Giorno per giorno – 21 Luglio 2019

Carissimi,
“Marta, Marta, tu ti affanni e ti agiti per molte cose, ma di una cosa sola c’è bisogno. Maria ha scelto la parte migliore, che non le sarà tolta” (Lc 10, 41-42). Gesù è giunto a Betania, la “casa del povero”, o anche, ci piace immaginare: “dove ogni povero si sente a casa”, accolto come membro della famiglia. E ci viene in mente il consiglio della Lettera agli Ebrei: “Non dimenticate l’ospitalità; alcuni, praticandola, senza saperlo hanno accolto degli angeli” (Eb 13, 1-2). San Benedetto, dal canto suo, dirà nella Regola che “nei più poveri massimamente si riceve Cristo” (RB 53). Abramo, nella prima delle letture di oggi, riceve, senza ovviamente sognarselo, la visita di Dio, sotto le spoglie dei tre stranieri, presso le Querce di Mamre, e, benché febbricitante e convalescente per la recente circoncisione, lui già centenario, si prostra ad adorarli. Marta e Maria, nel racconto del Vangelo, accolgono ognuna a modo suo, e, dobbiamo pensare, con la miglior disposizione, l’amico che viene a visitarle. L’una con i rituali dell’ospitalità, l’altra in ascolto del mistero che si fa presente. Come a dire che, se il fare è pur sempre necessario, è solo l’ascoltare che può dargli davvero un senso. Lo stesso Dio, ricordavamo stamattina, si rivela in primo luogo come ascolto: “Il grido degli Israeliti è arrivato fino a me” (Es 3, 9). E la professione di fede d’Israele è un invito all’ascolto: “Shemà, Israel” “Ascolta, Israele”. Per sapere che Dio è un continuo ascoltare. Ed essere come lui. Questo significa anche riconoscere che non tutto è stato detto in ciò che è stato scritto, e che non possiamo limitarci a ripetere formule, ma che Dio è, come sempre, eterna novità, che promana dalle cose, dagli eventi, dagli incontri, di cui siamo chiamati a porci in ascolto e ad interpretare, alla luce delle antiche Scritture e dell’evento chiarificatore della Croce, per dare carne alla Parola, facendoci cioè, con Gesù, storia di salvezza (e solo di salvezza), nelle diverse situazioni della vita.

I testi che la liturgia di questa XVI Domenica del Tempo comune propone alla nostra riflessione sono tratti da:
Libro di Genesi, cap. 18, 1-10; Salmo 15; Lettera ai Colossesi, cap. 1, 24-28; Vangelo di Luca, cap.10, 38-42.

La preghiera della Domenica è in comunione con tutte le comunità e chiese cristiane.

Oggi il nostro calendario ci porta le memorie di Alejandro Labaca e Inés Arango, missionari e martiri nella foresta ecuadoriana; di Albert John Luthuli, testimone di pace; e di Franco Rodano, uomo dell’Esodo.

Il 21 luglio 1987 cadevano nella foresta amazzonica dell’Ecuador monsignor Alejandro Labaca, vescovo cappuccino del Vicariato apostolico di Aguarico, e suor Inés Arango, terziaria cappuccina della Congregazione della Sacra Famiglia. Alejandro Labaca era nato il 19 aprile 1920 a Beizama (Spagna). Cappuccino dal 1942, e sacerdote dal 1945, era stato mandato missionario in Ecuador, dove aveva speso decenni nell’approssimazione agli indigeni della regione amazzonica, apprendendo e condividendo con loro, lingua, costumi, tradizioni, modo di vestire e di mangiare. Riuscì a farsi benvolere da tutti i gruppi huaorani, meno uno, i tagairi, che non avevano mai accettato l’intromissione di nessuno sul loro territorio. Nominato vescovo di Aguarico, il 2 Agosto 1984, denunciò ripetutamente le violazioni del diritto alla vita, alla terra e alla salvaguardia della propria cultura perpetrate ai danni dei popoli della foresta da parte delle compagnie petrolifere, delle istituzioni e del governo. Quando, nel luglio del 1987, seppe che la Petrobras era decisa ad entrare nella regione abitata dai tagairi, volle recarvisi, con suor Inés Arango, benché entrambi fossero consapevole dei rischi che questo implicava. Il piano era discutere con gli indigeni la maniera di sfuggire al probabile sterminio. Il 21 luglio 1987, il vescovo e la suora furono depositati da un elicottero in una radura della foresta, e non se ne seppe più nulla fino al giorno, quando i loro corpi furono trovati, trafitti con decine di colpi di lancia. “Morti come huaorani, in difesa degli huaorani, uccisi dagli huaorani, ritenuti nemici, confusi con i loro nemici”.

Albert John Luthuli era nato nel 1898 a Bulawayo (nell’attuale Zimbabwe) dove il padre era missionario. Il nonno era capo di una piccola tribù a Groutville nella riserva della missione di Umvoti vicino a Stanger, nel Natal (Sudafrica). Alla morte del padre, Luthuli con la madre e il resto della famiglia fece ritorno al paese d’origine. Conseguito il diploma di insegnante, Luthuli sposò, nel 1927, Nokukhanya Bhengu, da cui avrà sette figli. Nel 1928 divenne segretario dell’Associazione degli Insegnanti africani e crebbe, nel frattempo, la sua attività in seno alla Chiesa congregazionalista di cui faceva parte. Il 1° gennaio 1936, lasciato l’insegnamento, subentrò allo zio nella guida della tribù, e mantenne la carica fino al 1952, quando fu “dimissionato” dal Governo della minoranza bianca del Sudafrica. Questo gli consentì, tuttavia, di dedicarsi a tempo pieno alle attività del ANC (Congresso Nazionale Africano), fino ad emergere come suo leader nazionale. La strategia dell’ANC combinava educazione politica e resistenza attiva non-violenta, i cui strumenti erano gli scioperi, il boicottaggio e la disobbedienza civile. La partecipazione alla lotta non-violenta per la fine del regime dell’apartheid si tradusse in ripetuti arresti e condanne al confino. Ma, gli valse, a livello internazionale, il conferimento del premio Nobel per la Pace, nel 1960. Contrariamente a quanti, suoi compagni di lotta, vedevano nel cristianesimo niente più che la religione degli oppressori, continuò a vivere con intensità e coerenza la sua fede cristiana. Vedendo, anzi in essa, la motivazione più vera e la radice più profonda del suo impegno politico. Luthuli morì il 21 luglio 1967 in un drammatico incidente ferroviario.

Franco Rodano è un nome che, oggi, forse, dice poco ai più, ma che ha significato molto per la generazione di cattolici, cresciuta, in Italia, nel crogiuolo della lotta antifascista e per quella che nel dopoguerra si è data come compito, nella confluenza con le forze espresse dal movimento operaio, quello di pensare e di aprire le vie di una salvezza storica, a partire dall’eliminazione dell’individualismo e dello sfruttamento dell’uomo sull’uomo. Nato a Roma il 6 agosto 1920, Rodano iniziò la sua carriera come antifascista militante nelle file dell’Azione cattolica e della Fuci. All’inizio degli anni quaranta è tra i promotori di quello che sarà il Partito comunista cristiano. Incarcerato e deferito al Tribunale Speciale, dopo l’8 settembre fonda il Movimento dei cattolici comunisti, chiamato in seguito Partito della sinistra cristiana. Allo scioglimento di questo, con altri militanti e dirigenti del partito aderisce al Pci, contribuendo con la sua riflessione al superamento della pregiudiziale atea e delle strettoie ideologiche che avevano caratterizzato fino ad allora il maggiore partito della sinistra italiana. Sofferta, ma senza cedimento alcuno a sterili forme di ribellismo, fu la sua testimonianza di fede. Colpito nel 1947 da interdetto, nonostante la sofferenza che la misura gli causa, Rodano continuerà con umiltà e costanza la sua partecipazione alla vita della Chiesa, nei limiti stabiliti dall’autorità ecclesiastica, fino a che la sanzione sarà ritirata, nel clima aperto dal Concilio Vaticano II, e poi fino alla morte, avvenuta a Monterado (Ancona) il 21 luglio 1983.

E, per stasera, è tutto. In una serie di lezioni tenute, nella prima metà del 1969, a un gruppo di giovani del movimento studentesco, Franco Rodano cercò di sondare i possibili percorsi di una storia altra – rispetto a quella data – se si fosse presa sul serio la concezione dell’uomo, implicita in alcuni passi delle lettere paoline, capace di portare al superamento della figura signorile, allora, e a lungo, dominante, per affermare quella dell’uomo “servo di Dio”, in termini teologici, o, laicamente, “a servizio dell’umanità”. Il libro “Lezioni di storia ‘possibile’” (Marietti) raccoglie la trascrizione fedele di gran parte di quell’attività didattica e noi, nel congedarci, ve ne proponiamo un brano come nostro

PENSIERO DEL GIORNO
Quando san Paolo parla dell’eguaglianza solo fondamentale fra tutti gli uomini, perché “servi” di un solo “Padrone”, allora, sì, questa eguaglianza non rimane più chiusa entro il messaggio religioso: discende dal messaggio religioso e ne costituisce una conseguenza scatenante sul piano sociale. Ma è anche – come direbbero i maestri della Scolastica – eguaglianza secondo un certo modo e fino a un certo punto, poiché mantiene tuttavia delle differenze, e anche pesanti. E quand’è che Paolo s’imbatte nella necessità di parlare di questa eguaglianza? Essenzialmente quando si trova a dover parlare della società del suo tempo, e della vita della cristianità, della comunità cristiana, nel quadro del sistema sociale del suo tempo. Infatti di questa eguaglianza fondamentale ma non assoluta fra tutti gli uomini, san Paolo fra l’altro parla in modo esplicito nella lettera agli Efesini, dove affronta il problema del rapporto tra i padroni “carnali” e i servi “carnali”, servi dell’uomo, dei padroni terreni. Poiché questo secondo tipo – unicamente fondamentale – di uguaglianza discende dal primo, non solo, quali che siano i suoi limiti, ha già in sé (proprio per la tensione che gli deriva da tale sua radice religiosa) una carica dirompente, ma è espresso da San Paolo attraverso una serie di termini che non possono non mettere in crisi, e radicalmente, quanto meno l’organicità del sistema signorile. Definire “carnali” i padroni di questa terra, è già in qualche modo (soprattutto, poi, nel quadro della mentalità cristiana) una decapitazione dei padroni stessi, dei signori. E così, affermare con assoluta esplicitezza che vi è un unico “Padrone” nei cieli, e che egli non è “accettatore di persone”, ossia che non guarda al prestigio sociale, è una tremenda frustata a una società che si reggeva essenzialmente sulla dignità e sui valori di una gerarchia sociale determinata. (Franco Rodano, Lezioni di storia “possibile”. Le lettere di san Paolo e la crisi del sistema signorile).

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 21 Luglio 2019ultima modifica: 2019-07-21T21:53:28+02:00da fraternidade
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