Giorno per giorno – 12 Ottobre 2019

Carissimi,
“Venuto a mancare il vino, la madre di Gesù gli disse: Non hanno più vino. E Gesù rispose: Che ho da fare con te, o donna? Non è ancora giunta la mia ora. La madre dice ai servi: Fate quello che vi dirà. Vi erano là sei giare di pietra per la purificazione dei Giudei, contenenti ciascuna due o tre barili. E Gesù disse loro: Riempite d’acqua le giare” (Gv 2, 3-7). Il seguito lo sappiamo: l’acqua trasformata in vino, e di quello migliore. La liturgia di questa festa tutta brasiliana della patrona del nostro Paese ci propone questo racconto di Maria che, preoccupata dell’allegria della sua gente, costringe il suo benedetto figliolo ad anticipare l’ora dei suoi segni, costringendolo a compiere un miracolo così poco sacrale, quale quello di offrire un buon vino a quello stuolo di invitati, già per altro alticci. Un prete, parlando, in questi giorni, del Sinodo per l’Amazzonia, diceva sconsolato: “Bisogna riconoscere che l’aspetto religioso, con questo andazzo (!), resta solo in secondo se non in terzo piano”. Come dire che anche ai preti capita qualche volta di capire poco del vangelo. Dato che, contrariamente a quanto capita di pensare, più e prima che della religione, Dio è preoccupato per la vita di tutti i suoi figli e figlie, lasciando che, per il resto, la pensino un po’ come gli pare. Questo da sempre: basterebbe leggersi il primo capitolo della profezia di Isaia. E, se non può in prima persona garantirci altro (vuole che ci si impegni noi, però), ama vederci festaioli, ridanciani e contenti, almeno qualche volta. Come nella festa di Purim. O a Carnevale. O in un matrimonio (i pensieri e le preoccupazioni arriveranno poi). O alla festa dei bambini, che cade anch’essa oggi. O nella festa di sua Madre, che, dopo averlo insegnato a suo Figlio da bambino, glielo ha ricordato al momento opportuno. E la gente di qui, di chiesa ma anche no, perbene o dalla moralità dubbia e confusa, lo deve aver capito, se si ritrova tutta qui, a fare festa alla piccola statua della Vergine, nella speranza, almeno alcuni, che lei spinga Gesù a dare nuovamente, anche oggi, un po’ di allegria ai suoi figli. Senza sperare troppo di averne qualcosa in cambio. Solo per grazia.

In Brasile, oggi, è la festa di N.S. Aparecida, che è chiamata anche la Vergine piccolina, Madre dei Poveri, Patrona del Brasile.

Contrariamente a quello che può far pensare il nome (aparecida = apparsa), non si tratta della storia di un’apparizione mariana. La piccola statua in terracotta della Vergine Madre di Gesù, che è venerata in Brasile con questo titolo, fu trovata da alcuni pescatori nelle acque del fiume Paraíba nell’anno 1717, nell’entroterra dello Stato di São Paulo, a 160 chilometri dalla capitale. Per quasi vent’anni restò custodita, con affetto e devozione, nella casa di uno dei pescatori. Nel 1737 fu deciso di collocarla in una cappella. Più tardi, nel 1745, fu costruita una chiesa, poi una basilica (1888), fino a giungere alla basilica attuale, consacrata nel 1980, meta di pellegrinaggi e luogo di preghiera.

Il nostro calendario ci porta anche la memoria di Elisabeth Fry, quacchera, amica dei carcerati e riformatrice delle prigioni, e di don Luigi di Liegro, prete dalle mani sporche.

Elizabeth Gurney era nata a Norwich, nel Norfolk, in Inghilterra, il 21 maggio 1780, in una famiglia quacchera. Diciottenne, durante un culto della Societa degli Amici, dall’amica Deborah Darby si era sentita rivolgere le parole: “Tu sei nata per essere luce per i ciechi, parola per i muti, piede per gli zoppi”. Ora, lei sapeva che quello non era semplicemente un messaggio della sua amica, ma la voce dello Spirito. Però non sapeva bene come e da dove cominciare. Decise di aprire una scuola domenicale, in casa. Dapprima fu solo per un ragazzino del vicinato, ma presto sarebbe stata una banda di un’ottantina di elementi ad invaderle la casa. La ragazza dava loro da mangiare, vestiti, e gli insegnava a leggere usando la Bibbia. A vent’anni sposò Joseph Fry, banchiere e anche lui quacchero osservante e si trasferì nella sua casa, nei pressi di Londra. Insieme ebbero undici figli, ma lei potè ugualmente diventare predicatrice famosa in seno alla Società. Nel 1812 fu per la prima volta a visitare la prigione femminile di Newgate e ne fu sconvolta. Le detenute vivevano ammucchiate coi loro bambini in piccole celle, dove dormivano sul pavimento, cucinavano da sé quel che potevano e provvedevano al bucato. Cominciò allora a dedicarsi alla missione di alleviare le condizioni di vita di quelle infelici, non solo a Newgate, ma presto in tutto il Paese e più tardi nel resto dell’Europa, sollevando il problema della riforma del sistema penitenziale. Nel frattempo, Elizabeth contribuì a creare un rifugio per i senzatetto, a Londra, fondò un’associazione di volontari con la finalità di visitare i quartieri più poveri, offrendo soluzione ai casi più difficili, aprì una scuola per infermiere, e via di questo passo. Poi, sessantacinquenne, il 12 ottobre 1845, riposò in pace.

Luigi Di Liegro nasce a Gaeta, in provincia di Latina, il 16 ottobre 1928, ultimo di otto figli, di una famiglia che conobbe la sofferenza, le umiliazioni e lo sfruttamento della condizione propria degli emigrati. Entrato in seminario giovanissimo, fu ordinato sacerdote il 4 aprile del 1953, ed esercitò il suo primo incarico pastorale nelle parrocchie di borgata. Nel 1958 si recò in Belgio per approfondire i temi della pastorale del lavoro e per conoscere da vicino le condizioni di vita e di sfruttamento degli emigrati italiani che lavoravano nelle miniere del posto. Nel 1964 fu nominato responsabile dell’Ufficio pastorale della diocesi. Ricoprendo questo ufficio, organizzò nel 1974 il convegno “sui mali di Roma”, che denunciò la pessima amministrazione democristiana della città, nonché l’ostilità e l’indifferenza di gran parte della comunità cristiana nei confronti dei poveri. Nel 1979 diede vita alla Caritas Diocesana di Roma. Scontrandosi con la resistenza e l’aperta avversione di numerosi ambienti, dedicherà gli anni successivi ad organizzare servizi che rispondessero alle necessità delle categorie più deboli ed emarginate della popolazione: anziani, malati, senza tetto, nomadi, immigrati, tossicodipendenti e aidetici. La sua azione si estese oltre i confini della sua diocesi e del suo Paese: in Irpinia, in Armenia, nel Sud Est Asiatico, in Palestina e in Albania. Nell’estate del ’97, fu ricoverato all’Ospedale S. Raffaele di Milano per una crisi cardiaca. Il 12 ottobre 1997, una nuova crisi ne provoca la morte. Aveva detto un giorno: “Non si può amare a distanza, restando fuori dalla mischia, senza sporcarsi le mani, ma soprattutto non si può amare senza condividere”. Lui l’ha fatto.

I testi che la liturgia propone alla nostra riflessione sono propri della festività odierna e sono tratti da:
Libro di Ester, cap.5, 1b-2; 7, 2b-3; Salmo 45; Libro dell’Apocalisse, cap.12, 1.5.13a.15-16a; Vangelo di Giovanni, cap.2, 1-11.

La preghiera del Sabato è in comunione con le comunità ebraiche della diaspora e di Eretz Israel.

E, prendendo spunto dal vamgelo delle nozze di Cana, propostoci dalla liturgia di oggi, vi offriamo in lettura un brano di Fëdor Dostoevskij sullo stesso argomento, tratto dal suo capolavoro, “I fratelli Karamazov” (Garzanti). Che è, così, per oggi, il nostro

PENSIERO DEL GIORNO
“…Ed essendo venuto a mancare il vino, dice a Gesù la madre: Non hanno più vino…”, giunse all’orecchio di Alëša. “Ah, sì, mi sono lasciato sfuggire qualcosa, e non volevo lasciarlo sfuggire, amo molto quel passo: sono le nozze di Cana di Galilea, il primo miracolo. Ah, quel miracolo, quanto mi è caro quel miracolo! Cristo visitò la gioia degli uomini, non il dolore, e compiendo il suo primo miracolo, contribuì a dar gioia agli uomini… ‘Chi ama gli uomini, ama pure la loro gioia…’ Il defunto lo ripeteva in continuazione, era una delle sue idee più sublimi… Senza gioia, non si può vivere, dice Mitja… Sì, Mitja… Tutto ciò che è vero e meraviglioso, è sempre pieno di perdono – era solito dire anche questo…” “E Gesù le dice: Che ho da fare con te, o donna? L’ora mia non è ancora arrivata. Dice la madre ai servitori: tutto quello che vi dirà, fatelo”. “Fatelo… La gioia, la gioia dei poveri, degli uomini molto poveri… Erano certamente poveri, se non avevano neanche il vino per le nozze… Scrivono gli storici che a quel tempo le popolazioni che abitavano intorno al lago di Genezareth erano le più povere che si possa immaginare… e il grande cuore dell’altra magnifica creatura che si trovava lì, la madre di lui, sapeva che egli non era venuto soltanto per il suo grande e terribile sacrificio, ma che il suo cuore era accessibile anche alla semplice festosità, senza artifici, delle creature umili, umili e ingenue, che lo avevano gentilmente invitato alle loro misere nozze. ‘L’ora mia non è ancora arrivata’ dice con un cheto sorriso (sicuramente egli fece un mite sorriso)… E infatti era forse venuto sulla terra per moltiplicare il vino alle nozze dei poveri? Eppure egli andò e fece quello che ella chiedeva…”. (Fedor Dostoevskij, I fratelli Karamazov)

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 12 Ottobre 2019ultima modifica: 2019-10-12T22:19:11+02:00da fraternidade
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