Giorno per giorno – 08 Febbraio 2019

Carissimi,
“Subito il re mandò una guardia con l’ordine che gli fosse portata la testa [di Giovanni Battista]. La guardia andò, lo decapitò in prigione e portò la testa su un vassoio, la diede alla ragazza e la ragazza la diede a sua madre” (Mc 6, 27-28). In due versetti sono presenti quasi tutti i protagonisti del racconto: Erode, Erodiade, Salomè, la guardia e Giovanni Battista. Mancano solo i commensali, menzionati poco prima. Stamattina, un po’ per scherzo, ma neanche troppo, ci si chiedeva in quali di questi personaggi, in una sorta di gioco della verità a voce bassa, potremmo affermare di rispecchiarci. Sapendo che al centro della vicenda c’è la vita e la morte di un profeta, che anticipa quella di Cristo e, più in là nel tempo, quella dei discepoli che gli siano fedeli. La vita e la morte, poi, dell’uno, dell’altro e degli altri ruotano tutte sull’annuncio del Regno e sulla denuncia di ciò che gli si oppone: l’adulterio di un potere (Erode) che non accetta di essere servizio al popolo (“perché tutti abbiano vita e vita piena”), ma che lo lo sfrutta e lo riduce in miseria per tutelare gli interessi e accumulare privilegi e ricchezze di una minoranza (l’Erodiade di turno). La quale conosce gli artifici per piegarlo a sé, attraverso i più diversi strumenti di distrazione (anche di massa, per conquistare e/o illudere tutti): la Salomè del caso. Dunque noi, chi siamo, che facciamo? Prendiamo le parti del profeta, facendo di noi stessi profeti che non esitano a denunciare, disposti a perdersi – parola grossa – la vita? O giudichiamo più prudente, magari un giorno sì e uno no, farci commensali dei potenti, alla ricerca di favori e briciole, appoggiarne le politiche di morte, cadere nel gioco degli spettacoli che abbagliano, il cui premio, che rimane nascosto ai più, è mettere a tacere la profezia del Regno? Dovremmo chiedercelo più spesso.

Oggi il calendario ci porta le memorie di Bruno Hussar, profeta di pace in Israele, e di Stefano di Muret, testimone dell’Evangelo.

Andrea Hussar era nato a Il Cairo il 4 maggio 1911, da genitori ebrei non praticanti. Dopo gli studi al liceo italiano nella capitale egiziana, il giovane, alla morte del padre, si trasferì con la madre in Francia, dove ottenne la cittadinanza francese, completando a Parigi gli studi di ingegneria. Fu in quegli anni che iniziò un cammino spirituale che sfociò nella scoperta del cristianesimo e nella richiesta del battesimo. Battezzato il 22 dicembre 1935, svolse la sua professione per alcuni anni fino a quando nel 1941 fu colpito da una tubercolosi che lo condannò per due anni a completa immobilità. Nel 1945 maturata la vocazione religiosa, entrò tra i domenicani, assumendo il nome di Bruno. Fu ordinato sacerdote cinque anni più tardi ed inviato nel 1953 in Israele per favorire la creazione di un centro di studi ebraici, che vedrà la luce cinque anni più tardi, la Casa di sant’Isaia. Lì, Bruno approfondì la sua coscienza di appartenere al popolo ebraico e contribuì, con la sua attività di riflessione e di studio, negli anni che seguirono, a tessere le fila del dialogo ecumenico tra la Chiesa e il popolo ebreo. Negli anni settanta, assieme ad Anne Le Meignen, diede avvio al progetto di Nevè Shalom/Waahat as-Salaam, Oasi di pace, un villaggio, situato tra Tel Aviv e Gerusalemme, in cui, convivendo insieme, ebrei, musulmani e cristiani delle diverse confessioni, apprendessero a conoscere, rispettare e amare le rispettive identità. Il frate volle che là sorgesse un luogo di preghiera, privo di qualsivoglia simbolo religioso, chiamato Dumia (Silenzio), dove chiunque potesse raccogliersi in contemplazione. Bruno Hussar morì nel suo villaggio, profezia di un futuro di pace, l’8 febbraio 1996.

Stefano di Muret era nato nel 1045 nel castello di Thiers, feudo di famiglia, nell’Auvergne. Poco più che trentenne, semplice laico, divenne eremita, nella zona di Limoges, nel sud-ovest della Francia, riunendo altri amanti della solitudine al servizio di Cristo. Accoglieva allegramente quanti venivano a ricevere una parola, grandi e piccoli, poveri e ricchi, giusti e peccatori. Morì l’8 febbraio 1124.

I testi che la liturgia odierna propone alla nostra riflessione sono tratti da:
Lettera agli Ebrei, cap. 13, 1-8; Salmo 27; Vangelo di Marco, cap.6, 14-29.

La preghiera del venerdì è in comunione con i fedeli della Umma islamica che professano l’unicità del Dio clemente e ricco in misericordia.

In questo giorno, nel 1878, nasceva, a Vienna, Martin Buber, che è una delle nostre memorie preferite (anche se a volte ci viene di dirlo di ogni personalità che figura nel nostro calendario). Cultore come pochi altri del chassidismo, di cui raccolse e riscrisse centinaia di storie e leggende, concepì l’ebraismo, non come un insieme di precetti legali, ma come santificazione della vita quotidiana, vissuta nell’umiltà e nell’allegria. Noi ne facciamo più estasamente memoria nella data della scomparsa, il 13 giugno, ma gli riserviamo un doveroso spazio anche in questa occasione, offrendovi in lettura un brano tratto dal suo “I racconti dei Chassidim” (Garzenti), che è, così, per oggi, il nostro

PENSIERO DEL GIORNO
Un uomo che aveva commesso un fallo ed era angustiato dalle sue conseguenze, venne dal Magghid di Trisk per consiglio, ma questi rifiutò seccamente di occuparsi della faccenda. “Si chiede consiglio prima di agire, non dopo”, disse. L’uomo di rivolse allora a Rabbi Giacobbe Zvi di Parysow, un figlio di Rabbi Jehoshua Asher. “Bisogna aiutarti”, disse questi. “Noi non dobbiamo cercare i giusti, ma impetrare grazia per i peccatori. Abramo cercava giusti e così la sua impresa fallì. Mosè invece gridò: ‘Perdona la colpa di questo popolo’ e Dio gli rispose: ‘Ho perdonato come tu hai chiesto’.” (Martin Buber, I racconti dei Chassidim).

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 08 Febbraio 2019ultima modifica: 2019-02-08T22:26:31+01:00da fraternidade
Reposta per primo quest’articolo