Giorno per giorno – 09 Settembre 2019

Carissimi,
“Un sabato Gesù entrò nella sinagoga e si mise a insegnare. C’era là un uomo che aveva la mano destra paralizzata. Gli scribi e i farisei lo osservavano per vedere se lo guariva in giorno di sabato, per trovare di che accusarlo” (Lc 6, 6-7). Quell’uomo, dalla mano destra paralizzata, era in realtà il loro specchio. Impediti com’erano, scribi e farisei (di ieri e di oggi), di agire in pro della vita, prigionieri di una legge senz’anima, come, del resto, il sacerdote e il levita, che “passarono oltre”, ignorando il ferito abbandonato mezzo morto ai margini della strada, nella parabola del buon Samaritano, ostaggi di norme o orari del rito. Guarendo quell’uomo, profanando il Sabato (che permetteva di curare solo chi si trovasse in pericolo di morte), Gesù manda un messaggio, un “lieto messaggio”, proprio a loro, che volevano accusarlo: Dio si preoccupa anche di voi, voi pure potete essere guariti dal vostro legalismo, che nega Dio e la sua verità. Lo ripete anche a noi, ogni qualvolta facciamo prevalere, sullo spirito, sperabilmente bene intenzionato, la “lettera” della legge, anche se divina (figuriamoci poi se solo umana), rispetto al diritto sacro alla vita dei nostri simili.

Il nostro calendario ci segnala oggi le memorie di Pedro Claver, schiavo degli schiavi in America; Aleksandr Men, martire ortodosso in Russia; Poemen il Grande, padre del deserto.

Pedro Claver era nato a Verdú, in Catalogna, il 26 giugno 1580, figlio di una coppia di contadini, Pedro e Juana Corberó. Entrato nella Compagnia di Gesù a 22 anni, mentre studiava filosofia a Mallorca nel 1605 conobbe sant’Alonso Rodriguez che era portinaio del collegio. Fu un incontro decisivo per il futuro del nostro. Pare infatti che Alonso, illuminato circa il futuro del giovane, prese ad incoraggiarlo a recarsi come missionario nei territori occupati dagli spagnoli in America. Di fatto, Pedro chiese ed ottenne dai superiori di partire alla volta di Nueva Granada nel 1610. Completati gli studi di teologia, fu ordinato sacerdote a Cartagena, il 20 marzo 1616. Giunto in America, Pedro si era reso presto conto della tragica realtà rappresentata dallo schiavismo – Cartagena, infatti, rappresentava il maggior centro di commercio di schiavi del Nuovo Mondo – e scelse di farvi fronte nel solo modo a quel tempo possibile. In occasione della sua professione religiosa solenne, si dichiarò “schiavo degli schiavi africani” e, da allora, per quarant’anni, si dedicò senza riserve a sopperire i bisogni, lenire le sofferenze ed evangelizzare le vittime di quel commercio disumano. Scontando naturalmente l’ostilità aperta della società bianca, ma anche le umiliazioni e le incomprensioni da parte dei suoi confratelli e superiori. Morì all’alba del 9 settembre 1654.

Aleksandr Vladimirovitch Men nacque a Mosca il 22 gennaio 1935, durante il regime stalinista. Qualche mese dopo la nascita, la madre, ebrea, chiese per sé e per il piccolo il battesimo, che verrà loro somministrato il 22 settembre 1935. Ancora giovane, Aleksandr sentì chiara la vocazione a servire Dio. Appassionato per le scienze naturali, si iscrisse alla facoltà di Zoologia, ma ne fu espulso nel 1958, quando le autorità accademiche seppero delle sue convinzioni religiose. Lo stesso anno, Alexandr fu ordinato diacono e, dopo due anni, presbitero. Pur sotto il continuo controllo del KGB, riuscì a realizzare un’imponente attività pastorale, conquistando la fiducia di ogni genere di persone. Aperto ad ogni verità presente nelle altre Chiese cristiane e nelle altre religioni, soleva dire: “I muri che abbiamo eretto tra noi non sono sufficientemente alti per arrivare fino a Dio”. Con la libertà garantita dalla “perestroika” inaugurata da Gorbachov venne via via moltiplicando gli sforzi per diffondere più rapidamente il Vangelo di Gesù Cristo. Padre Aleksandr fu ucciso a colpi d’ascia non lontano dalla sua casa, la mattina de 9 settembre 1990, mentre si recava a celebrare la liturgia. I sospetti caddero su elementi dell’estrema destra nazionalista e antisemita, che forse agirono con la compiacenza dei servizi segreti. Ma nessuno fu mai incriminato o processato per il delitto.

Il 4 del mese di Nasie (il tredicesimo e ultimo mese del calendario copto, che conta solo cinque giorni, e che coincide con il 9 settembre del calendario gregoriano), la Chiesa copta fa memoria di Poemen, uno tra i più famosi padri del deserto. Nato attorno al 340, si era ritirato con sei fratelli nel deserto egiziano di Scete, ma nel 408 la piccola comunità fu costretta a causa delle incursioni dei Berberi ad abbandonare il luogo dove viveva per trovare rifugio tra le rovine di un tempio nei pressi di Terenuthis (l’attuale Tarrana, a settanta chilometri dal Cairo). Poemen si alternava con il fratello Anubis alla guida della comunità, la cui giornata alternava ore di duro lavoro, la lettura dei libri sacri, la preghiera, una povera refezione e poche ore di riposo. Poemen praticava spesso duri e prolungati digiuni, ma consigliava i compagni di alimentarsi ogni giorno, sia pure con moderazione, e mai fino a saziarsi. A chi lo interrogava se fosse meglio parlare o tacere, rispondeva: “Chi parla per amore di Dio, fa bene, e chi tace per amore di Dio, anch’egli fa bene”. Diceva anche: “Un uomo può anche sembrare in silenzio, ma se in cuor suo condanna gli altri, allora è come se parlasse sempre. Ci può essere, invece, chi parla continuamente, ma in realtà tace, perché non dice nulla di vano”. Insegnava: “È bene osservare queste tre cose: temere Dio, pregare spesso, fare del bene al prossimo”. E ancora: “La malvagità non sradica la malvagità. Se qualcuno fa del male a voi, fategli del bene, e la vostra bontà vincerà la sua malvagità”. Alcuni anziani gli chiesero: “Se vediamo dei fratelli che sonnecchiano durante la liturgia, vuoi che li scuotiamo, perché rimangano desti durante la veglia?”. Ma egli disse loro: “Veramente, se io vedo un fratello che sonnecchia, metto la sua testa sulle mie ginocchia e lo lascio riposare”. Poemen morì a 110 anni. Subito dopo la sua morte fu riconosciuto come un santo gradito a Dio e fu chiamato “il Grande” per la sua grande umiltà e rettitudine, come anche per le lotte ascetiche, l’abnegazione e il servizio a Dio.

I testi che la liturgia odierna propone alla nostra riflessione sono tratti da:
Lettera ai Colossesi, cap.1,24 – 2,3; Salmo 62; Vangelo di Luca, cap. 6,6-11.

La preghiera di questo lunedì è in comunione con le grandi religioni dell’India, Vishnuismo, Shivaismo, Shaktismo.

È tutto, per stasera. Noi ci si congeda qui, offrendovi in lettura, un brano di Aleksandr Men, tratto dal suo libro “Io credo. Il Simbolo della fede” (Nova Millennium Romae). Che è, così, per oggi, il nostro

PENSIERO DEL GIORNO
Se il mondo è creato da Dio, allora Gesù Cristo, venuto nel mondo, non è una creatura di Dio. Egli nacque da Dio. Nacque in senso profondo, mistico, misterioso, divino. Nella Bibbia (come pure in generale nelle lingue orientali) la parola figlio significa “colui che fa parte”, in senso diretto. L’uomo che dava speranza, veniva chiamato figlio della speranza. L’uomo pieno di peccati e di male veniva chiamato figlio della morte. Gli ospiti alle nozze venivano chiamati figli del palazzo nuziale. L’allievo di un profeta (e il profeta stesso) veniva chiamato figlio del profeta, cioè il concetto di figlio non significava semplicemente la nascita di carne, ma la comunione interiore, spirituale. E quando il Vangelo secondo Marco – il più antico, come ritengono gli studiosi – parla di Gesù Cristo Figlio di Dio, ci rivela un grandissimo mistero: quest’uomo terreno, che ha condiviso con noi la nascita e la morte, le sofferenze e la stanchezza, la fame, la compassione, la gioia e il dolore, ebbene Egli nello stesso tempo appartiene al Mondo divino. Egli non è stato creato, ma è nato dal Sommo. “lo e il Padre siamo una cosa sola”, Egli dice. E questa non è solamente una delle frasi di Dio, ma qualcosa di unico nel suo genere. Perciò: Gesù Cristo, unigenito Figlio di Dio, nato dal Padre prima di tutti i secoli. Prima di tutti i secoli significa che questa nascita non è un avvenimento nel tempo, quasi vi fosse un tempo quando Lui non esisteva e un tempo in cui Lui apparve. Prima di tutti i secoli, cioè quando non vi era il tempo, quando le parole “prima” e “dopo” non avevano senso. La Nascita avviene eternamente, al di fuori del tempo. (Aleksandr Men, Io credo. Il Simbolo della fede).

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 09 Settembre 2019ultima modifica: 2019-09-09T22:48:34+02:00da fraternidade
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