Giorno per giorno – 26 Maggio 2019

Carissimi,
“Vi lascio la pace, vi do la mia pace. Non come la dà il mondo, io la do a voi” (Gv 14, 27). Il mondo, qui, è il Sistema del dominio, in tutte le sue espressioni, politica, militare, economica, sociale, ideologica e religiosa. La pace che esso offre coincide con l’ordine che lo garantisce ed è ottenuta attraverso l’uso della forza, che mette a tacere, allontana, elimina, chiunque lo contesti od ostacoli. Curioso che il vangelo della pace di oggi fosse accompagnato proprio dal racconto di un conflitto scoppiato nella comunità primitiva (cf At 15, 1-2), relativo alla obbligatorietà della circoncisione “in vista della salvezza”, sostenuta dai giudeocristiani, per i neoconvertiti provenienti dal paganesimo. Conflitto, che sotto le più svariate forme, attraversa fino ad oggi tutta la storia del cristianesimo, là dove pone come imprescindibili e universali quegli elementi della legge e quelle forme dell’istituzione che sono contingenti e particolari. Qui da noi, per esempio, è molto sentito nelle controversie che oppongono i neopentecostali ai cattolici la necessità di ripetere il battesimo da adulti (considerando invalido il battesimo dei bambini), o l’ordine di distruggere le immagini sacre, o il fatto di considerare sostanzialmente pagani i riti dei cattolici ed espressione dell’anticristo le loro gerarchie. Come ricordava bene Gabriel, durante la condivisione della Parola, stamattina, Gesù, differenziando la sua pace da quella variamente imposta dalle strutture di potere, va alla radice del significato più vero di religione (“religare”), che consiste nel dar voce a quell’anelito all’unità perduta (con Dio, con la natura, con gli altri), presente in ogni essere. Unità che non può essere scambiata per uniformità, ma solo accolta come dono di Dio nella comunione delle diversità e nella pratica della solidarietà.

I testi che la liturgia di questa 6ª Domenica di Pasqua propone alla nostra riflessione sono tratti da:
Atti degli Apostoli, cap.15, 1-2. 22-29; Salmo 67; Libro dell’Apocalisse, cap.21, 10-14.22-23; Vangelo di Giovanni, cap.14, 23-29.

La preghiera della domenica è in comunione con tutte le comunità e Chiese cristiane.

Il calendario ci porta oggi la memoria di Filippo Neri, il prete dell’allegria, di don Cesare Sommariva, “don Cece”, maestro e preteoperaio, e di Abd el Kader, mistico islamico.

Filippo Neri era nato a Firenze il 21 luglio 1515, nella famiglia di un notaio. Per un certo tempo, aveva pensato di seguire il padre nella sua professione. Poi cambiò d’idea e andò via dalla città, trasferendosi prima a Cassino e poi, nel 1538, a Roma. Lí cominciò a lavorare tra i ragazzi delle borgate e li lasciava fare tutto il casino che volevano, perché pensava che comportarsi male non consiste nel contravvenire il galateo, ma è altro. Poi, a quelli che se la sentivano, gli insegnava a leggere la Bibbia, a cantare e li portava perfino a messa. Fondò una confraternita di laici che si incontravano per pregare e per dare aiuto ai pellegrini e ai malati. A 36 anni il suo confessore decise che era bene che fosse ordinato prete e Filippo obbedì, dando vita, poco dopo, all’Oratorio, una congregazione religiosa di sacerdoti, impegnati in particolar modo nell’educazione dei giovani. A scanso di possibili delusioni, pregava spesso così: “Signore, non aspettare da me se non male e peccati; Signore, non ti fidar di me, perché cadrò di certo, se non m’aiuti”. La gente faceva fila davanti al confessionale, perché dicevano che sapesse leggere nei cuori. Morì ottantenne, il 26 maggio 1595.

Cesare Sommariva era nato a Milano l’8 gennaio 1933 in una agiata famiglia della borghesia milanese. Conseguita la maturità classica, era entrato in seminario e, dopo gli studi di teologia, fu ordinato prete, il 26 giugno 1955. Inviato come coadiutore nella parrocchia di Pero, nell’hinterland milanese, vi restò fino al 1970. Nel frattempo aveva conosciuto e stretto amicizia con don Lorenzo Milani, con cui condivise il progetto di restituire la parola ai poveri che ne erano stati espropriati, favorendo l’acquisizione di un pensiero autonomo, capace di sottrarsi ai luoghi comuni e alle sirene dell’ideologia dominante. Nacque così l’esperienza delle scuole popolari di quartiere e dei doposcuola. Nel 1970 fu incaricato con altri due confratelli di dare vita a una nuova parrocchia nella periferia della città operaia di Sesto San Giovanni. Dopo quattro anni chiese ed ottenne di iniziare la vita di prete operaio. Assunto alla Redaelli di Rogoredo, una grande acciaieria nella periferia Sud di Milano, vi rimase fino alla crisi dell’azienda, condividendo con gli altri operai il massacrante orario di lavoro dei tre turni. Nel 1977 ottenne di fare vita comune con altri due preti operai: nacque così la Comunità San Paolo, a cui nel 1980 fu affidata la cura pastorale del quartiere Stella di Cologno Monzese. Nel 1986, ormai pre-pensionato, in seguito alla definitiva chiusura della Redaelli, avvenuta nel 1984, chiese al card. Martini di essere inviato come prete fidei donum in Salvador, negli anni dello scontro tra il dittatore Duarte e le forze della guerriglia raccolte nel Fronte di Liberazione Nazionale Farabundo Marti. Nel 1992 Mons. Rivera y Damas, che, nel 1980, era succeduto a mons. Romero, lo nominò parroco della parrocchia di San Roque, nella periferia più povera della capitale. Colpito da una forma di epatite, che andò progressivamente aggravandosi, continuò a spendersi al limite delle forze, fino al definitivo rientro in Italia, nel 2004. Qui, nell’affrontare la malattia che faceva il suo corso, visse momenti di sofferta depressione e di abbandono radicale al suo Dio. Fino alla morte, avvenuta il 26 (ma, secondo altre fonti che scopriamo all’ultima ora, il 19) maggio 2008. La Chiesa di Milano ha scritto di lui: “A volte cerchiamo modelli di vita perché ci aiutino a camminare. Don Cesare non è un santino da immaginetta, ma un eccezionale prete scomodo che ha seguito il Signore con fedeltà ed amore”.

Abd el Kader era nato nel villaggio di Guetna, poco distante da Mascara, in Algeria, nel 1808. Era stato educato nella zaouia diretta da suo padre, Si Mahieddine e, in seguito, aveva completato la sua formazione a Arzew e a Orano, sotto la guida di maestri prestigiosi. Dopo la presa d’Algeri, nel 1830, padre e figlio parteciparono alla resistenza, che elesse Abd el Kader emiro e gli affidò il comando del fronte anti-coloniale. Arresosi ai francesi nel 1847, Abd el Kader, dopo sei anni di prigionia in Francia, scelse la via dell’esilio, stabilendosi, nel 1855, a Damasco, in Siria, dove abiterà fino alla morte nella casa di Ibn Arabi, il mistico, vissuto sei secoli prima, che egli considerava suo maestro. Non lascerà, più il paese, se non per brevi viaggi e un pellegrinaggio alla Mecca, consacrando il suo tempo alla meditazione, alla preghiera, all’insegnamento e alla beneficienza. Nel 1860, i moti di Damasco gli fornirono l’occasione di mostrare la grandezza del suo animo. Dimentico dei soprusi a suo tempo subiti, salvò migliaia di cristiani dal massacro, inducendo i rivoltosi a ritirarsi. Celebrato e onorato, Abd el Kader si spense a Damasco il 26 maggio 1883.

Poco fa, al tramonto di questa domenica, frei Marcos, il domenicano che chi di voi è anche solo passato di qui ricorderà per i suoi capelli fluenti e la lunga barba, nonché per il basco nero alla Che Guevara, che forse, in un primo momento, glielo possono aver fatto scambiare per una figura solo pittoresca, mentre ha segnato come pochi la storia di questa nostra città e di questa nostra chiesa, ebbene frei Marcos ha fatto la sua Pasqua, raggiungendo l’abbraccio del Padre. Prossimo a compiere i suoi 89 anni – era nato il 17 settembre 1930 – qualche settimana fa era stato vittima della dengue (l’infezione causata dalla puntura della zanzara Aedes Aegypti), che impazza nella regione (e non solo), con l’effetto di un generale indebolimento dell’organismo. Negli ultimi giorni si è poi aggiunta una polmonite, che non si è risuciti a controllare. Lo veglieremo nella chiesa del Rosario a partire da domattina, quando la salma giungerà da Goiânia. Lui è stato come molti vorrebbero essere, ma pochi riescono: una vita consegnata all’Evangelo, che poi è la causa della liberazione dei poveri, per riscattare lo spazio e il tempo dalla vergogna e dall’umiliazione che ogni sistema oppressivo comporta.

È tutto, per stasera, e noi ci si congeda, offrendovi in lettura una serie di frasi scritte nel 1967 da Cesare Sommariva “ai giovani operai dell’Ala e a quelli del Pero”. Le troviamo riportate nel sito dei “Quaccheri ecumenici per fare il bene”, e sono, per oggi, il nostro

PENSIERO DEL GIORNO
Noi viviamo per lottare contro tutto quello che divide ancora gli uomini fra loro: sfruttamenti, guerre, ingiustizie, odi, egoismi, razzismi, frontiere… C’è un solo paese: l’umanità. Ogni paese è mio paese, ogni uomo è mio fratello. // Gli uomini lottano per una maggiore giustizia, camminano verso certe libertà, progrediscono verso una più vera pace, avanzano desiderando raggiungere certi obiettivi di una più vasta unione fra loro. E di fatto – senza vederlo – camminano verso il loro incontro al Padre nel Cristo. // Camminare con tutti gli uomini e aiutarli a scoprire la profonda dimensione della loro vita e delle loro azioni è (o dovrebbe essere) una delle caratteristiche più importanti del popolo cristiano. I cristiani dovrebbero essere l’esplosivo più terribile della storia. Ogni barriera, ogni ingiustizia, ogni sfruttamento dovrebbe saltare sotto il loro esplosivo d’amore. Purtroppo non sempre è stato così. In alcuni casi addirittura è stato tutto l’opposto. Invece di diventare esplosivo, il cristianesimo mal capito è diventato “oppio del popolo”. // Così l’intendeva anche quel tale che durante una manifestazione mi disse: “ Lei reverendo vada a dir Messa. Pensi a pregare e basta”. Quel tale non sapeva che dalla Messa e dalla preghiera io vengo fuori più indignato, più “arrabbiato”, più impegnato di prima nella lotta contro le oppressioni e le ingiustizie. Perché sarebbe falso se io pregassi: “Venga il Tuo regno, o Padre” se poi non mi impegnassi nel lottare contro quello che in me, negli altri, nel mondo è di ostacolo a questo regno. (Cesare Sommariva, Ai giovani operai dell’Alfa e a quelli di Pero).

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 26 Maggio 2019ultima modifica: 2019-05-26T23:04:46+02:00da fraternidade
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