Giorno per giorno – 20 Luglio 2019

Carissimi,
“Ecco il mio servo che ho scelto; il mio prediletto, nel quale mi sono compiaciuto. Porrò il mio spirito su di lui e annunzierà la giustizia alle genti. Non contenderà, né griderà, né si udrà sulle piazze la sua voce. La canna infranta non spezzerà, non spegnerà il lucignolo fumigante, finché abbia fatto trionfare la giustizia; nel suo nome spereranno le genti” (Mt 12, 18-21). I farisei, o chi per loro (ma, Matteo dice che furono proprio loro, i più religiosi e scrupolosi osservanti della Legge), decisero che Gesù doveva morire (v.14), perché aveva trasgredito pubblicamente il precetto del riposo sabbatico, per guarire l’uomo dalla mano inaridita; cosa che avrebbe potuto tranquillamente rinviare al giorno successivo. Gesù, nel farlo, intende stabilire un ordine di priorità: prima di ogni altra cosa, persino della legge divina, viene l’uomo con le sue necessità. A questo infatti mira la volontà di Dio: la felicità dell’uomo. In questo caso, secondo la simbologia del racconto, restituendolo all’innocenza primordiale, in un agire che non sia più di prevaricazione sugli altri, ma che, nel’incontro tra eguali, abiliti alla cura delle nostre infermità. L’illusione di divenire come Dio, inteso nella forma del potere, aveva portato, secondo il racconto dell’Eden, e porta ogni volta l’uomo, a tendere la mano per arrogarsi un potere che, nella competizione e nell’oppressione dei fratelli, è invece la negazione di Dio. Solo Gesù, principio del servizio, della cura e del dono di sé può guarirci, rendendoci partecipi della gioia del Sabato, o meglio ancora, del Dio nostro Sabato, nostro riposo, nostro ristoro. “Nel suo nome spereranno le genti”, secondo l’antica profezia.

Il calendario ci porta oggi le memorie di Elia il Tisbita, profeta, e di Louis-Joseph Lebret, profeta del riscatto e della solidarietà tra i popoli.

Profeta del sec. IX a.C., Elia era originario di Tishbe in Galaad. Lottò strenuamente in difesa del culto del Dio liberatore contro quello dei baal (gli idoli-padroni arbitrari della vita). Nell’episodio della rivelazione ricevuta sul Monte Oreb (1Re 19,8 ss), la Bibbia ci documenta una sua conversione nella comprensione del mistero di Dio. Il loquace Elia (era profeta e parlare pensava fosse il suo mestiere!) scopre che Dio si rivela più e meglio nel silenzio. È un invito a fare vuoto in noi, a liberarci dalle molte parole su di Lui, per lasciare agire Lui. Nel libro dei Re (2Re 2,11) si narra che Elia salì al cielo su un carro infuocato, avvolto in un turbine. Da qui deriva la credenza ebraica che egli non sia morto, ma che continuamente faccia ritorno sulla terra, per aiutare i fedeli bisognosi.

Louis-Joseph Lebret era nato a Minihic, nei pressi di Saint-Malo, in Bretagna, il 26 giugno 1897. Entrato giovanissimo nella Scuola Navale, ne era uscito ufficiale di marina, prendendo parte poco dopo alla Prima Guerra Mondiale. Nel 1923, sentendo la chiamata alla vita religiosa, lasciò la marina e entrò nell’Ordine domenicano. Negli anni successivi all’ordinazione, si sensibilizzò alla situazione dei piccoli pescatori bretoni, colpiti dalla crisi economica di quegli anni, aiutandoli a fronteggiarla e fornendo loro gli strumenti per un’analisi critica della realtà socio-economica, in vista di un’alternativa che vedesse finalmente l’economia al servizio dell’uomo. Sviluppando questa visione, creò nel 1941 l’istituto Economia e Umanesimo. A partire dal 1947, riconosciuto internazionalmente per la serietà dei suoi studi, venne ripetutamente invitato in diversi paesi del Sud del mondo per offrire il suo contributo ad uno sviluppo globale, armonizzato e autopropulsivo. Negli anni 60 il papa Paolo VI lo chiamò a Roma come perito al Concilio Vaticano II e lo volle come suo maggior collaboratore nella redazione della sua enciclica sullo sviluppo dei popoli, la Populorum Progressio. Padre Lebret morì a Parigi il 20 luglio 1966.

I testi che la liturgia odierna propone alla nostra riflessione sono tratti da:
Libro dell’Esodo, cap.12, 37-42; Salmo 136; Vangelo di Matteo, cap.12, 14-21.

La preghiera del Sabato è in comunione con le comunità ebraiche della diaspora e di Eretz Israel.

Giornata, oggi, tutta sotto il segno della convivialità gioiosa della comunità “Noi… la sua tenda”, che riunisce nella nostra città, gli amici di Fede e Luce, il “cammino” iniziato da Jean Vanier e Marie-Hélène Mathieu quasi cinquantanni fa, di cui fanno parte persone disabili, i loro genitori o famigliari, e amici e amiche di ogni età. La nostra comunità è sorta nel 2006, per impulso di Dom Eugenio, nostro vescovo, sull’onda della Campagna di Fraternità di quell’anno, dedicata proprio al tema della disabilità, ma anche dalla pratica di accoglienza, già esistente nella nostra Comunità del bairro. L’occasione è stata arricchita dalla presenza di Sabrina, coordinatora della Provincia che comprende gli Stati di Rio de Janeiro, Minas Gerais e Goiás, che è rimasta letteralmente incantata dalla spontaneità e allegria che regna nelle relazioni. Padre Geraldo, che partecipa anche di altre comunità con obiettivi simili a livello nazionale, ha voluto dare un nome a ciò che secondo lui caratterizza questa comunità: doçura, dolcezza. E noi crediamo sia proprio così.

Bene, cinquantanni fa, nonostante le fantasiose smentite dei soliti giocherelloni, l’uomo scendeva sulla luna. Non sappiamo bene cosa ne sia derivato a livello scientifico, e se si sarebbero potute spendere meglio le somme investite nell’impresa, ma resta comunque il dato dell’entusiasmo suscitato da essa, come anche dell’alone di poesia e di mistero, che non ha mancato di accompagnarla. Noi vogliamo ricordarla, nel congedarci, offrendovi in lettura un brano del discorso che, commentandola, Paolo VI pronunciò nell’Udienza generale del 16 luglio 1969. Ed è questo, per oggi, il nostro

PENSIERO DEL GIORNO
Ecco una piccola, ma sempre grande lezione di catechismo, che illumina la nostra difficile meditazione sul cosmo. Ascoltate, come una voce profonda che sorga dagli abissi degli spazi e dei secoli: “In principio Iddio creò il cielo e la terra”! (Gen 1, 1). Osservate il panorama del cielo e del mondo; misurate, se potete, la vastità; fatevi un concetto della densità di reale, di vero, di nascosto che vi è contenuta; provate un brivido di meraviglia alla grandezza sconfinata, che abbiamo davanti; affermate la distinzione irriducibile fra Dio Creatore e il mondo creato, e insieme riconoscete, confessate, celebrate l’inscindibile necessità, che unisce la creazione al suo Creatore (come potrebbe essere un solo istante senza di Lui?); e ricordate quest’altra stupenda e ripetuta parola della Bibbia, sempre al primo capitolo della Genesi (vv. 12, 18, 21, 25, 31): Dio vide che l’opera sua era buona; perciò era bella, era degna d’essere da noi conosciuta, posseduta, lavorata, goduta… Questa scoperta nuova del mondo creato è assai importante per la nostra vita spirituale. Vedere Dio nel mondo, e il mondo in Dio: che cosa v’è di più estasiante? Non è questo il lume amico e stimolante che deve sorreggere la veglia scientifica dello studioso? Non è così che fugge il terrore del vuoto, che il tempo smisurato e lo spazio sconfinato producono intorno al microcosmo, che noi siamo? la nostra insondabile solitudine, cioè il mistero dei nostri destini, non è così colmata da un’ondata di Bontà viva e d’amore? Non vengono alle nostre labbra le familiari, ma sempre superlative parole, insegnate a noi da Cristo: “Padre nostro, che sei nei cieli”? Sì, Figli carissimi, vengano alle nostre labbra queste abissali parole, mentre contempliamo la grande impresa dei primi astronauti, che metteranno il piede sul silenzioso e pallido satellite della terra, sfidando inaudite difficoltà, quasi cercando d’onorare l’immensa opera del Creatore; e ripetiamole per loro, per l’umanità, per noi. (Paolo VI, Udienza Generale del 16 luglio 1969).

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 20 Luglio 2019ultima modifica: 2019-07-20T21:52:16+02:00da fraternidade
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