Giorno per giorno – 17 Settembre 2019

Carissimi,
“Quando fu vicino alla porta della città, ecco che veniva portato al sepolcro un morto, figlio unico di madre vedova; e molta gente della città era con lei. Vedendola, il Signore ne ebbe compassione e le disse: Non piangere! E accostatosi toccò la bara, mentre i portatori si fermarono. Poi disse: Giovinetto, dico a te, alzati!” (Lc 7, 12-14). Stamattina, nella cappella del monastero, ci dicevamo che se nel vangelo di ieri l’intervento di Gesù era sollecitato e accolto dalla fede del centurione pagano, nell’episodio narrato dal vangelo di oggi assistiamo invece all’iniziativa unilaterale dello stesso Gesù, là dove la fede sembra non aver più alcuna parola da dire. La vedova che porta alla sepoltura l’unico figlio, è immagine della povertà estrema e inconsolabile, priva del sostegno e degli affetti per l’oggi e per il domani. Cui Gesù si preoccupa di porre rimedio. Non aveva detto per dire: “Beati voi che ora piangete, perché riderete” (Lc 6, 21). E, prima ancora: “Beati voi poveri, perché vostro è il regno di Dio” (v.20). Come dare credibilità a quelle beatitudini, restando con le mani in mano? “No, donna, non ho bisogno che tu creda in qualcosa o in qualcuno, visto che l’esperienza ti dice che non devi aver fiducia in nessuno, dato che ti è stata strappata ogni ragione di vita”. È come se Dio chiedesse perdono per essere giunto troppo tardi. E quante volte si sarebbe portati a dire che è giunto tardi. In realtà, a giungere tardi, siamo noi, che dovremmo incarnare quelle beatitudini nel tempo e negli ambiti di una società così spesso canaglia, in cui si muove la nostra vita. Lui, certo, alla fine, porrà rimedio, ai nostri ritardi, anche dove non c’è più fede, né speranza, perché non ha agito la carità, ma ha prevalso l’indifferenza o il cinismo. Ma, non è questo che Dio si aspetta da noi. Lui ci chiede di arrivare in tempo, per evitare le vedove e i lutti. Da noi, là dove vige uno stato d’assedio, come nelle favelas di Rio, dove la polizia ha sempre più licenza di uccidere, e si tratta, in gran parte di giovani neri, ignari e innocenti. O, da voi, per evitare di aggiungere altre vittime alla migliaia di morti annegati, che già si registrano nei vostri mari. Noi non abbiamo la capacità di dire, come Gesù: “Giovinetto, dico a te, alzati!”, ma possiamo fare in modo che molti giovani non muoiano anzitempo e che possano essere così consegnati all’affetto di madri, figli, spose. Questo potrà, allora, innescare un processo di fede, se non altro nell’umanità, anche e soprattutto là dove la fiducia in ogni traccia di umanità era ormai morta.

Oggi noi si fa memoria di Ildegarda di Bingen, mistica benedettina, di Adrienne von Speyr, medica e mistica e di Dom Gianfranco Masserdotti, pastore dei popoli senza voce.

Ildegarda nacque nel 1098, ultima di dieci figli del nobile Ildelberto di Bermersheim e di sua moglie Matilda, nella provincia tedesca di Rheinhessen. Forse a causa della salute fragile, o per la precocità dell’intelligenza o, ancora per l’esperienza di involontarie visioni, la famiglia la inviò ancora bambina nel monastero benedettino di Disibodenberg, affidandola alle cure e all’educazione della monaca Jutta di Spanheim. Consacratasi giovanissima, all’età di trentotto anni fu eletta abbadessa. Studiò scienze e teologia e scrisse testi di medicina, biologia, cosmologia. Fu anche pittrice, compositrice, poetessa. Ebbe una serie di visioni e per dieci anni, tra il 1140 e il 1150, scrisse su di esse, illustrandole, fornendone l’interpretazione e commentandone il significato. Una commissione inviata dal papa Eugenio III per indagare su lei e la sua opera, dopo aver ascoltato l’opinione a lei favorevole di Bernardo di Chiaravalle, la considerò ortodossa e ritenne le visioni autentiche. Da parte sua, Ildegarda esortò il papa ad impegnare le sue forze ad una profonda riforma della Chiesa. Scrisse estesamente sull’esigenza della giustizia sociale e della liberazione degli oppressi. Sottolineò l’importanza di ricordare che ogni essere umano, creato a immagine di Dio, deve avere l’opportunità di usare e mettere a frutto i talenti ricevuti da Dio, realizzando in tal modo il progetto che lo stesso Dio ha per ciascuno di noi. Morì il 17 settembre 1179.

Adrienne von Speyr nacque a La Chaux-de-Fonds, in Svizzera, il 20 settembre 1902, in una famiglia protestante. Quindicenne ebbe la sua prima esperienza mistica. Completati gli studi secondari, si iscrisse alla Facoltà di medicina, al termine della quale, nel 1931 comincerà ad esercitare la professione medica. Nel frattempo, nel 1927, aveva sposato Emile Dürr, di cui resterà tuttavia vedova sette anni più tardi. Nel febbraio 1936 sposò Werner Kaegi. Nell’aprile del 1940 ebbe l’incontro decisivo per la sua vita con il teologo gesuita Hans Urs von Balthasar, che divenne suo direttore spirituale. Il 1° novembre dello stesso anno, Adrienne ricevette il battesimo “sotto condizione”, entrando a far parte della Chiesa cattolica. Due anni più tardi visse l’esperienza angosciosa e traumatica delle stimmate. A partire dal 1944, benché priva di qualsivoglia formazione teologica, cominciò a dettare quasi quotidianamente a Von Balthasar testi di commento alla Bibbia e su altri argomenti teologici, frutto delle sue esperienze mistiche, che lo stesso Von Balhasar affermerà in seguito assolutamente decisivi in ordine alla sua evoluzione e produzione teologica. Assieme fonderanno nel 1945 l’istituto secolare Johannesgemeinschaft (Comunità di San Giovanni). Da allora continuarono e crebbero in frequenza le esperienze mistiche della Von Speyr. Perduta completamente la vista nel 1964, Adrienne morì a Basilea il 17 settembre 1967, memoria della grande mistica tedesca Ildegarda di Bingen.

Gianfranco Masserdotti era nato a Brescia, il 13 settembre 1941. Entrato nell’istituto dei Missionari Comboniani, fu ordinato sacerdote il 26 marzo 1966. Conseguita la laurea in sociologia all’università di Trento, fu inviato missionario nel Nordest del Brasile, dove restò dal 1972 al 1979, quando fu richiamato a Roma per assumere l’incarico di Assistente generale della congregazione. Ritornato nel 1986, in Brasile, il 2 marzo 1996, fu consacrato vescovo coadiutore di Balsas (Maranhão), diocesi di cui divenne vescovo titolare due anni più tardi. All’interno della Conferenza Nazionale Episcopale del Brasile (CNBB) svolse la funzione di Presidente della CIMI (Conselho Indigenista Missionário) e di Vice-Presidente della Commissione Missionaria. Il 17 settembre 2006 morì vittima di un incidente stradale. È ricordato unanimemente come “religioso dalla grande sensibilità umana e spirituale, un missionario dedito totalmente alla causa dei poveri e un Vescovo illuminato e profondamente impegnato a preparare una Chiesa locale autosufficiente, significativamente presente sul territorio, dialogante con tutti, particolarmente attenta ai “più poveri e abbandonati” e missionaria, aperta a tutti i continenti”. Poche settimane prima, in occasione dei funerali di un altro grande della Chiesa brasiliana, Dom Luciano Mendes de Almeida, aveva detto: “La vera morte avviene quando riponiamo la nostra speranza e il senso della nostra vita nel possesso, nel potere, nel piacere senza limiti, quando chiudiamo il nostro cuore al prossimo e ci lasciamo trasportare dall’egoismo. La vera morte avviene quando ci lasciamo prendere dal timore di perdere la nostra vita a causa di Gesù e del Vangelo”.

I testi che la liturgia odierna propone alla nostra riflessione sono tratti da:
1ª Lettera a Timoteo, cap.3, 1-13; Salmo 101; Vangelo di Luca, cap.7, 11-17.

La preghiera del martedì è in comunione con le religioni tradizionali del Continente africano.

E anche per stasera è tutto. Noi ci si congeda qui, con una citazione di Adrienne von Speyr, tratta dal suo libro “Esperienza di preghiera” (Jaca Book). che è, così, per oggi, il nostro

PENSIERO DEL GIORNO
Quando Dio parla, nella preghiera, col credente, si fa a lui percepibile, ma la sua parola contiene di più di quello che è percepito, di modo che l’orante può attingere, dalla parola accolta, sempre qualcosa di nuovo. Lui stesso trova la sua parola insufficiente per dire a Dio quello che potrebbe dire, ma confida che Dio, dalla parola timida e goffa, capisca quello che vuole: tutto il contenuto della sua fede. E quando si ricorda che Cristo è la parola, allora questa parola diventa per lui mediazione: la parola di Dio si realizza per lui in Cristo: quel che il Padre ha da dirgli ha trovato piena espressione nel Figlio incarnato, ed egli ha bisogno soltanto di contemplare il Figlio pregando, per avere parte alla pienezza del suo essere-parola. (Adrienne von Speyr, Esperienza di preghiera).

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 17 Settembre 2019ultima modifica: 2019-09-17T22:19:24+02:00da fraternidade
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