Giorno per giorno – 16 Settembre 2019

Carissimi,
“Il servo di un centurione era ammalato e stava per morire. Il centurione l’aveva molto caro. Perciò, avendo udito parlare di Gesù, gli mandò alcuni anziani dei Giudei a pregarlo di venire e di salvare il suo servo” (Lc 7, 2-3). Il capitolo 7 di Luca intende mostrarci il “come è” di Dio nella sua manifestazione storica che è Gesù, perché noi, che siamo suoi discepoli, sappiamo fondare in ciò le esigenze che egli aveva posto al nostro agire nel capitolo precedente, in cui aveva affermato il primato dell’amore – suo e perciò nostro – per i poveri, gli ultimi, i nemici. Il primo esempio che l’evangelista ci propone è questo del centurione pagano, il cui servo è prossimo alla morte. Stamattina, ricordavamo quanto scrive Paolo nella lettera ai Romani: “Forse Dio è Dio soltanto dei Giudei? Non lo è anche delle genti? Certo, anche delle genti” (Rom 3, 29). Oggi, potremmo leggerlo anche: “È Dio soltanto dei cristiani? No, lo è pure degli altri credenti (e dei non credenti)”. Senza far violenza alle loro credenze, il Dio che noi professiamo e che siamo chiamati a testimoniare si prende cura (e ci chiede di prenderci cura) di tutti. Lungi dal rivendicare: prima i nostri, Dio afferma: prima gli altri, anche e proprio perché diversi da noi, pagani, nemici. Così, Gesù si dispone prontamente a recarsi a casa del pagano, che ha mandato a lui gli anziani (i presbiteri, i preti) a intercedere per la salute del suo servo (cf v. 3). In questa sua disponibilità, che il centurione rifiuterà, per umiltà, ma forse anche per carità, per evitare a Gesù l’accusa di essere entrato nella casa di un pagano, ci è mostrato il Dio che abbatte ogni barriera (e che comunque opera anche da assente). Non per guadagnarsi un proselito in più, ma per offrirsi alla nostra vita come contenuto nuovo e significato decisivo del Mistero che ci ha dato origine, al di là dei simboli con cui le religioni si sforzano di balbettarlo. Il sentirsi raggiunti da questo messaggio, l’aprirsi fiduciosi ad esso, il decidersi a replicarlo, caratterizza quella fede capace di lasciare ammirato persino Gesù (cf v.9). Ora, ci chiedevamo stamattina, i “pagani” che ci avvicinano saprebbero testimoniare nelle nostre parole e nel nostro agire la presenza, che guarisce, libera e salva, di Gesù?

Il calendario, oggi, ci porta le memorie di Cornelio, papa di Roma, e Cipriano, vescovo di Cartagine, martiri; di Pavel Evdokimov, mistico e teologo ortodosso; e di François Xavier Nguyên Van Thuân, vescovo e testimone; i Martiri della Notte delle matite spezzate, in Argentina.

Presbitero romano, Cornelio, fu eletto papa nel 251. Durante il suo pontificato dovette occuparsi della situazione in cui si trovavano i cristiani che avevano apostatato durante la persecuzione. Nella Chiesa erano venute affermandosi due posizioni estreme: quella lassista di chi riteneva non doversi imporre nessun tipo di penitenza ai “lapsi” (i caduti) e quella intransigente di chi, come Novaziano (il primo antipapa della storia), sosteneva l’impossibilità del perdono. Cornelio dichiarò che la Chiesa può perdonare i caduti pentiti, può riammetterli ai sacramenti e reinserirli nella comunione piena, dopo opportune penitenze. Quando la persecuzione contro i cristiani ricominciò nel 253, sotto l’imperatore Gallieno, Cornelio fu esiliato a Centum Cellae (Civitavecchia), dove morì martire in seguito alle privazioni che dovette affrontare.

Cipriano nacque all’incirca nell’anno 200 in Africa del Nord. Avvocato famoso, divenne cristiano nel 246 e due anni più tardi fu scelto come vescovo di Cartagine. Per ciò che riguarda il problema dei “lapsi”, Cipriano assunse la stessa attitudine del vescovo di Roma. Durante la persecuzione di Valeriano, fu arrestato, processato e decapitato, il 14 settembre 258. Lasciò numerose lettere e trattati di teologia. Gli “atti” del suo martirio sono stati conservati fino ai nostri giorni.

Pavel Nicolaievic Evdokimov, considerato uno dei maggiori maestri della teologia e della spiritualità ortodossa del sec. XX, nacque a San Pietroburgo (Russia) il 2 agosto 1901. Suo padre morì assassinato quando Pavel aveva solo sei anni. Di famiglia aristocratica, allo scoppio della rivoluzione, si recò a Kiev, dove nel 1918 iniziò gli studi di teologia. Nel 1921, costretto all’esilio, si recò prima a Istanbul, dove si mantenne facendo il tassista, e, due anni più tardi, a Parigi, dove lavorando di notte come aiuto-cuoco, riuscì a portare a termine gli studi teologici, frequentando l’Istituto San Sergio, dove conobbe Serghei Bulgakov e Nicolai Berdiaev e dove, in seguito, insegnò teologia morale. Sposato nel 1927 a Natascia Brunel, ebbe da lei due figli. Durante la seconda guerra mondiale si prestò attivamente a salvare numerosi ebrei dalla deportazione nei campi di sterminio nazisti. Direttore del Centro di Studi Ortodossi di Parigi, promosse un’intensa attività ecumenica e, durante l’ultima sessione del Concilio Vaticano II, fu invitato a parteciparvi come osservatore dal Segretariato per l’Unità dei Cristiani. Morì a a Meudon, in Francia, il 16 settembre 1970.

François Xavier Nguyên Van Thuân era nato il 17 aprile 1928 a Huê (Viêt Nam). Discendeva da una famiglia di lunga tradizone cristiana, che annoverava nel suo albo genealogico numerosi martiri. Entrato in seminario, vi compì gli studi di filosofia e teologia fino alla sua ordinazione a prete, l’11 giugno 1953. Di ritorno da Roma, dove si era recato per laurearsi in Diritto Canonico, fu prima professore poi rettore del seminario e, dal 1967, vescovo do Nha Trang. Il 24 aprile 1975, Van Thuân venne nominato da Paolo VI Arcivescovo Coadiutore di Saigon (oggi Thành phố Hồ Chí Minh), ma pochi mesi dopo la sua nomina, il 15 agosto 1975, venne arrestato e inviato, senza processo né sentenza, in un “campo di rieducazione”, dove rimase per tredici anni, nove dei quali in isolamento assoluto. Non avendo potuto portare nulla con sé, né libri, né effetti personali, cominciò a raccogliere pezzetti di carta in cui annotava le frasi del Vangelo che ricordava. Furono circa trecento i biglietti che costituirono così la sua personalissima Bibbia, che l’accompagnò in quegli anni. Seppe conquistarsi l’amicizia di due guardie, che gli permisero di tagliare un pezzetto di legno per farsi una croce, e gli diedero un filo elettrico per intrecciare una catenina. Dirà: “Questa Croce è una continua chiamata: amare sempre! Perdonare sempre! Vivere il presente per l’evangelizzazione! Ogni minuto deve essere per l’amore verso Dio”. Scarcerato il 21 novembre 1988 ed espulso dal suo paese, Nguyên Van Thuân si recò in Italia, dove fu nominato Presidente del Pontificio Consiglio “Giustizia e Pace”. Nel Concistoro del 21 febbraio 2001 fu creato cardinale da Giovanni Paolo II. Morì il 16 settembre 2002, all’età di 74 anni.

Quella che è ricordata come la “Notte delle matite spezzate” rappresenta uno degli episodi più crudeli ed emblematici del terrorismo di Stato, inaugurato in Argentina nel 1976. Ebbe luogo a La Plata (Argentina), nella notte del 16 settembre 1976, quando vennero sequestrati sei studenti della Union Estudiantil Secundaria (UES), “colpevoli”, secondo le autorità, della partecipazione alle manifestazioni contro l’abolizione del tesserino che consentiva agli studenti liceali sconti sul prezzo dei libri di testo ed una riduzione del biglietto per l’utilizzo dell’autobus. I sei giovani erano: Francisco López Muntaner, María Claudia Falcone, Claudio de Acha, Horacio Angel Ungaro, Daniel Roberto Racero e María Clara Ciocchini, tutti di un’età compresa tra i sedici e i diciotto anni. Grazie alla testimonianza di un altro giovane sequestrato che sopravvisse, Pablo Diaz, si potè ricostruire, nel processo che seguì la fine della dittatura, le torture subite da loro e da molti altri nelle settimane che precedettero la loro eliminazione violenta: scosse elettriche in tutto il corpo, le unghie strappate, manette ai polsi, una corda al collo, senza possibilità di lavarsi. Le ragazze violentate ogni notte. Senza però disanimare, per l’ansia di vivere, la certezza della libertà, le canzoni e le preghiere. Poi, solo il silenzio.

I testi che la liturgia odierna propone alla nostra riflessione sono tratti da:
1ª Lettera a Timoteo, cap.2, 1-8; Salmo 28; Vangelo di Luca, cap.7, 1-10.

La preghiera di questo lunedì è in comunione con i fedeli del Sangha buddhista.

E, prendendo spunto anche da questo, nel congedarci, vi offriamo in lettura un brano di Pavel Evdokimov, tratto dal suo libro “L’amour fou de Dieu”, che troviamo in traduzione italiana nel sito di spiritualità orodossa “Nati dallo Spirito” e che, è, così, per oggi, il nostro

PENSIERO DEL GIORNO
San Paolo parla della facoltà di vedere “il volto scoperto”, è già il pre-giudizio, ed il giudizio ultimo sarà la visione totale del tutto dell’uomo. Simone Weil dice profondamente: “Il Padre dei Cieli non giudica… attraverso lui gli esseri si giudicano”. Secondo i grandi spirituali, il giudizio è questa rivelazione alla luce non della minaccia della punizione ma dell’amore divino. Dio è eternamente identico a sé stesso, Egli è amore. “I peccatori nell’inferno non sono privati dell’amore divino”, dice sant’Isacco, ed è lo stesso amore che soggettivamente “diventa sofferenza nei reprobi e gioia nei beati”. Dopo la rivelazione della fine dei tempi, non si potrà più non amare il Cristo; ma l’indigenza, il vuoto del cuore ci rendono incapaci di rispondere all’amore di Dio ed è la sofferenza indicibile dell’inferno. L’Evangelo usa l’immagine della separazione delle pecore e dei capri. Ma non esistono affatto santi perfetti, come, in qualsiasi peccatore, ci sono almeno alcuni frammenti di bene. Secondo l’epistola ai Romani, la legge condanna il peccato ed insieme il peccatore, la sua sola vittoria sul male è la distruzione del peccatore. Ma, il Cristo sulla Croce ha separato il peccato dal peccatore, ha condannato e distrutto il potere del peccato ed ha salvato il peccatore. A questa luce, la nozione del giudizio s’interiorizza, non è una separazione tra gli uomini ma all’interno di qualsiasi uomo. In questo caso, anche “la seconda morte” si riferisce non agli esseri umani, ma agli elementi demoniaci che portano in loro. È il senso preciso dell’immagine del “fuoco”, che non è tortura e punizione ma purificazione e guarigione. La spada divina penetra nelle profondità umane e rivela che ciò che fu dato da Dio come dono non è stato ricevuto, essa rivela così il vuoto scavato dal rifiuto dell’amore e la diversità tragica tra l’immagine-appello e la somiglianza-risposta. Ma la complessità del miscuglio del bene e del male durante la vita terrestre, descritta nella parabola del frumento e del loglio (Mt 13, 24-30), rende ogni nozione giuridica inefficace e ci mette dinanzi al più grande mistero della Sapienza divina, convergenza della giustizia e della misericordia. “Alla sera della nostra vita saremo giudicati sull’amore”, su ciò che abbiamo amato sulla terra.(Pavel Evdokimov, L’amour fou de Dieu).

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 16 Settembre 2019ultima modifica: 2019-09-16T22:17:50+02:00da fraternidade
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