merita l’encomio di Gesù: non ho mai visto una fede grande come quella di questo pagano! Per evitare di fare una lettura semplicista del racconto, fermandoci al dato miracolistico (miracoli, del resto, si incontrano nelle narrative di ogni religione), ci siamo chiesti dove esso intendesse portarci, cosa in realtà ci stesse additando. E la prima conclusione che abbiamo tratto è che esso intende insegnarci come Dio agisce, attraverso l’azione dell’uomo, nei confronti di ogni uomo, superando le barriere di famiglia, popolo, razza, religione, che spesso gli uomini erigono. Tutto questo è presente a livello intuitivo all’ufficiale straniero e pagano, che si rivolge a Gesù, chiamandolo “Signore” (percepisce dunque che è coivolta la verità di Dio) e chiedendogli di guarirgli il servo. In vista quindi della salute-salvezza. C’è perciò l’affermazione che Dio non obbedisce alla logica di chi pretende di monopolizzarne l’azione, in termini di difesa, protezione, favori destinati solo ai suoi, come fosse un capocosca qualsiasi, ma che egli si rivolge al bisogno di tutti, amici e nemici, non solo nostri, ma anche suoi. E ci insegna a fare lo stesso, in suo nome, dato che non si sustituisce a noi, ma ha affidato la storia alle nostre mani. In questo senso, Gesù potrà dire ai suoi: “Chi crede in me, compirà le opere che io compio e ne farà di più grandi” (Gv 14, 12). Infatti, il numero di coloro che egli ha guarito, per quanto grande, sarà pur sempre limitato, se paragonato a quello di quanti saranno oggetto delle cure di coloro che avranno creduto lungo i secoli che questa è la missione che Dio ha loro affidato. Ora, quali sono i connotati della nostra fede? Si preoccupa degli altri o si ripiega su se stessa? Abbiamo mai pensato che Gesù non ha fatto nessun miracolo, per piccolo che fosse, a vantaggio suo o dei suoi discepoli (salvo, se vogliamo, la cura della suocera di Pietro), ma solo, e di grandi, per gli altri? In che misura noi siamo disposti a spenderci, nella preghiera e nell’azione, per chi è nel bisogno?

Il nostro calendario ci porta la memoria di Ita Ford, Maura Clarke, Dorothy Kazel, Jean Donovan, martiri nel Salvador; quella di Jan van Ruusbroec, mistico e maestro spirituale. Ad esse aggiungiamo il ricordo di don Danilo Cubattoli (don Cuba), prete dei carcerati e mistico.

Il pomeriggio del 2 dicembre 1980, le quattro donne venivano fermate all’uscita dall’aeroporto di El Salvador da cinque soldati salvadoregni in borghese. Trascinate in un luogo isolato, erano poi state stuprate e uccise. Si trattava di quattro missionarie nordamericane: Ita Ford, nata il 23 aprile 1940, e Maura Clarke, il 13 gennaio 1931, erano entrambe della Congregazione di Maryknoll, Dorothy Kazel, nata il 30 giugno1939, era orsolina, e Jean Donovan, nata il 10 aprile 1953, era invece laica. Le prime erano da molto tempo impegnate nel lavoro con la gente più povera ed emarginata. Prima di arrivare nel Salvador di mons. Romero, Ita aveva lavorato in Cile, sotto la dittatura di Pinochet, Maura in Nicaragua, Dorothy con gli indiani americani dell’Arizona, mentre la giovane Jean, solo due anni prima, aveva abbandonato una carriera promettente per diventare missionaria. Alla sequela di Gesù, queste donne seppero amare i poveri, non esitando a dare la vita per loro. Nel 1984, i cinque uomini, riconosciuti colpevoli, sarebbero stati condannati a 30 anni di carcere. Tre di loro sono stati liberati nel 1998 per buona condotta.

Jan van Ruusbroec era nato nel 1293 a Ruusbroec (l’odierna Ruysbroeck), da cui prese il cognome. A undici anni, lasciata la famiglia, si stabilì presso uno zio, Jan Hinckaert, canonico della collegiata di Santa Gudula a Bruxelles, che curò la sua istruzione e la sua formazione spirituale. Ordinato presbitero nel 1317, fu per ventisei anni canonico a Santa Gudula, di cui divenne vicario. In questi anni compose diverse opere spirituali di grande valore, tra cui quello che è il suo capolavoro, “Le nozze spirituali”. Nel 1343, anche per l’inimicizia che si era procurato con le sue denuncie contro l’imborghesimento del clero e contro l’imperversare nella regione di pseudopredicatori fanatici, risolse, assieme allo zio e a un altro confratello, Vrank van Coudenberg , di ritirarsi a Groenendael (Valverde), nella foresta di Soignes, dove sorgeva un romitaggio, messso a disposizione dal duca Giovanni III di Brabante. Nel 1344 il vescovo di Cambrai concesse agli eremiti di erigere una cappella e nel 1349 Ruusbroec, per dare un assetto regolare alla vita della comunità, fondò una prepositura adottando la regola dei canonici regolari di sant’Agostino. Eletto priore, ricoprì tale carica fino alla morte. Si acquistò una grande fama come scrittore mistico, divenendo amico di Geert Groote e, forse, di Giovanni Taulero, sui quali esercitò una notevole influenza. Attraverso Groote influì anche sui Fratelli della vita comune e su Tommaso da Kempis. Morì il 2 dicembre 1381, dopo circa due settimane di grave malattia, assistito sino all’ultimo momento dai confratelli e dai discepoli, con 89 anni di età e ben 64 di sacerdozio.

Danilo Cubattoli era nato a San Donato in Poggio (Fi), il 24 settembre 1922, da Adele e Giuseppe Cubattoli. Tredicenne, entrò nel seminario minore di Montughi a Firenze, città di cui, dal 1931, era arcivescovo Elia Dalla Costa, personalità di primo piano della Chiesa italiana, per umanità, dottrina, capacità di dialogo e profondità di spirito. Durante gli studi nel seminario maggiore di Cestello, Danilo ricevette dai compagni il soprannome di Cuba, che gli restò per tutta la vita. Ordinato prete l’11 luglio 1948, visse la stagione d’oro della chiesa fiorentina, quella di don Giulio Facibeni, Lorenzo Milani, Renzo Rossi, Silvamo Piovanelli, Ernesto Balducci, Raffaele Bensi, Bruno Borghi, Giorgio La Pira. Ispirato da quest’ultimo, alla fine degli anni Quaranta, dette vita all’associazione “Obiettivo Giovani di San Procolo”, che aveva come finalità l’assistenza e l’avviamento professionale di giovani provenienti dai ceti più poveri. Negli anni Cinquanta fu cappellano presso le carceri di Santa Teresa e delle Murate e, successivamente, presso l’istituto di pena di Sollicciano. E fu proprio per alleviare la pena dei detenuti e favorirne il reinserimento, che don Cuba prese a occuparsi di cinematografia, collaborando negli anni successivi con registi come Pasolini, Fellini, Bellocchio, Olmi, Benigni. Amatissimo da tutti e specialmente dai più giovani per la sua carica di allegria e di entusiasmo, e per la coerenza cristallina della sua testimonianza, don Danilo, il “prete dei carcerati”, è morto a Firenze il 2 Dicembre 2006.

I testi che la liturgia odierna propone alla nostra riflessione sono tratti da:
Profezia di Isaia, cap.2, 1-5; Salmo 122; Vangelo di Matteo, cap. 8, 5-11.

La preghiera di questo lunedì è in comunione con le grandi religioni dell’India: Vishnuismo, Shivaismo, Shaktismo.

Bene, noi ci congediamo qui, e, prendendo spunto dalla memoria del martirio delle misionarie nordamericane Maura, Ita, Dorothy e Jean, vi proponiamo una pagina del teologo Jon Sobrino, che, tratta dal suo libro “Tracce per una nuova spiritualità” (Borla), ci aiuta a intenderne il significato, ed è, così, per oggi, il nostro

PENSIERO DEL GIORNO
Difendere la vita di poveri non vuol dire soltanto allontanarli dalla morte, ma anche lottare attivamente contro la morte. Si tratta di una lotta, perché la minaccia alla vita dei poveri non proviene da cause meramente naturali, bensì da una volontà (personale e, soprattutto, strutturale) di dar morte. Esistono divinità storiche della morte, che danno morte ed hanno bisogno di vittime per sussistere. La difesa della vita si presenta così come scelta fra due alternative irriconciliabili: la vita e la morte. Per questo chi difende il diritto alla vita, affronta automaticamente i poteri di questo mondo, che agiscono attivamente contro la vita. Questo fatto primario, così attestato nella storia dell’umanità e cosí centrale nella rivelazione, significa che nella difesa del diritto alla vita è in gioco la vita dei difensori. Appare allora la possibilità di dar qualcosa della propria vita e persino la propria vita. Si pone in questo momento cosa vi sia di santo, o meno, in questa difesa. Si pone, soggettivamente, l’alternativa fra essere e diventare una persona umana partendo da se stessi e in vista di se stessi o partendo da altri e in vista di altri. Si presenta, oggettivamente, l’alternativa fra vedere la realtà come assurdo, promessa fallace o macabra esigenza, o vederla come promessa di vita malgrado tutto. Molti vedono così le cose e difendono la vita dei poveri e lottano in loro favore. Sanno che così è in gioco la loro vita, tuttavia sono disposti a darla e la danno. Affermano così in actu che davvero vi è qualcosa di tremendo, ma anche di affascinante, che li attrae fino alla donazione di se stessi, e che in ciò incontrano pienezza e salvezza. Difendendo la vita di poveri sanno di innestarsi nella vita e di aver raggiunto – persino quando la donano – la pienezza della loro vita. De-centrarsi in questo modo per la vita dei poveri è l’esperienza soggettiva del santo. (Jon Sobrino, Tracce per una nuova spiritualità).

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 02 Dicembre 2019ultima modifica: 2019-12-02T22:45:26+01:00da fraternidade
Reposta per primo quest’articolo