Giorno per giorno – 10 Settembre 2019

Carissimi,
“Disceso con loro, Gesù si fermò in un luogo pianeggiante. C’era gran folla di suoi discepoli e gran moltitudine di gente da tutta la Giudea, da Gerusalemme e dal litorale di Tiro e di Sidone, che erano venuti per ascoltarlo ed esser guariti dalle loro malattie; anche quelli che erano tormentati da spiriti immondi, venivano guariti. (Lc 6, 13. 17-18). I “loro” con cui discese dal monte erano i Dodici che, dopo aver passato l’intera notte in preghiera, egli aveva scelto e chiamato a sé come suoi inviati. Che da allora sarebbero stati i testimoni privilegiati dei suoi insegnamenti e dei suoi gesti. Dorvando, stamattina, sottolineava l’importanza che la preghiera – l’entrare in comunione con il Padre – aveva per Gesù e come anche noi dovremmo fare di essa il nostro alimento quotidiano, intensificandola nel momento delle grandi decisioni. Questo ci eviterebbe errori e fraintendimenti. Poi il vangelo menzionava, uno per uno, i nomi dei “chiamati” per essere “mandati” (apostoli). E, a quei nomi, dovremmo poter aggiungere anche i nostri, che riassumono le nostre storie, con le cose buone, ma anche e forse sopratutto con i limiti, i difetti, le confusioni, se non proprio i disastri che possano averle caratterizzate. Da Gesù, e con Gesù, siamo inviati a riproporne la Parola di liberazione e salvezza, e a guarire dai loro mali non solo i nostri, ma anche le moltitudini che giungono dai “Tiro e Sidone” di oggi, a noi stranieri, da noi diversi, spesso, per noi, pagani. Resi ormai tutti ugualmente fratelli dal lieto messaggio portato da Gesù dell’amore incondizionato del Padre, che supera ogni barriera e abbraccia tutti.

Oggi noi si fa memoria di Hillel, l’Anziano, maestro in Israele; di Emilio Caan e Policarpo Chem, martiri in Guatemala; e di Barsoma “El-Erian”, folle per Cristo in Egitto.

Hillel era nato in Babilonia, forse verso l’80 a.C., in una famiglia di ascendenza davidica. Dopo aver studiato la Torah nella cittá natale, si era trasferito, già adulto, a Gerusalemme, dove lavorò duro per mantenere la famiglia e per concedersi di frequentare nel contempo la scuola di Shemaià e Avtalion, rispettivamente presidente del Sinedrio e capo del Tribunale. Verso l’anno 30 a.C., durante il regno di Erode il Grande, Hillel fondò la scuola che prese il suo nome (bet Hillel), contrapposta a quella di Shammai. La scuola di Hillel, assai più liberale della seconda, era basata su un’interpretazione indulgente della Legge, senza tuttavia allontanarsene o tradirla. Divenuto a sua volta presidente del Sinedrio, fu lui che per primo insegnò ad un candidato alla conversione la cosiddetta Regola d’Oro (che Gesù avrebbe fatto sua), una definizione sintetica della Legge: “Non fare agli altri ciò che non vuoi che essi facciano a te. Questa è tutta la Torà, il resto è solo commento”. Seppe coniugare sapienza e umiltà, giustizia e amore profondo alle creature, ragione e religione del cuore. Morì nel 10 d. C., quando Gesù, a Nazareth, era ancora solo un adolescente. Che tutto lascia credere dovesse conoscere bene gli insegnamenti del gran vegliardo. È curioso il fatto che, di tutte le correnti presenti nel giudaismo del 1° secolo, le uniche a sopravvivere sono quelle che hanno la loro origine nel pluridecennale magistero di Hillel e nella parabola fulminea ed efficace del Rabbi di Galilea, che permearono, nei secoli successivi, fino ai nostri giorni, la storia del giudaismo e del cristianesimo.

Emilio Caan era un indigeno pocomchí. Operatore di pastorale, catechista, fondatore della Cooperativa di San Cristóbal, nel Dipartimento di Verapaz (Guatemala), era già stato ripetutamente minacciato e anche sequestrato dalle forze paramilitari della zona di Cobán, ma ogni volta era stato liberato. Salvo l’ultima, quando nulla più si seppe di questo fedele servitore della sua Chiesa. Policarpo Chem, a San Cristóbal, aveva fondato la Legione di Maria, e ne era il presidente. Era conosciuto da tutti per la sua fede, il suo dinamismo, la sua umiltà. Era gerente della Cooperativa di Risparmio e Credito di San Cristóbal. Nel 1982 aveva posto le strutture della Cooperativa a servizio dei rifugiati di Las Pacayas. Il 10 settembre 1984 venne sequestrato, caricato a forza in un auto, alla cui guida c’era un certo Lara, già capo dei servizi di sicurezza della compagnia tedesca Hochtief, costruttrice del complesso idroelettrico di Chixoy, e già implicato in altri sequestri e omicidi delle bande paramilitari operanti nella regione. Il corpo di Policarpo venne ritrovato due giorni dopo con segni di tortura e orribilmente mutilato. Una folla immensa ne accompagnò i funerali. Durante il rito, la vecchia madre si avvicinò all’altare e, a voce alta, implorò il perdono di Dio per gli assassini di suo figlio.

Barsoma era nato da una nobile e ricca famiglia del Cairo verso 1257. Il padre, El-Wageeh Moufdel, era scrivano della regina Shagaret El-dor, e la madre apparteneva alla famiglia El-Taban. In seguito alle macchinazioni di uno zio, alla morte dei genitori, che avvenne quando era ancora molto giovane, si ritrovò spogliato dell’eredità paterna, povero e abbandonato. Invece di ricorrere alle autorità per far valere i suoi diritti, risolse di abbandonare gli ambienti mondani frequentati fino ad allora, e di darsi ad una vita da asceta girovago e mendicante. Coperto di un solo mantello, fatto che gli valse il soprannome di “El-Erian” (“il nudo”), visse per cinque anni nei quartieri più poveri della città, dove la gente lo considerava una specie di “folle per Cristo”. Poi, per vent’anni abitò in una grotta presso la chiesa di San Mercurio Abu Saifan, nei quartieri vecchi del Cairo. In seguito, per quindici anni, abitò sul tetto della chiesa, dove, pregando giorno e notte, sopportò con indomita pazienza l’estremo caldo dell’estate e il freddo d’inverno. In quegli anni si inasprirono le persecuzioni contro i cristiani, e Barsoma testimoniò coraggiosamente la sua fede, fino ad essere per questo imprigionato. Quando fu scarcerato, si stabilì nel monastero di Sahran, a sud del Cairo, dove visse, tanto per cambiare, sul tetto della chiesa, intensificando la sua preghiera e i suoi esercizi ascetici. Finché lo colse la morte, il 5 del mese benedetto di El-Nasi del 1317 (anno 1033 dell’era dei martiri). Fu seppellito a Sahran, e la fama della sua santità si diffuse presto in tutto il Medio Oriente.

I testi che la liturgia odierna propone alla nostra riflessione sono tratti da:
Lettera ai Colossesi, cap.2, 6-15; Salmo 145; Vangelo di Luca, cap.6, 12-19.

La preghiera del martedì è in comunione con le religioni tradizionali africane.

Jean Vanier se ne è andato il 7 maggio scorso. Avrà festeggiato così lassù il suo novantunesimo compleanno, che cadeva oggi, essendo egli nato il 10 settembre 1928. Noi lo ricordiamo comunque, assieme a tutte le comunità, sparse nei diversi continenti, dell’Arca e di Fede e Luce, che da lui e da Marie Hélène Mathieu, hanno tratto origine per essere, con le parole dello stesso Jean “creazione di legami, di comunità, di amore; persone in relazione le une con le altre, persone impegnate verso le altre (cosa straordinaria nel nostro mondo di infedeltà); legame, non solo tra persone che sono forti, sane, in buona salute, ma legame con chi è più debole, legame con chi è normalmente rifiutato”. Così, congedandoci, scegliamo di farlo, cedendo la parola a lui, con un brano tratto dal suo libro “Gesù il dono dell’amore” (EDB), che è, così, per oggi, il nostro

PENSIERO DEL GIORNO
La sete di Gesù / è una sete d’amore per le persone / prese così come sono, / con le loro povertà e le loro ferite, / con le loro maschere e i loro meccanismi di difesa / e anche con tutta la loro bellezza. / La sua sete è che ognuno di noi / – “grande” o “piccolo” non importa – / possa vivere pienamente / ed essere ricolmo di gioia. / La sua sete è rompere le catene / che ci chiudono nella colpevolezza e nell’egoismo, / impedendoci di avanzare / e di crescere nella libertà interiore. / La sua sete è liberare / le energie più profonde nascoste in noi / perché possiamo diventare uomini e donne di compassione, / artigiani di pace / come lui, / senza fuggire la sofferenza e i conflitti / del nostro mondo spezzato, / ma prendendovi il nostro posto / e creando comunità e luoghi d’amore, / così da portare una speranza a questa terra. / (Jean Vanier, Gesù, il dono dell’amore).

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 10 Settembre 2019ultima modifica: 2019-09-10T22:10:05+02:00da fraternidade
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