Giorno per giorno – 11 Ottobre 2019

Carissimi,
“Alcuni dissero: È in nome di Beelzebùl, capo dei demòni, che egli scaccia i demòni” (Lc 11, 15). Lo dicevano di Gesù, che aveva restituito la parola a un muto. Come muti sono tutti coloro che accettano di soccombere sotto il segno del Sistema del dominio che, cedendo alla suggestione dell’Avversario, è stato scambiato dalle origini come la verità della vita e della storia. Rendendoci incapaci di udire, per poi ridire, la verità del Padre e dell’universale fraternità umana nel Figlio, in forza dell’amore dello Spirito. Gesù è venuto per riscattarci da questa schiavitù, restituendoci così all’innocenza primordiale. Logico che il Potere non si adegui e suggerisca che questo in realtà sia dovuto all’azione di un demonio. Lo sperimentiamo ogni volta che il Vangelo, invece che sventolato, senza conoscerne i contenuti, in qualche comizio o Parlamento, o manipolato nelle chiese (non sempre e non tutte, grazie a Dio!), torna ad essere Buona Notizia per i poveri di ogni dove, convocati a scrollarsi di dosso ogni oppressione, per cominciare a testimoniare nella storia “i cieli nuovi e le terre nuove” dell’antica profezia. Questo è il “segno dal cielo” (v. 16), che il mondo aspetta da noi. Consapevoli, tuttavia, che questa scelta non si dà come definitiva nel corso della storia (né della “nostra” storia), dato che ogni volta, lo spirito del Sistema, cacciato, si fa più esperto e più forte, e tenta di rientrare in possesso di quanto ha perduto. Per questo noi chiediamo nella preghiera del Pater: Non abbandonarci alla tentazione, ma liberaci dal male. Male che è la negazione del Padre e del fratello. Cioè, della verità della nostra vita.

Oggi il calendario ci porta la memoria padre João Bosco Penido Burnier e Tutti i Martiri dell’America Latina. Ricordiamo anche, in questa data, l’Apertura del Concilio Vaticano II.

Era la sera dell’11 ottobre 1976. Due contadine, Margarida e Santana, erano sotto tortura nella prigione del presidio di polizia di Ribeirão Bonito, nel Mato Grosso, località del latifondo prepotente, del bracciantato semischiavo, della brutalità poliziesca. La Comunità celebrava l’ultimo giorno della novena della patrona, N.S. Aparecida. E, in quel giorno erano arrivati in paese il vescovo, dom Pedro Casaldáliga e padre João Bosco Penido Burnier, un gesuita missionario tra gli Indios Bakairi. Informati di quanto stava succedendo, i due si recarono al commissariato per intercedere a favore delle due donne torturate. Quattro poliziotti li aspettavano sul posto. Solo un accenno di dialogo: Sapete che non potete fare questo. Dovete smetterla. Come tutta risposta, uno degli agenti colpì il p. João Bosco prima con un pugno, poi con il calcio della pistola infine gli sparò. Durante l’agonia che seguì, il prete riuscì a sussurrare: Offro la mia vita per il CIMI (Consiglio Indigenista Missionario) e per il Brasile. Poi invocò il nome di Gesù, ripetutamente, e ricevette l’unzione degli infermi. Fu trasportato a Goiânia e morì il giorno dopo, festa della Vergine Aparecida, coronando così con il martirio una vita santa. Le sue ultime parole furono le stesse del maestro: “Abbiamo compiuto la nostra missione”. In questo giorno le Comunità cristiane dell’America Latina uniscono alla celebrazione del martirio di p. João Bosco, la memoria di tutti i martiri del nostro continente. Memoria di uomini, donne e perfino di bambini, di differenti razze, fedi e culture, assassinati per il solo fatto di lottare per un mondo più giusto e fraterno, per affermare i diritti degli indigeni, dei negri, delle minoranze, dei lavoratori, contro la violenza e la tortura, per la riforma agraria, la protezione dell’ambiente e la pace.

“Spesso avviene che ci vengano riferite le voci di alcuni che, sebbene accesi di zelo per la religione, valutano però i fatti senza sufficiente obiettività né prudente giudizio. Nelle attuali condizioni della società umana essi non sono capaci di vedere altro che rovine e guai; vanno dicendo che i nostri tempi, se si confrontano con i secoli passati, risultano del tutto peggiori; e arrivano fino al punto di comportarsi come se non avessero nulla da imparare dalla storia, che è maestra di vita, e come se ai tempi dei precedenti Concili tutto procedesse felicemente quanto alla dottrina cristiana, alla morale, alla giusta libertà della Chiesa. A Noi sembra di dover risolutamente dissentire da codesti profeti di sventura, che annunziano sempre il peggio, quasi incombesse la fine del mondo”.. È un passo del discorso “Gaudet Mater Ecclesia” con cui, l’11 ottobre 1962, Giovanni XXIII inaugurava il Concilio Vaticano II, questa rinnovata e gioiosa Pentecoste della Chiesa, che qualcuno, più o meno dissimulatamente, vorrebbe dimenticare, archiviare, o anche solo annacquare. E che invece è ancora tutta da incentivare e da compiere. (Quanto alla memoria di san Giovanni XXIII, fissata dalla Chiesa per oggi, noi la celebriamo da sempre nel giorno della sua pasqua, il 3 giugno).

I testi che la liturgia odierna propone alla nostra riflessione sono tratti da:
Profezia di Gioele, cap.1, 13-15; Salmo 9; Vangelo di Luca, cap.11, 15-26.

La preghiera del Venerdì è in comunione con i fedeli della Umma islamica, che confessano l’unicità del Dio clemente e misericordioso.

Oggi il maestro buddhista Thich Nhat Hanh compie novantatre anni, essendo nato a Thūra, in Vietnam, l’11 ottobre 1926. “Giovanissimo, a soli sedici anni, aveva lasciato la famiglia per entrare in un monastero e da allora ha dedicato la vita allo studio e alla pratica dello Zen. Il Vietnam è il solo paese in cui il Buddhismo Mahayana sia fiorito assiemne al Theravada in comprensione e tolleranza reciproche. Ecco perché dall’insegnamento di Thich Nhat Hanh emerge una meravigliosa sintesi di entrambi i sistemi. Il suo insegnamento è profondamente segnato dalla guerra, i drammi, i problemi che il mondo moderno è chiamato ad affrontare e di cui il Vietnam, con la sua storia degli scorsi decenni è stato uno specchio ghiacciante. Durante la guerra Thich Nhat Hanh ha rinunciato all’isolamento monastico per aiutare attivamente il suo popolo, e da allora ha sempre affiancato alla pratica religiosa un impegno sociale e politico per la pace. Oggi vive in Francia dove dirige una piccola comunità di attivisti per la pace, scrive, insegna, si occupa di giardinaggio e si adopera a favore dei profughi di tutto il mondo”. Nel novembre del 2014 è stato colpito da una seria emorragia cerebrale, dalla quale tuttavia si sta lentamente ma costantemente riprendendo. Dei suoi rapporti con i cristiani suole dire: “I cristiani sono miei fratelli. Non voglio farne dei buddhisti. Voglio aiutarli ad approfondire la loro tradizione”.

Ed è a Thich Nhat Hanh, che scegliamo di cedere la parola, nel congedarci, offrendovi un brano del suo libro “Le quattro verità dell’esistenza” (Garzanti), che è, per oggi, il nostro

PENSIERO DEL GIORNO
Molta sofferenza è causata dall’erronea parola, vale a dire una parola che non ha apertura, non ha comprensione, compassione e riconciliazione. Quando scriviamo qualcosa, quando diciamo qualcosa al telefono, ciò che diciamo dovrebbe essere Retta Parola. Dovrebbe comunicare la nostra saggezza, comprensione e compassione. Quando pratichiamo la Retta Parola ci sentiamo magnificamente nel nostro corpo e nella nostra mente. E anche chi ci ascolta si sente magnificamente. Per noi è possibile usare varie volte al giorno la Retta Parola, la parola della compassione, della tolleranza e del perdono. Non costa niente. E risana. Risana noi e risana il mondo. (Thich Nhat Hanh, Le quattro verità dell’esistenza).

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 11 Ottobre 2019ultima modifica: 2019-10-11T22:45:07+02:00da fraternidade
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