Giorno per giorno – 01 Novembre 2019

Carissimi,
“Gesù disse: Chi di voi, se un asino o un bue gli cade nel pozzo, non lo tirerà subito fuori in giorno di sabato?” (Lc 14, 5). Gesù è, una volta di più, a casa di un fariseo. Anzi, di un capo di farisei, a pranzo. Oggi, forse, con una certa libertà, potremmo renderlo, come: arrivò in comunità, in parrocchia, in basilica, per partecipare all’eucaristia. E c’è un idropico. E noi ad assistere, per apprendere o criticare. In giorno di sabato, che è come dire, in presenza di una legge, posta a tutela e identificazione della comunità. Che è, per noi, più importante di tutto. Anche di quel malato. La cui malattia, però, guarda caso, ci fa da specchio: è idropisia, che qui chiamano “barriga de água”, letteralmente “pancia d’acqua”, che determina un abnorme accumulo di liquidi della cavità addominale. Noi, potremmo anche aggiungere, per rendere l’esempio più calzante, che si tratti di un un rifugiato, un clandestino, un sopravvissuto ad un naufragio. Che fare di lui?, chiede Gesù. Se vi cade un asino o un bue nel pozzo, rischiando di affogare, non lascereste di attendere a qualsiasi prescrizione di legge, pur di salvarli? L’obiezione nasce facile: Sì ma quelli sono dei nostri. Gesù, però, non cede a questa logica. Lui è a favore della vita di tutti: non ci sono i nostri e i loro. Così, la guarigione dell’idropico è in realtà immagine della cura che opera in noi dall’ingombro dei nostri egoismi. Il prendersi cura del clandestino è figura del regolarizzare la nostra presenza abusiva nella sua chiesa, che ci vede prigionieri di norme, tradizioni e devozioni, ma dimentichi del vangelo. Possa il Signore mettere a tacere ogni nostra obiezione in contrario, affinché, da Lui guariti, possiamo seguirlo sulla via della liberazione dal male, nel segno della comunione e della fraternità tra tutti gli esseri umani.

La festa di Ognissanti (che per voi è oggi, per noi, invece, cade sempre la prima domenica di Novembre) ci riporta alla mente tutti i santi che, in vario modo, hanno accompagnato le nostre esistenze fino ad oggi. Quelli, forse, contemplati solo da lontano, che ci eravamo presi come impossibili modelli. O, più semplicemente, coloro accanto ai quali abbiamo camminato, gioito, sofferto. Coloro che ci hanno amati e che abbiamo amato; quanti erano angeli sotto sembianze umane, e coloro che avevano così tanti difetti che non ne ricordiamo più nemmeno uno e perciò vuol dire che il buon Dio (che è meno cavilloso di santa madre Chiesa), li ha già canonizzati in proprio. Ognissanti sono tutti loro. Anche quelli che si muovono ancora oggi intorno a noi, le donne di qui, silenziose (mica sempre!) e forti. E gli uomini, duri, cocciuti, resistenti, che se si concedono qualche peccato, è per restare umili e senza difese nell’amore. Di quelle e di questi, oggi non si può fare il nome, perché si farebbe comunque torto a qualcuno. E oggi invece è Ognissanti. Tutti santi, per Dio. Tutti belli e buoni. Come per mamma.

Assieme a questa festa, il calendario ci porta la memoria di Rupert Mayer, gesuita, martire del totalitarismo nazista.

Rupert Mayer nacque a Stuttgart il 23 gennaio 1876, ed entrò nella Compagnia di Gesù, già sacerdote, nel 1900. Per alcuni anni si dedicò a predicare le missioni popolari in Germani, Austria e Svizzera, poi, a partire dal 1912, assunse la cura pastorale degli immigrati a Monaco. Cappellano militare durante la Prima Guerra Mondiale, fu ferito ed abbe la gamba sinistra amputata. Nel 1917 riprese la sua attività pastorale, dedicandosi soprattutto ai più poveri. Attento all’evoluzione politica del suo paese, avvertì subito la vera natura e il pericolo del nascente movimento nazista e affermò ripetutamente che un cattolico non poteva in nessun caso aderirvi. Quando Hitler salì al potere, il coraggioso prete continuò a difendere e diffondere pubblicamente le sue idee, il che gli costò numerosi arresti, fino all’internamento, nel 1939, nel campo ci concentramento di Sachsenhausen. Le sue gravi condizioni di salute convinsero i nazisti, l’anno successivo, a trasferirlo in domicilio coatto nel monastero benedettino di Ettal, nella Baviera settentrionale. Morì di un colpo apoplettico mentre teneva l’omelia della festa di Ognissanti, a Monaco, il 1° Novembre 1945. La sua preghiera preferita era: “Signore, come tu vuoi, quando tu vuoi, ciò che tu vuoi, perché tu lo vuoi”. Come ricordava il P. Peter-Hans Kolvenbach, preposito generale della Compagnia di Gesù, in occasione della sua beatificazione: “In tutto quello che faceva, la proclamazione della Buona Notizia era intimamente legata all’impegno a favore dei poveri e degli oppressi. In molte maniere viveva l’opzione preferenziale per i poveri, riconoscendo sempre in essi il Signore in persona […] Formò, altresì, dei laici responsabili che divennero compagni d’apostolato nella proclamazione del messaggio della Fede, nella difesa dei perseguitati, nella cura dei poveri”.

I testi che la liturgia odierna propone alla nostra riflessione sono tratti da:
Lettera ai Romani, cap.9, 1-5; Salmo 147; Vangelo di Luca, cap.14, 1-6.

La preghiera del Venerdì è in comunione con i fedeli dell’Umma islamica, che confessano l’unicità del Dio clemente e misericordioso.

Il 1º novembre 1995 moriva a Milano, un po’ tanto prima del tempo che sarebbe lecito attendersi, Mario Cuminetti, uno studioso e animatore culturale, che alcuni nostri amici e amiche hanno conosciuto da vicino, scegliendo di lasciarsi da lui accompagnare (con discrezione, modestia, un filo d’ironia, ma con assoluta competenza) nell’iniziazione e approfondimento delle tematiche che riguardavano la fede, la cultura, il dialogo tra le culture e l’impegno sociale. Qualche anno fa l’amico Ambrogio ci aveva fatto dono di un suo piccolo (solo per le dimensioni) libro, che, pubblicato postumo, ne rappresenta anche una sorta di testamento spirituale, dal titolo “Seminare nuovi occhi nella terra. Modernità e religione” (il Saggiatore). Nel congedarci, ve ne proponiamo un brano come nostro

PENSIERO DEL GIORNO
Il simbolismo del cibo, diffuso in tutte le religioni, presente nel Primo Testamento (la manna nel deserto), è fatto proprio dal Testamento cristiano, per indicare la comunione fra i viandanti e il primo risorto dai morti. La preghiera che Gesù ha insegnato, la preghiera del pellegrino, invoca il dono del pane quotidiano. Esso non è solo dono del cielo, è anche frutto della fatica e del lavoro dell’uomo. Gesù è “il pane vivo disceso dal cielo” (Gv 6, 51). Un pane che non si esaurisce e dona la vita eterna. Se unico è il pane, coloro che lo mangiano formano un unico corpo. Una unificazione che è anche liberazione dalla paura del deserto, superamento della solitudine e creazione di comunioni più profonde. Le chiese cristiane non sono che il luogo in cui il pane che è Cristo, consumato insieme, crea una unione, che a sua volta produce la presenza di questo pane. Mangiare è accogliere in sé, nella propria casa, per trasformare e trasformarsi. Il Regno è il banchetto senza fine di chi vive nella comunione, scambiandosi in Dio e con Dio ciò che allieta l’esistenza e la rende sempre più felice. Una felicità senza confini. Le chiese cristiane non hanno valore per se stesse; sono il luogo in cui i pellegrini si radunano. Sono segnate dalla condizione dei viandanti. Non sono la meta, che è il Regno, ma il posto di ristoro. Tende provvisorie che raccolgono tutti per nutrirli. Pallida luce riflessa dell’unico sole che tutti riscalda. (Mario Cuminetti, Seminare nuovi occhi nella terra. Modernità e religione).

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 01 Novembre 2019ultima modifica: 2019-11-01T22:19:59+01:00da fraternidade
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