Giorno per giorno – 27 Maggio 2019

Carissimi,
“Vi scacceranno dalle sinagoghe; anzi, verrà l’ora in cui chiunque vi ucciderà crederà di rendere culto a Dio. E faranno ciò, perché non hanno conosciuto né il Padre né me. (Gv 16, 2-3). Stamattina ricordavamo che oggi ricorre il cinquantesimo anniversario della morte di Padre Enrique Pereira Neto, ad opera di una dittatura che, come la maggior parte di quelle che si sono succedute nella seconda metà del secolo scorso in questo Continente, aveva la pretesa di dirsi cristiana o godeva, comunque, dell’appoggio di gran parte della popolazione che si passava per tale. In nome della difesa dei valori ritenuti cristiani sono stati arrestati, torturati e uccisi, dal Guatemala al Salvador, dal Brasile, all’Argentina, al Cile e altrove, centinaia e centinaia di preti, religiosi, religiose, delegati della parola, catechisti, laici, assieme a molti altri che non professavano la nostra fede, ma lottavano però per una società più giusta e solidale. I loro nomi, assieme a quello di San Romero delle Americhe, riempiono oggi le pagine del Martirologio latinoamericano. Noi non giureremmo, ovviamente, sulla buona fede degli assassini di allora e sui governanti di oggi che facevano e fanno di tutto per mostrarsi cristiani e propongono politiche che danneggiamo i poveri, gli ultimi ed emarginati. Fatto sta che, almeno apparentemente, si tratta di persone che, ai vertici o alla base, pensavano e agivano, a loro detta, in difesa della fede, credendo, perciò, o fingendo di credere, di render in tal modo culto a Dio. Quel che è certo, è che non hanno conosciuto né Gesù, né il Padre. Anche frei Marcos, di cui vi abbiamo detto ieri e che abbiamo accompagnato oggi alla sua ultima dimora, è stato, lungo tutti i suoi anni di ministero al servizio del vangelo, nella persona dei poveri, dei sem-terra, dei piccoli agricoltori, degli artigiani, perseguitato, offeso, calunniato dall’oligarchia di qui, in qualche caso fin troppo devota nelle sue manifestazioni esteriori. Resta vera anche in questo caso l’affermazione di Dietrich Bonhoeffer, che ci è capitato di rileggere in questi giorni: “Soffrire ingiustamente non reca danno a un cristiano. Ma commettere ingiustizia, questo sì reca danno. Una sola cosa vuole ottenere da te il maligno, che anche tu diventi malvagio. Se l’ottiene, ha vinto davvero. Perciò, non rendere a nessuno male per male. Facendolo, non danneggeresti l’altro, ma te stesso”.

Oggi è memoria di Agostino di Canterbury, missionario e pastore, di Giovanni Calvino, riformatore della Chiesa, di padre Enrique Pereira Neto, martire in Brasile, e di Segundo Galilea, testimone della radicalità del Vangelo.

Di Agostino sappiamo che era priore del monastero benedettino di Sant’Andrea al Celio di Roma e che, nel 596, fu inviato dal papa Gregorio Magno a evangelizzare l’Inghilterra, con altri quaranta monaci. Quando la comitiva, durante il viaggio, venne a conoscenza della bellicosità dei sassoni, Agostino pensò: è più prudente rinunciare. E, di fatto, tornó a Roma, dicendo al Papa che non era il caso. Ma, inutilmente. Imbarcatisi nuovamente e giunti a destinazione, i timorosi evangelizzatori scoprirono la missione più facile del previsto. La sposa del re, la cattolica Berta, aveva ammansito il cuore del re Etelberto, che si convertì e chiese il battesimo insieme a molti dei suoi sudditi. Eletto arcivescovo di Canterbury e primate di Inghilterra, Agostino organizzò la nuova giurisdizione ecclesiastica. Contribuì alla diffusione del canto gregoriano in Inghilterra. Morì il 26 maggio 604, ma la sua memoria, nella chiesa cattolica, è celebrata oggi.

Giovanni Calvino (il suo nome in realtà è Jean Cauvin), era nato a Noyon, in Picardia il 10 luglio 1509, da Gérard e Jeanne Le Franc. Il padre, finanziere e uomo di legge, curava gli affari del vescovo locale e sembra che ne seppe quanto basta per divenire anticlericale e morire in seguito scomunicato. Giovanni, che era stato mandato a Parigi per studiarvi teologia, preferì Diritto e si recò a Orleans, dedicandosi poi agli studi umanistici. Intorno al 1532 aderì alla Riforma di Lutero e, dopo essersi dedicato alla lettura e allo studio della Bibbia, nel 1536 pubblicò la prima edizione de L’Istituzione della religione cristiana, in cui espose i principi della sua teologia. Passando da Ginevra, venne invitato da Guillaume Farel a prestare assistenza ai simpatizzanti della Riforma. Ed egli dotò la chiesa ginevrina di un ordinamento giuridico e di una disciplina del culto e redasse per essa un Catechismo e una Confessione di Fede. La sua azione non fu esente da atteggiamenti intolleranti, com’era piuttosto comune a quei tempi. Temporaneamente bandito da Ginevra, sposò Idelette de Bure, vedova di un anabattista, e scrisse numerosi commenti alla Bibbia. Nel 1541 rientrò a Ginevra, organizzando negli anni successivi la vita religiosa, sociale e politica della città elvetica. È forse interessante notare che Calvino, al contrario di Lutero, riteneva doveroso rovesciare lo Stato che coprisse l’ingiustizia con il manto del legittimismo. Sulla sua scia, la Confessione Scozzese del 1560, di chiara ispirazione calvinista, classificherà tra le opere giudicate buone da Dio la resistenza alla tirannia e la difesa degli oppressi. Calvino morì il 27 maggio 1564. Prima di spirare disse: “Signore tu mi schiacci, ma a me basta che sia la tua mano a farlo!”.

P. Enrique Pereira Neto era coordinatore della Pastorale dell’Archidiocesi di Olinda e Recife, stretto collaboratore di dom Helder Câmara. Per aver denunciato ripetutamente e apertamente il sistema repressivo del governo militare, cominciò a ricevere minacce di morte, finché il 26 maggio 1969 fu sequestrato dalla polizia. Il suo corpo fu ritrovato il giorno seguente, appeso ad un albero, a testa in giù, con segni evidenti di tortura: lividi e bruciature di sigarette, tagli profondi in tutto il corpo, castrazione e due ferite di arma da fuoco. Aveva 28 anni ed era prete da tre anni e mezzo. I funerali furono presieduti dall’arcivescovo di Recife nella chiesa matrice del bairro Espinheiro. Poi, migliaia di persone seguirono a piedi la bara portata a braccia fino al cimitero di Várzea, a dieci chilometri di distanza dalla chiesa.

Segundo Galilea era nato a Santiago del Cile il 3 aprile 1928. Fu ordinato sacerdote il 22 settembre 1956. All’inizio degli anni ’60 collaborò alla preparazione di missionari nel Centro Intercultural de Formación (C.I.F.), fondato da Ivan Illich, a Cuernavaca (Messico). Il Consiglio Episcopale Latino-Americano lo volle poi direttore dell’Istituto Pastorale Latino-Americano, con l’incarico di far conoscere e approfondire gi insegnamenti del Concilio Vaticano II. Viaggiò instancabilmente in tutta l’America Latina, impegnato a proporre riflessioni, ritiri e esercizi spirituali. Successivamente, per conto delle Pontificie Opere Missionarie organizzò, con altri sacerdoti, un istituto destinato alla formazione di missionari per l’estero. Compì numerosi viaggi nelle Filippine e in Corea del Sud; negli Stati Uniti lavorò con numerose comunità di immigrati. Membro della fraternità sacerdotale di Charles de Foucauld, fu esponente della Teologia e della Spiritualità della liberazione. In coerenza con la scelta dei poveri, visse sempre con grande semplicità e povertà, alla sequela appassionata di Gesù povero e obbediente. Quanto ricavava dai diritti d’autore e dalle sue attività, lo donava alla sua archidiocesi perché finanziasse ritiri spirituali nelle aree più povere del Paese. Nel 2000 partì per Cuba, dove gli fu affidato l’incarico di direttore spirituale nel seminario di San Carlos. Di questa esperienza ebbe a dire: “A Cuba si lavora con pochi mezzi, pochi sacerdoti e religiosi, ma si impara a vivere il meglio della vita, a vivere il tutto e il poco, a valorizzare l’essenziale”. Ritornato in patria per motivi di salute, visse i suoi ultimi anni a Santiago del Cile, occupando una cameretta nel locale seminario, fino alla sua morte, avvenuta il 27 maggio 2008. Aveva detto un giorno: “Se vogliamo una Chiesa più missionaria, più coerente e più testimoniale, più partecipativa nella comunione, significa che vogliamo una Chiesa più spirituale, più orante e più contemplativa, ossia, più bella”.

I testi che la liturgia odierna propone alla nostra riflessione sono tratti da:
Atti degli Apostoli, cap.16, 11-15; Salmo 149; Vangelo di Giovanni, cap.15,26-16, 4a.

La preghiera di questo lunedì è in comunione con i fedeli del Sangha buddhista.

Bene, oggi, compie un anno in più la nostra amica Maria Pia di Spello, che con le sue novantatre primavere è certo la decana dei nostri corrispondenti e amici. Anche se è un po’ di tempo che non la sentiamo, vogliamo farle sapere che non la dimentichiamo. Come sempre e oggi più che mai non le abbiamo fatto mancare le nostre preghiere beneauguranti. Come siamo certi non le mancheranno le vostre. AD MULTOS ANOS, Maria Pia!

È tutto, per stasera. Noi ci si congeda qui, offrendovi in lettura un brano di Segundo Galilea, tratto dal suo “L’amicizia di Dio. Il cristianesimo come amicizia” (Edizioni Paoline). Che è, per oggi, il nostro

PENSIERO DEL GIORNO
L’amicizia dell’uomo con Gesù, in tutta la sua ricchezza e nelle sue potenzialità fraterne e apostoliche, è sempre precaria nella condizione umana. Sottomessa al peccato, alla cecità, alla seduzione degli idoli e all’accumularsi di infedeltà, quest’amicizia si può indebolire, eclissare e anche perdere. L’amicizia con Gesù sulla terra partecipa, per analogia, alla fragilità delle amicizie umane, anche le piú profonde, che rischiano sempre di allontanarsi, di guastarsi, di svanire. Ma Gesù ci ha promesso un’amicizia senza fine (Gv 6, 35-40; Ap 21, 1-7). E ciò che ci offre è sicuro, permanente e incondizionato nonostante noi stessi. La promessa racchiude anche la certezza che la nostra amicizia con Gesù arriverà a un momento di pienezza e consumazione e non sarà più soggetta a debolezze o minacce e sarà permanentemente fedele. Questa consumazione dell’amicizia con Gesù avviene nella vita che segue la morte; allo stesso modo, nella vita futura, si consumerà la fraternità con gli altri. Questa pienezza di intimità con Dio e di incontro con gli altri (in primo luogo, con i nostri amici) è ciò che appaga per sempre il nostro essere e il nostro destino, il nostro cuore sempre insoddisfatto e la nostra ricerca della felicità sempre frustrata. “Quel che occhio mai non vide, né orecchio mai udì, né mai cuore d’uomo ha potuto gustare, questo Dio ha preparato a coloro che lo amano (coloro che sono suoi amici)” (1Cor 2, 9). (Segundo Galilea, L’amicizia di Dio. Il cristianesimo come amicizia).

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 27 Maggio 2019ultima modifica: 2019-05-27T22:27:30+02:00da fraternidade
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