Giorrno per giorno – 07 Febbraio 2019

Carissimi,
“Gesù chiamò i Dodici, ed incominciò a mandarli a due a due. E ordinò loro che, oltre al bastone, non prendessero nulla per il viaggio: né pane, né bisaccia, né denaro nella borsa; ma, calzati solo i sandali, non indossassero due tuniche. E diceva loro: Entrati in una casa, rimanetevi fino a che ve ne andiate da quel luogo” (Mc 6, 7-10). Istruzioni per la missione, che il Vangelo continua a proporci e la Chiesa, in gran parte dei suoi segmenti, a prendere poco sul serio. Giocando un po’ la sua credibilità con quanti sono alla ricerca per la loro vita di una parola di verità. La tentazione che molti sperimentano, riflesso di quelle che, esemplificate e riassunte dalle tentazioni nel deserto, dovette subire, lungo tutta la durata del suo ministero, lo stesso Gesù, riguarda, in questo caso, i mezzi su cui appoggiare e con cui confermare la nostra testimonianza. L’idea che si insinua è che, quanto piú straordinari essi siano, tanto più efficace essa finirà per risultare. E invece. Invece, è possibile, sì, che si acquisiscano fedeli e seguaci, più simili, tuttavia, ad una clientela, da contendersi tra una chiesa e l’altra, un movimento e l’altro, in cerca, più che del nudo Crocifisso, segno ultimo della dedizione incondizionata di Dio per gli uomini tutti, di spazi in cui sentirsi realizzati (quando dovremmo invece imparare a perderci), soddisfare esigenze materiali o psicologiche, fruire doni speciali, sperimentare emozioni estetiche, coltivare esercizi intellettuali, o anche solo praticare pie devozioni, e quant’altro. Gesù, invece, i suoi inviati, li vuole sprovvisti di tutto, poveri e itineranti, disposti ad ospitarsi nelle case di chi li accoglierà, pronti a spendersi per gli altri, con l’invito a conversione, la lotta contro i mali, la cura dei malati. Gratis.

Oggi il nostro calendario ci ricorda il martirio di Sepé Tiaraju e del suo popolo guaraní; il metropolita Vladimir di Kiev con tutti i nuovi martiri del XX secolo in Russia e Ucraina; e Andraus El Samu’ili, monaco copto e mistico.

Nei secoli XVII e XVIII, i missionari gesuiti, al fine di sottrarre le popolazioni indigene alla schiavitù e allo sfruttamento da parte dei bianchi, crearono nelle colonie spagnole e portoghesi dell’America Latina numerose comunità agricole (reducciones), basate sulla proprietà collettiva della terra e delle macchine, dotate di ampi margini di auto-gestione amministrativa e, soprattutto, tenute separate dal mondo dei colonizzatori. Questo, per proteggerne in primo luogo l’incolumità, ma anche per fornir loro quell’istruzione intellettuale, religiosa, tecnica e associativa che, nella visione dei missionari, doveva più facilmente garantirgli la sopravvivenza. Si trattò, dunque, di un’esperienza improntata all’ideale di un comunitarismo egualitario che risaliva al cristianesimo primitivo. Nel 1732 si contavano una trentina di “reducciones” per un totale di circa 150.000 abitanti. Alla metà del secolo le autorità coloniali, preoccupate per il significato sociale, trasgressivo dell’ ordine esistente, che le “reducciones” andavano assumendo e per il potere alternativo che i gesuiti vi avevano costruito, posero fine con la forza all’esperimento. È in questo contesto che, nel 1753, Sepé Tiaraju prese l’iniziativa dell’insurrezione indigena della “riduccion” guaranì di São Nicolau, la prima a resistere all’ordine di evacuazione e trasferimento sull’altro lato del fiume Uruguay. A São Miguel (Rio Grande do Sul), Sepé guidò l’attacco ai carri che trasportavano le suppellettili della Chiesa, obbligando la comitiva a far ritorno alla missione. Per tre anni fu la figura centrale della resistenza agli imperi portoghese e spagnolo. Il 7 febbraio 1756 morì combattendo sull’ Arroio Caiboaté. In una scaramuccia, il suo cavallo cadde ed egli fu ferito da un soldato con una lancia. Prima di riuscire ad alzarsi fu ucciso con un colpo di pistola dal governatore di Montevideo che comandava la truppa.

Basil Nikiforovich Bogoyavlensky (che assunse in seguito il nome di Vladimir) era nato il 1° Gennaio 1848 nella famiglia del prete Niceforo, nel villaggio di Malaya Morshka, distretto di Morshansky, provincia di Tambov, in Russia. Frequentata la scuola teologica di Tambov e proseguiti brillantemente gli studi nella Facoltà teologica di Kiev, fu per sette anni professore in seminario, si sposò e fu ordinato prete il 13 gennaio 1882. L’8 febbraio 1886, dopo la morte della moglie e dell’unico figlio, entrò nel monastero della Santa Trinità di Kozlov, di cui fu nominato archimandrita. Il 21 maggio 1889 fu consacrato vescovo di Starorussk e, successivamente, esarca di Georgia, metropolita di Mosca, poi di Petrogrado e infine di Kiev. Ovunque, durante il suo ministero pastorale, si preoccupò di proteggere la sua gente, di combattere l’antica piaga dell’alcolismo, di offrire ai fedeli la luce di un genuino insegnamento cristiano. Nelle vicende drammatiche che accompagnarono la rivoluzione bolscevica, seppe mantenersi pastore di pace e di amore, fedele, onesto, tutto dedito a Cristo e alla Chiesa. La notte del 25 gennaio 1918 (7 febbraio nei calendario gregoriano), un gruppo di bolscevichi entrò nelle grotte della Laura di Kiev e arrestò il metropolita. Lungo la strada fu sommariamente processato e condannato a morte. Prima di morire volle benedire i suoi uccisori. Fu il primo di un numero incalcolabile di vittime, soprattutto monaci, preti e vescovi, che nei decenni successivi furono perseguitati, incarcerati, deportati e uccisi.

Yusef Khalil Ibrahim era nato verso il 1887 nel governatorato di Bani Suef, in Egitto. A tre anni era divenuto cieco. Tredicenne, il padre l’aveva mandato al monastero di San Samuele, sull’altopiano del Qalamun, nel sud dell’Egitto, perché, alla scuola dei monaci, imparasse qualcose di utile per la vita. Yusef vi restò fino a ventidue anni, quando scoperta la vocazione monastica, chiese ed ottenne di farsi monaco. Fece dunque la sua professione religiosa e prese il nome di Andraus El Samu’ili. Da allora e fino alla morte la sua vita si svolse all’insegna dell’infanzia spirituale e della perfetta letizia, immersa nella preghiera, nell’abbandono alla volontà di Dio e nell’obbedienza ai fratelli, senza lamentarsi mai di nulla, in ogni circostanza. Lo chiamavano l’ “ospite celeste”, per dire che era già come un angelo. Morì il 7 febbraio 1989.

I testi che la liturgia odierna propone alla nostra riflessione sono tratti da:
Lettera agli Ebrei, cap.12, 18-19. 21-24; Salmo 48; Vangelo di Marco, cap.6, 7-13.

La preghiera del Giovedì è in comunione con le religioni tradizionali indigene.

Se fosse, come è, fra noi, dom Helder Câmara compirebbe oggi 110 anni, essendo nato a Fortaleza il 7 febbraio 1909. Così, nel congedarci, scegliamo di prendere spunto da questa ricorrenza, per proporvi una sua citazione, tratta dal suo libro “Il deserto è fecondo” (Cittadella Editrice). Che è, così, per oggi, il nostro

PENSIERO DEL GIORNO
Se ci sono ancora di quelli che credono nella preghiera e fanno affidamento su di essa, altri la considerano una pratica superata. Ma la parola preghiera non deve dividerci. Facciamo tutti quanti una preghiera quando manifestiamo i nostri desideri più intimi e profondi. Quale preghiera potranno fare in comune le minoranze abramiche, al di là delle differenze che possono separare, allontanare le une dalle altre minoranze spirituali che le compongono? I nostri occhi si aprono. Cominciamo subito a vincere i nostri egoismi, a uscire da noi, a consacrarci, una volta per tutte, a costo di qualsiasi sacrificio, alla lotta non violenta per un mondo più giusto ed umano. Non lasciamo la decisione a domani; ma cominciamo oggi, ora, intelligentemente, con decisione. Guardiamoci attorno e sappiamo vedere i fratelli e le sorelle che hanno la nostra stessa vocazione, per rinunciare al confort e unirci a tutti quelli che hanno fame di verità e hanno giurato di dare la loro vita per la costruzione della pace attraverso la giustizia e l’amore. Non perdiamo il nostro tempo a discutere per sapere chi comanderà. La cosa importante è unirci e avanzare, ricordiamo che il tempo lavora contro di noi… In tutto ciò restiamo capaci del massimo di fermezza senza cadere nell’odio, del massimo di comprensione senza cadere nella convivenza con il male. (Helder Camara, Il deserto è fecondo).

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorrno per giorno – 07 Febbraio 2019ultima modifica: 2019-02-07T22:24:46+01:00da fraternidade
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