Giorno per giorno – 24 Agosto 2019

Carissimi,
“Filippo incontrò Natanaèle e gli disse: Abbiamo trovato colui del quale hanno scritto Mosè nella Legge e i Profeti, Gesù, figlio di Giuseppe di Nazaret. Natanaèle esclamò: Da Nazaret può mai venire qualcosa di buono? Filippo gli rispose: Vieni e vedi” (Gv 1, 45-46). L’inizile diffidenza con cui Natanaele, probabilmente “figlio di Tolmai”, se dobbiamo identificarlo, come ci suggerisce la liturgia di oggi, con l’apostolo Bartolomeo, deriva, forse, dal suo essere un fariseo, studioso zelante delle Scritture, che, come era comune nel suo gruppo religioso, non doveva nutrire una gran stima per quanti, appartenenti al “popolo della terra” (am ha’aretz), come i galilei, erano considerati ignoranti, e perciò facilmente miscredenti e trasgressori della santa Legge di Dio. A conferma di questa ipotesi, c’è l’espressione che Gesù gli riserva, quando Filippo glielo presenta: “Prima che Filippo ti chiamasse, io ti ho visto quando eri sotto il fico” (v. 48). E il fico, nella tradizione giudaica, era l’immagine usata per dire lo studio della Scrittura. Se così fosse, avemmo un segno in più di quanto Gesù fosse aperto nell’accogliere tra i suoi persone dei gruppi più diversi, compresi coloro che per formazione intellettuale potevano nutrire riserve o scetticismo nei suoi confronti. Detto questo, bastò poco a Natanaele a riconoscere in Gesù il messia promesso (“figlio di Dio, re d’Israele”, v. 49, secondo l’immagine del Salmo 2, che sarà letto dalla comunità dei discepoli in chiave cristologica). Stamattina, ci chiedevamo se, indipendentemente dall’estrazione culturale di ciascuno di noi, noi si sia arrivati davvero a riconoscere in Gesù la verità di Dio e della nostra vita, facendo di Lui la chiave d’interpretazione di ogni evento, e l’orientamento per ogni nostra scelta. Se ancora no, significherebbe che la nostra fede è riposta in altro, in qualcosa di più materiale e gretto, che ci illudiamo possa garantirci felicità e successo. Niente a che fare con Gesù, l’amore che si dona, libera e salva.

Oggi è memoria di Bartolomeo apostolo, di Simone Weil, mistica, prigioniera di Cristo, e di Alfredo Fiorini, missionario e martire in Africa. Che noi vogliamo ugualmente ricordare.

Bartolomeo (sec.1°), figlio di Tolomeo, fu uno dei dodici apostoli. A partire dal IX secolo, alcuni lo vollero identificare con Natanaele, menzionato nel Vangelo di Giovanni: “Gesù vide venire Natanaele e disse: ‘Questo è un vero israelita, un uomo senza inganno” (Gv 1,45 ss). Matteo, Marco, Luca e gli Atti fanno riferimento a lui come a uno dei Dodici. Un’antica tradizione armena afferma che l’apostolo Bartolomeo, dopo aver predicato l’Evangelo in India, si sarebbe recato in Armenia, portando la fede cristiana al re Polimio, alla sua sposa e a più di dodici città. Queste conversioni avrebbero provocato l’ira dei sacerdoti locali che ottennero dal fratello del re la condanna a morte dell’apostolo. La stessa tradizione dice che fu spellato vivo e successivamente decapitato.

Simone Weil nacque a Parigi, il 3 febbraio 1909, in una ricca famiglia ebrea agnostica. Giovanissima, sentì fortemente l’esigenza di condividere la vita, i bisogni e le lotte degli “ultimi”. A tal fine, sceglieva di privarsi di tutto ciò che i più poveri non potevano comprarsi. Volle sperimentare la vita dura della manodopera comune delle fabbriche e delle campagne. Militante di sinistra, nel 1936 fu volontaria nelle file dei repubblicani durante la Guerra Civile spagnola, senza tuttavia arrivare ad uccidere nessuno. Nel 1938 aderì alla fede cristiana, senza però accettare il battesimo. Durante la 2ª Guerra Mondiale, collaborò con il movimento Francia Libera contro l’occupazione nazista. Visse letteralmente consumata nella dedizione di sé fino all’ultimo, in totale umiltà. Morì il 24 agosto 1943, a Londra, rifiutando cibo e medicine per solidarietà con le privazioni della popolazione della Francia occupata. Della sua conversione aveva scritto: “La parola Dio non aveva alcun posto nei miei pensieri. Lo ha avuto solamente a partire dal giorno […] in cui non ho potuto rifiutarglielo. In un momento d’intenso dolore fisico […] ho sentito, senza esservi assolutamente preparata, una presenza più personale, più certa, più reale di quella di un essere umano, inaccessibile sia ai sensi che all’immaginazione, analoga all’amore che traspare attraverso il più tenero sorriso di un essere amato. Non potevo essere preparata a questa presenza – non avevo mai letto i mistici. Da quell’istante il nome di Dio e quello di Cristo si sono mescolati in maniera sempre più irresistibile ai miei pensieri”.

Alfredo Fiorini era nato il 5 settembre 1954 a Terracina. Conseguita la laurea in medicina, nel 1982 era entrato nel Postulato dei Missionari Comboniani a Firenze, e, al termine del noviziato, nel 1986, aveva fatto la sua professione religiosa. Conseguito il diploma in medicina tropicale e igiene, nel febbraio 1991 venne inviato in Mozambico. Il paese, devastato da undici anni di guerra civile, viveva una realtá di violenze, saccheggi, uccisioni, odi e vendette. Fiorini sarà l’unico medico ad operare in un territorio di duemila km², aiutato solo da una suora, un’ostetrica e quattro portantini. Della sua scelta ebbe a scrivere: “La vivo come momento prolungato di innamoramento. Ritengo che il Signore usi due modi per chiamarci alla sua volontà, attraverso esperienze di grande gioia o esperienze di grande dolore. La grande gioia e il grande dolore si ritrovano uniti in maniera quasi paradossale nel momento in cui si è innamorati, quando si vive una situazione di pienezza e nello stesso tempo aspettando e desiderando il volto della persona amata”. Fu ucciso il 24 agosto 1992, da alcune raffiche di mitra sparate da un gruppo di guerriglieri del Renamo.

I testi che la liturgia odierna propone alla nostra riflessione sono propri della memoria dell’apostolo Bartolomeo e sono tratti da:
Libro dell’Apocalisse, cap.21,9-14; Salmo 145 ; Vangelo di Giovanni, cap. 1,45-51.

La preghiera del Sabato è in comunione con le comunità ebraiche della diaspora e di Eretz Israel.

È tutto, per stasera. Noi ci si congeda qui, offrendovi in lettura una citazione di Simone Weil, tratta dal suo scritto “Riflessioni senza ordine sull’amore di Dio”. Che è, così, per oggi, il nostro

PENSIERO DEL GIORNO
Come potremmo cercare Dio, dato che egli si trova in una dimensione che noi non possiamo percorrere? Noi possiamo avanzare solo orizzontalmente. Se camminiamo orizzontalmente cercando il nostro bene, nel momento in cui otteniamo il frutto dei nostri sforzi, ci accorgiamo che ciò è illusorio: ciò che avremo trovato non sarà Dio. Un bambino che non vede più sua madre nella strada accanto a lui, corre di qua e di là, ma facendo così sbaglia. Se egli infatti avesse sufficiente ragione e forza d’animo per arrestarsi ed attendere, la madre lo troverebbe più in fretta. Dobbiamo solo attendere e chiamare. Non chiamare qualcuno, dato che non sappiamo ancora se c’è qualcuno. Dobbiamo gridare che abbiamo fame e che vogliamo del pane. Grideremo più o meno a lungo, ma finalmente saremo nutriti e allora non soltanto crederemo ma sapremo che esiste veramente del pane. Quando ne abbiamo mangiato, quale prova più sicura potremmo desiderare? Fintanto che non ne abbiamo mangiato, non è necessario e nemmeno utile credere nel pane. L’essenziale è sapere che si ha fame. Non è una credenza, questa; è una conoscenza assolutamente certa che non può essere oscurata che dalla menzogna. Tutti coloro che credono che vi è o vi sarà un nutrimento prodotto quaggiù, mentono. Il nutrimento celeste non fa solo crescere in noi il bene: esso distrugge il male, cosa che i nostri sforzi personali non potrebbero mai fare. La quantità del male che è in noi può essere diminuita soltanto dallo sguardo rivolto ad un oggetto perfettamente puro. (Simone Weil, Riflessioni senza ordine sull’amore di Dio).

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 24 Agosto 2019ultima modifica: 2019-08-24T22:25:06+02:00da fraternidade
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