Giorno per giorno – 25 Giugno 2019

Carissimi,
“Non date le cose sante ai cani e non gettate le vostre perle davanti ai porci, perché non le calpestino con le loro zampe e poi si voltino per sbranarvi” (Mt 7, 6). Parole dure, queste, di Gesù, che quanti l’ascoltavano capivano bene a chi si riferissero: l’autorità pagana che dominava il Paese, la quale, prigioniera di una logica contraria a quella del Regno annunciato e reso visibile da Gesù, conosciuto il messaggio, l’avrebbe disprezzato e irriso, e, ancor più, vi avrebbe trovato motivo per perseguitare le comunità dei discepoli, nonché gli ultimi, emarginati ed esclusi, a servire i quali essi erano e sono inviati. Come, infatti, da allora, avviene in ogni tempo. Parola dura, dunque, che vale come avvertimento anche nei confronti di quelle autorità (e dei loro sostenitori) che si ritengono cristiani. “Cani” e “porci”, infatti, può capitare di divenirlo tutti, nella misura in cui, tradendo (o manipolando) il vangelo di Gesù, ci si faccia complici del Sistema del dominio, che nega la fraternità universale, attestata dalla fede nell’Abba. Che Dio ci guardi e liberi da questo.

Oggi il nostro calendario ci porta le memorie di Sadhu Sundar Singh, mistico indiano, e di José María Díez-Alegría Gutiérrez, prete e teologo della liberazione.

Sundar Singh era nato nel 1889 a Rampur, nel Punjab (India), da una famiglia di proprietari terrieri di religione Sikh. Adolescente, inviato dal padre presso la locale scuola delle missioni, cominciò a prendere di mira i missionari e a deridere apertamente i compagni che si erano convertiti, arrivando un giorno a bruciare una Bibbia, pagina per pagina, in segno di sfida. Era il 16 dicembre 1904. Tre notti dopo, come egli racconterà, vide “la potenza del Cristo vivente” e udì una voce che diceva: “Quanto tempo ancora mi perseguiterai? Io sono morto per te; per te ho dato la mia vita”. Decise allora che sarebbe stato cristiano. Espulso per questo di casa, l’anno successivo chiese di essere battezzato nella chiesa anglicana, decidendo tuttavia di inaugurare, anche esteriormente, una maniera indiana nella sequela di Gesù: indossando il turbante e la tunica arancione degli asceti, senza fissa dimora, né possesso alcuno, vivendo di elemosine, predicando e testimoniando Cristo con una vita di preghiera e povertà. Dopo aver servito per qualche tempo in un lebbrosario, entrò nel Divinity College, a Lahore, per ricevere una formazione come predicatore. Quando ne uscì, due anni più tardi, riprese la sua vita di sadhu itinerante nell’India settentrionale, nei paesi buddhisti dell’Himalaya, in Tibet, paese quest’ultimo, dove incontrò una violenta ostilità, al punto di essere imprigionato. Fu anche invitato a tenere una serie di incontri in Inghilterra e negli Stati Uniti, ma rimase assai deluso del materialismo dell’Occidente. Pur frequentando la chiesa anglicana, Singh volle sempre relazionarsi liberamente con le più diverse denominazioni cristiane. Nell’aprile del 1929, nonostante le ormai fragili condizioni di salute, decise di tornare in Tibet e si mise in viaggio. Non se ne seppe più nulla. Ucciso forse dagli stenti, dal freddo, dalla malattia, o da possibili malintenzionati.

José María Díez-Alegría Gutiérre era nato il 22 ottobre 1911, a Gijón, nel Principato delle Asturie, figlio di María Gutiérrez de la Gándara e di Manuel Díez-Alegría García, che era direttore dell’agenzia locale del Banco de España. Entrato nella Compagnia di Gesù, nel 1930, fu ordinato prete nel 1943. Dopo aver ottenuto la licenza in Sacra Teologia e il dottorato in Filosofia e in Diritto, fu professore di Etica nell’Università di Alcalá de Henares dal 1955 al 1961, quando fu chiamato a insegnare Dottrina sociale della Chiesa alla Pontificia Università Gregoriana di Roma, dove rimase fino al 1972. Quando, nella sua vita, cambiò tutto. O quasi. A causa di un suo libro, dal titolo “Credo nella Speranza”, uscito in quell’anno senza l’imprimatur, tradotto subito in diverse lingue e divenuto ben presto un best-seller. Per non creare difficoltà alla Compagnia di Gesù, scelse di uscire dall’Ordine e andò ad abitare in una baracca al Pozo del Tio Raimundo, un barrio di Vallecas, sobborgo di Madrid, dove da tempo operava tra i più poveri un altro gesuita, padre José María de Llanos Pastor (1906-1992), chiamato il prete rosso. Non per il colore dei capelli. Da allora P. Díez Alegría non ha mai cessato di creare salutari grattacapi a Santa Madre Chiesa e passando comunque indenne tra le maglie della repressione franchista. Come, del resto, P. de Llanos, figlio di un generale questo, figlio di un banchiere e fratello di generali il nostro. Si è spento nella residenza dei gesuiti di Alcalá de Henares, il 25 Giugno 2010, prossimo ai novantanove anni. A chi gli chiese un giorno perché non fosse uscito dalla Chiesa, dopo le ruvide critiche rivoltele per aver ceduto alla tentazione della ricchezza e del potere, rispose: “No, no, non potrei mai. Perché sono rimasto nella Chiesa? È grazie alla Chiesa che ho conosciuto Gesù Cristo. Se non ci fosse stata la Chiesa, non sarei mai arrivato a lui”.

I testi che la liturgia odierna propone alla nostra riflessione sono tratti da:
Libro di Genesi, cap.13, 2. 5-18; Salmo 15; Vangelo di Matteo, cap.7, 6. 12-14.

La preghiera del martedì è in comunione con le religioni tradizionali africane.

È tutto, per stasera. Noio ci si congeda, offrendovi in lettura una pagina di Sundar Singh, che troviamo nel suo libro “Enseñanzas del Maestro” (The Bruderhof Foundtion Inc.) e che è, per oggi, il nostro

PENSIERO DEL GIORNO
Dobbiamo rompere con la vecchia usanza di chiamare “pagani” coloro che hanno una fede diversa dalla nostra. I peggiori “pagani” sono tra noi. Dobbiamo amare come fratelli e sorelle le persone che hanno un’altra fede, come anche coloro che sono agnostici o atei. Non abbiamo bisogno di amare ciò che credono o fanno, basta semplicemente amarli. Anche un idolatra che adora una pietra può sperimentare un po’ della pace di Dio. Questo non significa che tale pietra possieda un certo potere, ma ad alcuni essa può servire a concentrare la loro attenzione in Dio. Dio concede a tutti la pace secondo la loro fede. Il pericolo, naturalmente, è che quelli che l’adorano non avanzino spiritualmente e che quindi si sentano più attratti dall’oggetto materiale dell’adorazione che dal Dio vivente e che così, alla fine, restino inanimati come la pietra che adorano. In questo caso, la persona non sarà in grado di riconoscere l’autore della vita, che è l’unico che può riempire l’anelito dei loro cuori. (Sundar Singh, Enseñanzas del Maestro).

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 25 Giugno 2019ultima modifica: 2019-06-25T22:56:16+02:00da fraternidade
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