Giorno per giorno – 02 Settembre 2019

Carissimi,
“Lo Spirito del Signore è sopra di me; per questo mi ha consacrato con l’unzione, e mi ha mandato per annunziare ai poveri un lieto messaggio, per proclamare ai prigionieri la liberazione e ai ciechi la vista; per rimettere in libertà gli oppressi, e predicare un anno di grazia del Signore” (Lc 4, 18-29). Questa è, letteralmente, la missione cui si sente inviato Gesù, secondo le sue stesse parole. E questa, perciò, non può che essere la missione di coloro che lo riconoscono e si riconoscono in lui “consacrato con l’unzione”, che è ciò che significa “Cristo”, e che fa perciò di noi dei “cristiani”. Essere “lieto messaggio”, vangelo, per i poveri, sapendo che a Dio è piaciuto salvarli con una predicazione che è stoltezza per il mondo (cf 1Cor 1, 21). E non ignorando il fatto che, proprio come avvenne con Gesù, nella sua e nella generazione immediatamente successiva, questo costituisce ancora scandalo, il grande ostacolo alla fede di molti che si dicono credenti, al punto di volerlo, allora, cacciare fuori dalla città, per cercare di eliminarlo (v. 29), e, oggi, travisarne del tutto il significato, riducendolo a oggettino innocuo delle proprie devozioni, quando non a strumento per dominare e opprimere meglio i poveri, che egli è venuto a liberare. Si pensi al rito blasfemo, con cui, ieri, a São Paulo, in un ricostruito, sfarzoso, tempio di Salomone, il vescovo-fondatore della Chiesa universale del Regno di Dio, Edir Macedo, ha voluto “ungere” lo sciagurato presidente di questo Paese. Ciascuno faccia come vuole, ne risponderà a Dio e alla propria coscienza. Per quanto ci riguarda, sappiamo di dover essere in ogni occasione “lieto messaggio” per i poveri. Da qui dobbiamo ripartire, su questo ci dobbiamo, ogni giorno, interrogare.

Oggi il nostro calendario ci porta la memoria di Farīd ad-dīn ’Attār, mistico islamico.

Nato a Nishapur (Iran), verso la metà del sec. XII, ’Attār forma, con Sana’i e Rumi, la triade dei grandi poeti-mistici islamici ed emerge come uno dei più grandi maestri del sufismo. Poco sappiamo della sua vita. Era figlio di uno speziale e, probabilmente, trascorse i suoi anni giovanili nella bottega paterna – dove, allontanatosene, farà ritorno più tardi -, alternando il culto delle belle lettere alla cura degli affari. Grande influenza esercitarono su di lui la madre, con la sua profonda religiosità, e i suoi maestri spirituali. Contro una visione legalistica della religione, sostenne l’urgenza di un rapporto più “cordiale” e meno “razionale” con la divinità, adottando un linguaggio che prefigura un rapporto da amante ad Amato ed elaborando un complesso di immagini metafore che si rifanno al modello della relazione amorosa e non a quello del rapporto servo-signore. Morì probabilmente nella città natale verso il 1230, in concomitanza con l’invasione mongola. Di lui è riportata la seguente sentenza: “Dio disse al Suo amico: Vuoi conoscere il segreto? Domanda a Satana”. L’uomo incontrò il diavolo e gli chiese del segreto. “Ricordati solo questo – gli rispose Satana – se non vuoi diventare come me, evita di dire io”.

Oggi ricorre anche l’anniversario della morte di Viktor Emil Frankl, noto come il fondatore della “Terza Scuola viennese di psicoterapia”. Nato il 26 marzo 1905 a Vienna in uma famiglia di ebrei praticanti, Frankl entrò giovanissimo in contatto epistolare con Sigmund Freud, dalle cui idee però si distanziò presto, trovando maggior consonanza in quelle di Alfred Adler, fondatore della scuola di Psicologia individuale comparata. Ma, anche in questo caso, la convivenza si rivelò difficile, al punto che l’appena ventiduenne Frankl si vide espulso dalla Società adleriana. Studente di Medicina a Vienna, dove arriverà a laurearsi nel 1930, il giovane Frankl, ancor prima della conclusione degli studi lavorava già nel reparto di psicoterapia della clinica psichiatrica dell’Università, sotto la guida di Otto Pötzl, ed era invitato a tenere seminari a Berlino, Praga, Budapest. Dopo la specializzazione in Neurologia e Psichiatria nel 1936, per la prima volta espose in maniera esplicita e articolata i principi della sua logoterapia e analisi esistenziale. Per essa, in qualunque situazione data, la vita ha comunque un senso per tutti gli uomini, anche se non lo stesso, e persino le esperienze più drammatiche e tragiche possono essere trasformate in occasioni di maturazione, di crescita e realizzazione, se, di fronte ad esse, si riesce ad assumere il giusto atteggiamento. Dopo l’annessione dell’Austria alla Germani nazista, nel 1938, Frankl rifiutò di espatriare in America per non lasciare soli i genitori. Sposatosi nel 1941 con Tilly Grosser, nel settembre dell’anno successivo, venne fatto prigioniero e trasportato con tutta la famiglia nel lager di Theresienstadt, e in seguito ad Auschwitz, dove moriranno via via, il padre, la madre, il fratello, e la moglie Tilly. Successivamente Frankl venne trasportato a Kaufering III ed a Türkheim (filiali di Dachau). In quelle condizioni di vita estreme, egli vide confermate le sue tesi sulla libertà di scelta e sul senso della vita. Sopravvissuto alle esperienze del lager, sposò nel 1947 Eleonore Katharina Schwindt, da cui ebbe una figlia, Gabriele. Ottenuta la docenza in Neurologia e Psichiatria, svolse attività di ricerca, d’insegnamento e clinica all’università, insegnando negli Stati Uniti e tenendo conferenze in tutto il mondo. Autore di 32 volumi, tradotti in 26 lingue, insignito di 29 lauree honoris causa, Frankl morì a Vienna il 2 settembre 1997, per attacco cardiaco. Il teologo morale Bernhard Häring parlò del suo pensiero come di un modello di particolare rilevanza sia scientifica che pastorale.

I testi che la liturgia odierna propone alla nostra riflessione sono tratti da:
1ª Lettera ai Tessalonicesi, cap. 4,13-18; Salmo 96; Vangelo di Luca, cap. 4,16-30.

La preghiera di questo lunedì è in comunione con i fedeli del Sangha buddhista.

A partire da oggi e per dieci giorni l’India celebra Ganesha Chaturthi, ovvero la nascita di Shri Ganesh, una tra le rappresentazioni simboliche del Dio impersonale (Brahman) più popolari e venerate. Il figlio primogenito di Parvati, sposa di Shiva, è raffigurato con corpo umano e testa di elefante, con una zanna e quattro braccia, mentre cavalca un topo (simbolo dell’ego e della mente con i suoi desideri insaziati, che il dio è in grado di controllare e dominare). I fedeli ne fanno l’immagine della provvidenza divina, che rimuove ogni ostacolo e dona prosperità e fortuna.

Bene, per stasera è tutto. Noi ci si congeda qui, offrendovi in lettura un brano di Farīd ad-dīn ’Attār tratto dal suo “Il verbo degli uccelli” (Mondadori), che è, così, per oggi, il nostro

PENSIERO DEL GIORNO
Un sant’uomo un giorno ebbe a dire: “Se domani il Glorioso, scendendo sulla pianura del giudizio universale, mi chiedesse cosa Gli reco in dono dal mio lungo viaggio, io Gli risponderei: ‘Mio Dio, che mai potevo portare dalla buia prigione in cui languivo? Travolto da infinite sventure, io sono appena uscito da un carcere, immerso in uno stato di profondo stupore. Qui sono giunto stringendo polvere tra le mani e ora io stesso mi sento un granello di polvere sulla soglia del tuo palazzo. Essendo ormai un tuo schiavo, questa sola speranza io nutro: che Tu non mi venda a nessuno, bensì che Tu mi rivesta di un abito di gloria. Mondami da ogni impurità e concedimi di morire come un vero credente. Quando vedrai il mio corpo discendere nella fossa, dimentica, Te ne supplico, quanto nel bene o nel male io operai. Poiché Ti fu lecito crearmi senza ragione, si conviene che similmente Tu mi conceda il perdono’ ”. (Farīd ad-dīn ’Attār , Il verbo degli uccelli).

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 02 Settembre 2019ultima modifica: 2019-09-02T22:39:42+02:00da fraternidade
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