Giorno per giorno – 11 Settembre 2019

Carissimi,
“Beati voi poveri, perché vostro è il regno di Dio. Ma guai a voi, ricchi, perché avete già la vostra consolazione” (Lc 6, 20. 24). Stamattina, la preghiera delle lodi era nel santuario del Rosario, dove ci acccoglie, per il momento unico superstite, dopo la pasqua di frei Marcos e di frei Casimiro, frei José Roberto, che prepara l’ambiente (e anche la colazione che seguirà) con una cura tutta speciale. Luca, rispetto a quanto proposto nel vangelo di Matteo, propone una versione ridotta delle beatitudini, da otto a quattro; in compenso, aggiunge quattro lamenti sulla condizione dei diversamente gaudenti, a scapito delle, o indifferenti alle sofferenze altrui. L’evidente contrario di una teologia della prosperità, che proponga questa come specchio della benedizione di Dio. Prosperità che dovrebbe invece renderci tremebondi, perché espressione dell’iniquità dell’uomo e del sistema, e perciò negatrice di quel progetto di Dio – il Regno – che si promette già qui ed ora ai poveri, chiamando i seguaci di Gesù a compierne le attese, saziando la fame degli affamati, restituendo gioia a quanti piangono, prendendo le parti di quanti sono perseguitati. Questo, oltre a confermarci il come è di Dio, è anche il nuovo codice morale che identifica i suoi fedeli. Assai più esteso ed esigente di una qualsiasi lista di precetti volti a farci perseguire un ipotetico stato di perfezione a prescindere dagli altri.

Il Martirologio latinoamericano ricorda oggi Sebastiana Mendoza, catechista guatemalteca, e i Martiri del golpe militare in Cile.

Indigena, animatrice della sua comunità, dopo che il marito e i figli furono uccisi dall’esercito, Sebastiana Mendoza si vide costretta a lasciare il villaggio natale, nel Quiché, per rifugiarsi a Città del Guatemala. Lì, servendo le centinaia di rifugiati della sua regione, costretti come lei ad abbandonare i loro villaggi, continuò a evangelizzare e portare la buona notizia della risurrezione alla sua gente martirizzata. L’11 settembre 1981, fu sequestrata e sparì nel nulla. Come centinaia di altri catechisti anonimi, torturati, massacrati, crocifissi, che non esitarono a dare la loro vita per la loro gente.

Un sanguinoso golpe militare interruppe violentemente, l’11 settembre 1973, il processo democratico del Cile. Caddero sotto le armi delle forze armate centinaia e centinaia di operai, studenti, militanti, contadini, preti. Morirono per difendere le loro fabbriche, le loro strade, le loro baraccopoli, la libertà del popolo conquistata con la volontà di tutti. No, non di tutti. Tanto è vero che le acque del Mapocho si tinsero di sangue e lo Stadio nazionale fu testimone del silenzio, della tortura, del massacro di migliaia di cileni. Dopo, fu solo la dittatura, che, con il volto del generale Pinochet, continuò a imprigionare, torturare, esiliare, ridurre al silenzio, alla miseria e alla fame un popolo, a tutela di corposi interessi, travestiti, tanto per cambiare, dallo slogan “dio-patria-famiglia” (rigorosamente minuscoli, dato che non si trattava né di Dio, né della Patria, né della Famiglia). Così, per quindici anni. Fino alla lenta e difficoltosa rinascita alla democrazia.

I testi che la liturgia odierna propone alla nostra riflessione sono tratti da:
Lettera ai Colossesi, cap.3, 1-11; Salmo 145; Vangelo di Luca, cap.6, 20-26.

La preghiera del mercoledì è in comunione con tutti gli operatori di pace, quale che ne sia il cammino spirituale o la filosofia di vita.

La Chiesa copta, in Egitto, Etiopia e nelle rispettive diaspore, celebra oggi la festa di Nayruz, il Capodanno, che coincide con il primo giorno del mese di Tut (in Egitto), e di Maskaram (in Etiopia). Il calendario copto data a partire dal 29 agosto del calendario giuliano (che corrisponde all’11 settembre di quello gregoriano) dell’anno 284 d. C., anno che segnò la salita al trono dell’imperatore Diocleziano, responsabile di una delle peggiori persecuzioni nei confronti dei cristiani. Per i nostri fratelli copti entriamo dunque con oggi nell’anno 1736 di quella che è detta l’Era dei Martiri. A titolo informativo, l’anno copto consta di dodici mesi di trenta giorni più un “piccolo mese” (al-nasi) di cinque giorni, chiamati “epagomeni” (complementari), che diventano sei negli anni che precedono i nostri anni bisestili. Estendendo la celebrazione di Nayruz sino alla festa della Croce Gloriosa, il 17 di Tut (o di Maskaram), la Chiesa ci invita a seguire l’esempio di quelle icone viventi che furono i martiri, additando nella Croce, simbolo dell’abnegazione e del dono di sé, il fine e il significato più vero dell’esistenza cristiana.

“Il 2 settembre è volata via Lida dopo una lunga e dolorosa malattia. È partita consapevole, libera e serena. Io sto passato qualche giorno in un eremo antico e abbandonato sui monti pisani”. Così, il nostro amico Mario, dalle colline della vostra Toscana, ci ha comunicato oggi la dipartita di Lida, compagna di una vita. Poi, in una sorta di confessione pubblica destinata agli amici e amiche ha aggiunto: “Quando ci siamo conosciuti e confessati reciprocamente le nostre storie ( belle, complicate, sconvolgenti, avventurose ecc.), io le ho detto che a 18 anni ho incontrato Gesù e me ne sono innamorato. È il mio primo amore. Lei con il suo candore e la sua concretezza mi ha risposto: MA IO NON SONO GELOSA. Lo ha ripetuto il giorno prima di morire parlando della nostra storia con Beppe e Lucia, nostri storici compagni di viaggio. Il distacco da Lida è doloroso: lei ha scelto liberamente di rimettere la sua vita nel mistero della morte , vissuto con serenità, consapevolezza e libertà… ma lasciarla andare non è così scontato. Sicuramente è evangelico”. Noi gli si è risposto così: “Grazie della notizia e della pagina preziosa con cui l’hai accompagnata: profumano entrambe straordinariamente di evangelo, che tocca, e come tocca!, il cuore. Non dev’essersi trattato di una semplice coincidenza il fatto che Lida abbia scelto di consegnarsi all’abbraccio del mistero, nel giorno in cui la liturgia ci proponeva il commento di Gesù alla profezia di Isaia: “Lo Spirito del Signore mi ha consacrato con l’unzione per annunziare ai poveri un lieto messaggio”. Paradosso tutto cristiano che il “lieto messaggio” sia la croce, che sanziona il suo, di Gesù, definitivo e incondizionato consegnarsi in solidarietà coi poveri, per la vita del mondo. Tu, con la tua passione di sempre per Gesù, a cui si è associata, dal vostro primo incontro, Lida, pemettendovi così di vivere la vostra avventura non come laccio che esclude, ma come sguardo – ed è già il Regno – aperto sul mondo e sui suoi bisogni, in obbedienza spontanea al Vangelo di domenica scorsa, potresti scriverci un libro non ancora finito. La parola “lida”, da noi, significa “impegno straordinario”: forse non è questo che i suoi genitori avevano pensato nel chiamarla così, ma crediamo che la sua vita lo sia comunque stata. Sforzo non comune di testimoniare il vangelo, sino alla fine, in tempi in cui esso è facilmente svenduto, per strappare a proprio vantaggio quel potere a cui invece ci è chiesto di rinunciare. Non diciamo altro, se non che ti accompagniamo con la preghiera del bairro, come espressione del nostro abbraccio riconoscente, grato a Dio e a voi, per ciò che avete rappresentato e rappresentate nella vita di tanti, dando carne e storia alla parola che dice ogni volta: Oggi si è compiuta questa Scrittura”.

Ed è tutto, per stasera. Prendendo spunto dal Capodanno copto, noi ci si congeda, offrendovi in lettura il testo inedito di una catechesi su “Verità e amore” tenuta dal celebre monaco Matta el Meskin, nel Wadi el Rayyan, nel 1967. La troviamo nel sito di spiritualità ortodossa “Nati dallo Spirito” ed è, per oggi, il nostro

PENSIERO DEL GIORNO
Non ti pentirai mai di aver agito per amore non importa quanto sia grande la perdita apparente, quanto la fisionomia della verità e dei principi ne risulti offuscata. L’amore è capace di promuovere se stessa come luce divina. È capace di trasmettere la verità alla persona che volevi rimproverare ma che hai deciso di trattare con amore e di fargli conoscere la via più di quanto possa fare tu. Eppure quest’amore che tu gli dai, non può riceverlo dal mondo. Il mondo sa dire parole di verità ma non conosce il linguaggio dell’amore. Il mondo sa come usare il linguaggio della verità ma è incapace di dire l’amore. Tutti sono capaci di proclamare la verità, non soltanto tu. Ma nessuno riesce a vivere l’amore se non colui che si è offerto sull’altare dell’amore e ha accettato di bruciare nelle fiamme dell’amore. L’amore è forte e inesorabile, più forte delle fiamme. L’amore è capace di correggermi molto più del timore di Dio. La grandezza, la potenza, la signoria di Dio non sono mai riusciti a intimorirmi e ad atterrirmi quanto il suo amore. Il bastone dell’amore di Dio è riuscito a incidere in me più di quello della correzione. Perché quando, io che sono peccatore, sento il suo amore per me, la sua tenerezza, mi sciolgo completamente. L’amore è capace di correggere, insegnare, educare e questo è ciò che ho visto nella mia vita nonostante avessi gli occhi bendati davanti all’amore e camminassi sulla via della verità. Certamente, non avrei potuto camminare nell’amore senza aver camminato prima nella verità. Non è possibile, qui si tratta di una gradualità. Non dico che prima mi sbagliavo ma che avrei sbagliato se non mi fossi reso conto della via dell’amore. Alla nostra vita qui, padri, manca l’amore. Alla nostra vita comunitaria manca l’amore. Se non capiamo il vero amore e ci sacrifichiamo per esso, la nostra vita è incapace di illuminare il mondo. Possiamo vivere, costruire, ma la nostra vita sarà inetta a illuminare il mondo. Il giorno in cui ci ameremo gli uni con gli altri di un amore forte la nostra vita darà luce al mondo intero perché l’amore non può essere nascosto sotto un moggio (cf Mt 5,15). (Matta el Meskin, Verità e amore).

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 11 Settembre 2019ultima modifica: 2019-09-11T22:11:02+02:00da fraternidade
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