Giorno per giorno – 02 Novembre 2019

Carissimi,
“Sono disceso dal cielo non per fare la mia volontà, ma la volontà di colui che mi ha mandato. E questa è la volontà di colui che mi ha mandato, che io non perda nulla di quanto egli mi ha dato, ma lo risusciti nell’ultimo giorno” (Gv 6, 38-39). E ciò che il Padre ha dato al Figlio è niente meno che tutto. Dice, infatti, Gesù: “Tutto è stato dato a me dal Padre mio” (Mt 11, 27). Rispetto a ciò vale la sua promessa: “Io, quando sarò elevato da terra, attirerò tutti a me” (Gv 12, 32). Tutti, non solo qualcuno o anche tanti. Questo vangelo, vera “buona notizia”, assume un significato particolare in questo giormo in cui la Chiesa ci invita a fare memoria dei nostri defunti e a pensare anche a noi, quando lo saremo. Attratti tutti, oltre ogni possibile differenza, dal mistero del Cristo crocifisso, nel quale è adombrato, definitivamente, il dono incondizionato di amore del Padre e la sua volontà di salvezza universale, che sa spezzare, nel suo rivelarsi, fosse anche all’ultimo momento, nel dialogo che Egli sa tessere nell’intimità con ogni suo figlio e figlia, ogni possibile resistenza all’abbraccio di un Dio solo Amore, concepito spesso, anche per la cattiva testimonianza di molti cristiani, come ostile, crudele, malvagio, assente. Noi dovremmo approfittare per chiederci quale immagine di Dio siamo in grado di trasmettere, col nostro comportamento, attorno a noi.

La Memoria di Tutti i [fedeli e infedeli] Defunti, che celebriamo oggi, è nata come memoria monastica dei fratelli defunti dell’abbazia di Cluny. Voluta dall’abate Odone, nel 998. Che poi, col tempo, i semplici cristiani si devono esser detti: perché ricordare solo i monaci? Noi siamo cristiani di serie B? E la Chiesa latina l’ha così estesa a tutti quanti. Magari calcando un po’ troppo la mano sulla faccenda delle indulgenze, che l’avrebbe resa invisa ai fratelli riformati. Ma, oggi, sono cose superate. Noi celebriamo la comunione di amore e di preghiera che lo Spirito tesse tra noi tutti, vivi e defunti, superando ogni barriera di tempo, di spazio, di religione, di cultura.

Il calendario ecumenico ci trae oggi la memoria di Mor Gregorius Gheevarghese, pastore della Chiesa Ortodossa Siriaca Malankarese.

Gheeevarghe era nato il 15 giugno 1848 a Mulanthuruthy (India), da Mariam e Mathai Pallithatta Thanagattu, una famiglia di ecclesiastici della locale Chiesa ortodossa siriaca. Fin da bambino si distinse per la vita disciplinata, l’amore alla preghiera e la pratica del digiuno. A dieci anni fu ordinato diacono, e, negli anni seguenti, in rapida successione, ricevette l’ordinazione ai differenti gradi dello stato presbiterale. Il 7 aprile 1872 divenne monaco, assumendo il nome di Gregorius, e nel 1876, ventottenne, fu consacrato vescovo della diocesi di Niranam e Thumpamon dal Patriarca Pietro IV, in conformità alla decisione presa dal sinodo di Mulanthuruthy. Mor Gregorius visse gli anni del suo ministero pastorale, dedito alla preghiera, alla meditazione e alla cura sollecita del gregge affidatogli. Morì in fama di santità il 2 Novembre 1902, a soli cinquantaquattro anni. Nel 1947, il sinodo della Chiesa ortodossa malankarese, in risposta alla pressione popolare, decise di procedere alla sua canonizzazione. I suoi resti mortali sono sepolti nella chiesa di San Pietro, a Parumala, nello Stato del Kerala (India).

I testi che la liturgia odierna propone alla nostra riflessione sono propri della Memoria dei Defunti e sono tratti da:
Libro di Giobbe, cap. 19 1.23-27; Salmo 27; Lettera ai Romani, cap. 5, 5-11; Vangelo di Giovanni, cap.6, 37-40.

La preghiera del Sabato è in comunione con le comunità ebraiche della diaspora e di Eretz Israel.

È tutto, per stasera. E noi, prendendo spunto dalla memoria dei defunti, ci si congeda qui, offrendovi in lettura un brano del teologo Karl Rahner, dedicato al tema della morte e dell’eternità. Tratto dal suo libro “Corso fondamentale sulla fede. Introduzione al concetto di cristianesimo” (Edizioni Paoline), è, per oggi, il nostro

PENSIERO DEL GIORNO
La Scrittura non conosce alcuna vita umana che non sia degna di diventare definitivamente valida. La Scrittura non conosce alcun “troppo”. Dal momento che ognuno è chiamato per nome da Dio, dal momento che ognuno sta nel tempo davanti al Dio che è giudizio e salvezza, ognuno è un uomo dell’eternità, non solamente gli spiriti illustri della storia. Inoltre nella teologia giovannea risulta chiaro che l’eternità esiste nel tempo, che perciò l’eternità diviene dal tempo e non è soltanto una ricompensa aggiunta e che ha luogo dopo il tempo. Il contenuto della vita beata dei morti la Scrittura lo descrive con mille immagini, come riposo e pace, come banchetto e gloria, come permanenza nella casa del Padre, come regno della gloria eterna di Dio, come comunione di tutti i beati, come eredità della gloria di Dio, come giorno senza tramonto, come sazietà senza nausea. Attraverso tutte le parole della Scrittura intravvediamo sempre una unica e medesima cosa: Dio è il mistero puro e semplice. E di conseguenza anche il compimento, la vicinanza assoluta a Dio stesso è il mistero ineffabile verso il quale noi andiamo e che trovano i morti che, come dice l’Apocalisse, muoiono nel Signore. Si tratta del mistero della beatitudine ineffabile. Nessuna meraviglia quindi che questo silenzio puro della beatitudine non venga percepito dalle nostre orecchie. Secondo la rivelazione della Scrittura questa eternità introduce la temporalità dell’uomo uno e totale nella sua definitività, cosicché può essere chiamata anche risurrezione della carne. Ma questa dottrina della Scrittura non viene espressa solo in parole, bensì la si può cogliere come realtà già irrompente nella fede nella risurrezione del Crocifisso. (Karl Rahner, Corso fondamentale sulla fede).

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 02 Novembre 2019ultima modifica: 2019-11-02T22:21:25+01:00da fraternidade
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