Giorno per giorno – 04 Settembre 2019

Carissimi,
“Uscito dalla sinagoga Gesù entrò nella casa di Simone. La suocera di Simone era in preda a una grande febbre e lo pregarono per lei. Chinatosi su di lei, intimò alla febbre, e la febbre la lasciò. Levatasi all’istante, la donna cominciò a servirli” (Lc 4, 38-39). C’è una febbre che contagia l’umanità dalle sue origini ed è la febbre del potere, che il racconto di Genesi disegna come frutto della suggestione del serpente, che travisa, mortificandola, l’immagine di Dio (e perciò del senso della vita), da espressione del Donatore di tutto a quella del detentore di un potere assoluto, che intende sottrarre alle nostre mire. Da allora, noi. come individui e come comunità umane, siamo posti davanti all’alternativa di scegliere e sceglierci come Dio è, nella dimensione del dono e del servizio, o come l’Avversario ce lo prospetta, secondo la logica della competizione e del dominio. Il primo miracolo di Gesù, dopo l’esorcismo compiuto nella sinagoga, di cui abbiamo udito ieri, consiste nella semplice guarigione dalla febbre della suocera di Pietro, guarigione che la introduce e, se lo vogliamo, ci introduce. nello spirito di servizio, proprio di Gesù, che è tra noi “come colui che serve” (Lc 22, 27), e ci rende così (e solo così) atti a testimoniare l’evangelo del Regno.

Oggi il calendario ci porta le memorie di Mosè, profeta, guida e legislatore d’Israele; Albert Schweitzer, teologo, filosofo, organista, medico e missionario in Africa; Rabbi Simcha Bunam di Pžysha, mistico ebreo, André Jarlan, prete e martire in Cile.

Figura dominante nella Bibbia, dall’Esodo al Deuteronomio, Mosè è considerato dall’ebraismo tradizionale “Padre dei profeti”, il profeta maggiore, superiore a tutti coloro che lo precedettero e lo seguirono. Nell’ebraismo che seguì la diaspora, Mosè é “Moshè Rabbenu”, “Mosè, nostro Maestro”. La sua storia, che ha come unica fonte la Bibbia, si svolge, probabilmente, all’epoca del faraone Ramses II (1301-1234 a.C.). Alla guida del suo popolo, per quarant’anni, durante il lungo viaggio attraverso il deserto, gli fornì una formazione religiosa, basata sul culto esclusivo di Jhwh, il Dio che libera [Israele] dalla schiavitù, facendone suo popolo testimone. Mediatore dell’Alleanza sul Sinai, Mosè pose le basi dell’organizzazione sociale e legislativa di Israele, quale nazione indipendente. Giunto alle soglie della terra promessa, punito da Dio a non entrarvi, potè però contemplarla, prima di morire, dalla cima del monte Nebo. La morte avvenne il 7 del mese di Adar dell’anno 2488 [dalla creazione del mondo]. Dio stesso seppellì Mosè, nella valle, nel paese di Moab, davanti a Beth Pe’or, secondo l’espresso desiderio del suo servo. Che volle con ciò testimoniare che continuava ad amare tutti come suoi propri figli, anche quanti avevano peccato gravemente contro Dio (cf Nm 25,3).

Albert Schweitzer nacque in Alsazia (all’epoca tedesca, ma oggi francese), il 14 gennaio 1875, figlio di un pastore luterano. Studiò a Strasburgo e a Parigi, dove, nel 1900, ottenne il dottorato in filosofia e teologia. Ben presto si fece conoscere come pregevole organista e profondo conoscitore della musica di Bach. La notte di Pentecoste del 1905, Schweitzer decise di lasciare l’insegnamento accademico e la brillante carriera, per dedicare la vita alla lotta contro la miseria e la sofferenza. A tal fine, decise di studiare medicina. Nel 1913, lui e la moglie, Hélène Bresslau, partirono alla volta di Lambaréné, nell’attuale Gabon, dove costruirono l’ospedale che, in seguito, diventerà famoso. Schweitzer era profondamente convinto della responsabilità e del debito infinito accumulato dai cristiani bianchi nei confronti dell’Africa, attraverso il dominio coloniale. La sua vita e la sua dedizione come medico furono, per lui, il modo di pagarne personalmente una piccola quota. Nel 1952 ricevette il Premio Nobel per la Pace. Morì il 4 settembre del 1965.

Rabbi Simha Bunam era nato a Voidislav (Polonia) nel 1767. Ebbe modo di lavorare come scrivano, mercante di legna e farmacista. Introdotto nel chassidismo dal suocero, divenne dapprima discepolo di Rabbi Israele, il Magghid di Kosnitz, e, in seguito di Rabbi Giacobbe Isacco (il “Chozeh” o Veggente) di Lublino, da cui si distaccò per seguire a Pžysha, l’omonimo discepolo di quello, detto lo Jehudi, divenendo in poco tempo il più caro dei suoi allievi. Al punto da essere scelto, alla sua morte, benché riluttante, come suo successore dalla grande maggioranza dei chassidim di Pžysha. Secondo le parole di Martin Buber “L’insegnamento, quando vi si mise veramente, era per lui un impegno vitale, grave di responsabilitá; e il suo influsso sui giovani, che venivano da ogni parte e lo scongiuravano di lasciarli vivere vicino a lui, era sconvolgente. Poiché i giovani lasciavano per lui casa e mestiere, le famiglie in tutto il paese lo osteggiavano come nessun altro”. Un giorno i suoi scolari chiesero a Rabbi Bunam: “Da che cosa riconosciamo, in questa epoca senza profeti, se un peccato ci è stato perdonato?”. Rispose: “Lo riconosciamo dal fatto che non commettiamo più il peccato”. Disse una volta: “Sì, io posso indurre a conversione tutti i peccatori, ma i bugiardi no”. Rabbi Simha Bunam morì il 12 elul 5587 (4 settembre 1827).

André Jarlan era nato in Francia il 25 maggio 1941. Ordinato prete a Rodez, nell’Aveyron, il 16 giugno 1968, era stato destinato alla parrocchia di Aubin. Le sue esperienze con la Gioventù e l’Azione operaia cattolica e, più tardi, come prete operaio, assieme ai numerosi incontri con missionari lo portarono a maturare la vocazione missionaria. Chiese allora ed ottenne di essere inviato come prete “fidei donum” in Cile, dove giunse nel febbraio del 1983, in piena dittatura pinochetiana, stabilendosi a La Victoria, un quartiere povero della periferia di Santiago. Abitando con un altro prete, Pierre Dubois, in una casa di fango e paglia come quelle dei vicini, si dedicò, con pazienza e allegria, ai bambini, ai giovani e alle categorie più emarginate: drogati, disoccupati e senza-tetto. Il 4 settembre 1984, gli abitanti di La Victoria promossero una manifestazione di protesta. Giunsero sul posto plotoni di polizia che le repressero con estrema violenza. I preti si diedero da fare per soccorrere i feriti, consolare, incoraggiare. Al tramonto, approfittando di un momento di calma, André si ritirò in camera a pregare. Era seduto al tavolino, con la Bibbia aperta, quando, nel quartiere, giunse di nuovo la polizia. Due proiettili attraversarono le pareti e una lo raggiunse alla testa. André reclinò il capo sulla Bibbia aperta al salmo 130, che si apre con: “Dal profondo a te io grido, Signore; Signore, ascolta la mia voce”. Il giorno 7, migliaia di abitanti del quartiere accompagnarono la bara portata a spalle fino alla cattedrale dove l’arcivescovo, durante l’Eucaristia, disse: “André, fratello, il tuo sacrificio comincia a fiorire con la fecondità che Dio concede a chi dà la vita per amore”.

I testi che la liturgia di oggi propone alla nostra riflessione sono tratti da:
Lettera ai Colossesi, cap.1, 9-14; Salmo 52; Vangelo di Luca, cap.4, 38-44.

La preghiera del mercoledì è in comunione con tutti gli operatori di pace, quale che ne sia il cammino spirituale o la filosofia di vita.

È cominciato oggi il viaggio apostolico di papa Francesco in Mozambico, Madagscar e Isole Maurizio, volto a confermare i fratelli nella fede e invitare tutti a percorrere i cammini della pace, del perdono, della riconciliazione e della generosa solidarietà umana. Lo accompagniamo con la nostra preghiera.

E, per stasera, è tutto. Noi ci si congeda qui, lasciandovi alla lettura di un brano di Albert Schweitzer, tratto dal suo libro “Aus meinem Leben und Denken” e riportato nella raccolta antologica “Rispetto per la vita” (Edizioni di Comunità). Che è, per oggi, il nostro

PENSIERO DEL GIORNO
Il piano che intendevo ora porre in esecuzione l’avevo in mente da molto tempo, avendolo concepito fin dai giorni in cui ero studente. Mi sembrava assolutamente incomprensibile il fatto che mi fosse concesso di condurre una vita così felice, mentre vedevo tanta gente intorno a me lottare contro pene e sofferenze. Già a scuola mi sentivo commosso ogniqualvolta mi capitava di visitare le miserevoli abitazioni di alcuni miei compagni e di paragonare le loro condizioni con le condizioni del tutto ideali in cui noi ragazzi della parrocchia di Günsbach vivevamo. Mentre frequentavo l’università e godevo la felicità di poter studiare e anche ottenere qualche risultato nel campo delle scienze e dell’arte, non potevo fare a meno di pensare continuamente a coloro ai quali questa felicità veniva negata dalle circostanze materiali o dalla salute. Poi una splendente mattina d’estate a Günsbach, durante le vacanze di Pentecoste – si era nel 1896 – mi sorprese, appena fui sveglio, il pensiero che non dovevo accettare questa felicità come una cosa naturale, ma che dovevo dare qualcosa in cambio. Continuando quindi a ragionare sull’argomento, con pacifica risolutezza, mentre fuori gli uccelli cantavano, decisi con me stesso, prima di alzarmi, che mi sarei ritenuto scusato se avessi vissuto fino ai trent’anni per la scienza e l’arte, e da quell’età in avanti mi fossi dedicato alla diretta assistenza dell’umanità. Molte volte avevo già cercato di decidere quale significato si nascondesse per me nella massima di Gesù: “Perché chi vorrà salvare la sua vita la perderà, e chi avrà perduto la sua vita per amor mio e per amor del Vangelo la salverà”. Ora avevo trovato la risposta. Oltre alla felicità esteriore ora possedevo anche quella interiore. (Albert Schweitzer, Aus meinem Leben und Denken).

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 04 Settembre 2019ultima modifica: 2019-09-04T22:42:20+02:00da fraternidade
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