Giorno per giorno – 03 Settembre 2019

Carissimi,
“Nella sinagoga c’era un uomo che era posseduto da un demonio immondo; cominciò a gridare forte: Basta! Che vuoi da noi, Gesù Nazareno? Sei venuto a rovinarci? Io so chi tu sei: il santo di Dio! Gesù gli ordinò severamente: Taci! Esci da lui! E il demonio lo gettò a terra in mezzo alla gente e uscì da lui, senza fargli alcun male” (Lc 4, 33-35). “Che vuoi da noi, Gesù Nazareno?”. La rivolta di quell’uomo nella sinagoga, si è ripetuta nei secoli e si ripete oggi anche dentro la Chiesa, nelle chiese, in molti gruppi, movimenti e comunità e, più in generale nelle società che pure si dicono cristiane, ma che non vogliono proprio saperne dell’inquietante vangelo di liberazione di cui Gesù è latore. Dichiarando di adorarlo, cercano però di esorcizzarlo, facendone il puntello del loro potere, o riducendolo a idolo innocuo delle loro devozioni o tradizioni, e perciò svuotandolo del significato dirompente che gli è proprio, che culminerà nell’evento della Croce, e che egli ci ha consegnato come verità della nostra vita, come annuncio-testimonianza della sua Chiesa, come profezia di un mondo altro rispetto a quello imposto dal Sistema del dominio. Noi ne siamo coscienti?

Oggi la Chiesa celebra la memoria di Gregorio Magno, papa e dottore della Chiesa. In America Latina noi ricordiamo anche Mons. Ramón Bogarín, pastore e difensore dei diritti umani in Paraguay.

Gregorio era nato a Roma nel 540 circa. Nominato prefetto di quella città a trent’anni, esercitò l’incarico riscuotendo la generale ammirazione. Tuttavia, alla morte del padre, disgustato dal basso livello che caratterizzava la classe politica e la gestione della cosa pubblica, scelse la vita monastica. Fu notato dal papa Pelagio II, che lo ordinò diacono e, poco dopo, nel 579, lo inviò come suo emissario alla corte imperiale di Bisanzio, dove restò per sette anni. Tornato nel suo monastero, conobbe negli anni immediatamente successivi le incursioni, i saccheggi e i massacri che investirono la penisola ad opera dei longobardi, accompagnati da carestie e pestilenze che colpirono pesantemente le popolazione italiche. Alla morte di Pelagio II, fu eletto, nonostante le sue resistenze, alla cattedra di vescovo di Roma, il 3 settembre del 590. Si mise subito al lavoro, ripulendo la curia romana di presuli e laici corrotti e simoniaci, sostituendoli con monaci umili e obbedienti. In una società civile e religiosa in profonda crisi, Gregorio divenne figura di riferimento di primo piano: fondò nuovi monasteri; avviò una politica di dialogo con i barbari che occupavano in armi i territori della penisola; organizzò l’amministrazione dei beni pubblici, si preoccupò degli acquedotti, lottò a favore dei contadini e contro i potenti che cercavano ancora di ridurli in schiavitù, promosse l’evangelizzazione dell’Inghilterra. Lasciò una poderosa mole di scritti (omelie, dialoghi, lettere, trattati di pastorale). Morì il 12 marzo 604.

Ramón Pastor Bogarín Argaña era nato il 30 marzo 1911, nella famiglia di María de las Nieves Argaña e di José Patricio Bogarín González a Ypacarai (Paraguay), a una quarantina di chilometri dalla capitale, Asunción. Completati gli studi secondari e il servizio militare, si iscrisse, dapprima, alla Facoltà di Medicina nell’Università Nazionale, poi, insoddisfatto, a Ingegneria Meccanica, in Francia, ma anche in questo caso desistette presto, scegliendo di avviarsi al sacerdozio, prima nel seminario di Saint Ilan, sempre in Francia, e poi al Collegio Pio Latinoamericano di Roma, dove restò sette anni e dove fu ordinato prete nel 1938. Tornato in patria, all’inizio della Seconda Guerra Mondiale, il giovane prete fondò, nel 1940, la Gioventù Operaia. Durante la dittatura del generale Higinio Morínigo, al potere dal 1940 al 1948, fondò e diresse il settimanale Trabajo, di orientamento socialcristiano, che dovette però cessare le pubblicazioni in seguito alla minacce dei settori filogovernativi. Nel 1957, alla creazione della nuova diocesi di San Juan Bautista de las Misiones, fu designato suo vescovo residenziale. Nel 1961 rappresentò l’episcopato paraguaiano in seno al CELAM (Consiglio Episcopale Latinoamericano). Prese parte attivamente a tutte le sezioni del Concilio Vaticano II, di cui aveva anticipato di quasi vent’anni il tema della Chiesa dei poveri. Durante gli anni della dittatura del generale Stroessner, salito al potere nel 1954, Mons. Bogarín non cessò di denunciare coraggiosamente le persistenti violazioni dei diritti umani da parte del regime, le persecuzioni messe in atto contro i settori democratici e contro le Leghe agrarie cristiane, da lui stesso fondate per organizzare i contadini poveri e, più in generale, l’iniquità di un sistema che favoriva solo pochissime famiglie, a danno della maggioranza della popolazione. Morì di infarto al miocardio il 3 settembre 1975.

I testi che la liturgia odierna propone alla nostra riflessione sono tratti da:
1ª Lettera ai Tessalonicesi, cap.5, 1-6. 9-11; Salmo 27; Vangelo di Luca, cap. 4, 31-37.

La preghiera del martedì è in comunione con le religioni tradizionali del Continente africano.

È tutto, per stasera. Noi ci si congeda qui, offrendovi in lettura uma pagina della “Regola Pastorale” di Gregorio Magno. Che è, per oggi, il nostro

PENSIERO DEL GIORNO
Spesso, quando coloro che tacciono troppo patiscono qualche ingiustizia, cadono in un dolore tanto più aspro quanto meno parlano del dolore che devono sopportare; perché se dicessero tranquillamente la sofferenza che è stata loro inflitta, il dolore uscirebbe dalla coscienza. Infatti le ferite chiuse fanno soffrire di più e quando il pus che infiamma dentro viene espulso, il dolore si apre alla guarigione. Pertanto, coloro che tacciono più del conveniente devono sapere che non è bene aumentare la forza del dolore tra le sofferenze che sopportano, per il fatto di trattenersi dal parlare. Bisogna ammonirli a non tacere al prossimo, se lo amano come se stessi, ciò di cui giustamente lo rimproverano, giacché con la medicina della parola si concorre alla salute di ambedue: si frena dalla cattiva azione colui che la compie (cf Lv. 19, 17), e con l’apertura della ferita si allevia la fiamma del dolore di colui che la sostiene. Infatti, coloro che si volgono a guardare i peccati del prossimo e poi trattengono la lingua nel silenzio, è come se, viste delle ferite, sottraessero ad esse il medicamento, e divengono doppiamente causa di morte in quanto non hanno voluto curare l’infezione come avrebbero potuto. Dunque, bisogna frenare la lingua con discrezione e non legarla indissolubilmente, poiché sta scritto: Il sapiente tacerà fino al tempo opportuno (Sir 20, 7); nel senso cioè che, quando vede l’opportunità, tralasciata la censura del silenzio, dicendo quanto è conveniente si adopera per l’utilità. E ancora sta scritto: C’è un tempo per tacere e un tempo per parlare (Qo 3, 7). Cioè bisogna calcolare con discrezione l’alternarsi dei momenti diversi, perché la lingua non scorra inutilmente sulle parole quando dovrebbe invece trattenersi; o non si trattenga pigramente quando potrebbe utilmente parlare. Ciò che ben considera il salmista dicendo: Poni, Signore, una custodia alla mia bocca e una porta intorno alle mie labbra (Sal 140, 3). Infatti non chiede che gli sia posta una parete davanti alla bocca, ma una porta che, evidentemente, si apre e si chiude; perciò anche noi dobbiamo imparare con prudenza il momento opportuno perché la voce apra la bocca con discrezione, e ancora il momento opportuno perché il silenzio la chiuda. (Gregorio Magno, Regola Pastorale, II, 14).

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 03 Settembre 2019ultima modifica: 2019-09-03T22:41:06+02:00da fraternidade
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