Giorno per giorno – 14 Gennaio 2019

Carissimi,
“Passando lungo il mare della Galilea, Gesù vide Simone e Andrea, fratello di Simone, mentre gettavano le reti in mare; erano infatti pescatori. Gesù disse loro: Seguitemi, vi farò diventare pescatori di uomini. E subito, lasciate le reti, lo seguirono” (Mc 1, 16-18). Il problema serio del cristianesimo è che Gesù non passa più lungo il mare di Galilea, o qualunque altro mare, lago, fiume, pianura o montagna. O, se passa, lo fa in incognito. E pochi si sentono raggiunti dal suo sguardo. Ora, è difficile che ci si possa appassionare di un catechismo (un tempo si chiamava scuola di dottrina), che era (e, forse, qui e là, lo è ancora), la porta d’accesso alla vita (?) del discepolo. Infatti, lui non era arrivato là, quel giorno, sull’arenile, sventolando un qualche prontuario di definizioni, istruzioni, norme, prescrizioni. Se l’avesse fatto, le due coppie di fratelli avrebbero riso o si sarebbero girati dall’altra parte, o gli avrebbero bofonchiato: vai a lavorare, che è meglio. No, lui arriva, ne incrocia lo sguardo, li chiama, li coinvolge in un’avventura. E loro capiscono che possono davvero lasciare tutto. Nel vicino monastero, un gruppo di otto preti della Fraternità sacerdotale Jesus Caritas, che si ispira al carisma di Charles de Foucauld, sta facendo da giovedì scorso il “mese di Nazareth”, durante il quale alternano momenti di preghiera, di silenzio, di riflessione in comune, di lavoro manuale. Così la preghiera del mattino è arricchita della loro presenza e del loro contributo. E, stamattina, uno di loro diceva: questa chiamata è rivolta a tutti. Noi si deve tornare a pensarla alla luce di quel primo incontro, al fuoco che allora si è acceso in noi. “Pescatori di uomini”: non in una logica proselitistica, per riempire i registri anagrafici delle nostre parrocchie, ma per riscattare persone al senso piú vero della vita, che è la vita stessa, in tutta la sua ricchezza. Come dono rivolto a tutti. A cominciare dai più poveri.

Oggi è memoria di Serafim di Sarov, mistico e asceta della Russia ortodossa, e di Leonhard Schiemer, pacifista anabattista, martire.

Prochor Mosnin (tale il suo nome alla nascita) era nato il 19 luglio 1759 a Kursk in una famiglia di commercianti, conosciuti da tutti come cristiani devoti e caritatevoli. Da ragazzo Prochor amava frequentare la divina liturgia e dedicarsi alla lettura di libri religiosi. Diciottenne, durante un pellegrinaggio alle Grotte di Kiev, vi conobbe il santo staretz Dositeo, che, confermandolo nella vocazione monastica, lo indirizzò al monastero di Sarov, affidandogli la preghiera del Nome come mezzo potente per restare unito a Dio. Dopo otto anni di noviziato, il giovane fece la sua professione monastica, ricevendo il nome di Serafim. Nel 1794 Serafim fu ordinato prete e ricevette il permesso di recarsi a vivere in una piccola capanna nella vicina foresta, per dedicarsi ad una vita di preghiera e digiuno e allo studio delle Scritture e degli scritti dei Padri. Lì visse, salvo brevi interruzioni, fino al 1810, quando, per obbedire alla richiesta dei monaci anziani, Serafim ritornò in monastero. Continuò tuttavia a vivere nella solitudine e nel silenzio della sua cella per altri dieci anni. Fu solo alla fine di questo lungo periodo di tempo che, obbedendo ad una visione del Cielo, si dispose ad accogliere quanti, visitando il monastero, aspettavano da lui una parola o un consiglio spirituale. Il vecchio monaco soleva allora salutare chiunque si recasse da lui con una prostrazione, un bacio e le parole del saluto pasquale: “Cristo è risorto!” e ad ognuno si rivolgeva chiamandolo con l’espressione “gioia mia”. Nel 1825 fece ritorno nella sua capanna nella foresta, dove, arricchito del dono della chiaroveggenza, continuò a ricevere migliaia di pellegrini da tutta la Russia. Serafim si riposò nel Signore il 1° gennaio 1833 del calendario giuliano (corrispondente al 14 gennaio del nostro calendario), mentre era inginocchiato davanti ad un’icona della Madre di Dio.

Leonhard Schiemer era nato verso il 1500 a Vöcklabruck (Alta Austria) in una famiglia molto religiosa, che l’aveva avviato al mestiere di sarto. Desideroso, però, di consacrarsi a Dio, Leonhard, poco più che adolescente, era entrato in un convento francescano, a Judenburg, ma sei anni più tardi, deluso dalla vita conventuale, ne era uscito, recandosi ad abitare a Norimberga, dove aveva ripreso l’antico mestiere. In questa città avvennero presumibilmente i primi contatti di Schiemer con gli ambienti anabattisti. Nel maggio 1527, recatosi a Nikolsburg, in Moravia, potè assistere alla disputa tra due diversi gruppi anabattisti, gli Stäbler (sostenitori della nonviolenza assoluta) e gli Schwertler (che sostenevano la liceità della difesa armata). Poche settimane più tardi quando, a Vienna, incontrò Hans Hut e la sua congregazione, Leonhard ne fece sue le tesi pacifiste e chiese di essere battezzato. Subito cominciò la sua attività di missionario, prima nella città di Steyr, poi a Salzburg e in Baviera. Nell’agosto 1527 partecipò, ad Augsburg, al Sinodo dei Martiri (chiamato così in seguito, perché un gran numero dei partecipanti trovò la morte a causa della fede professata). Inviato in Tirolo, si stabilì a Rattemberg, una cittadina sul fiume Inn, dove la congregazione locale lo volle suo vescovo. Il 25 novembre 1527, su pressione delle gerarchie cattoliche, Schiemer fu arrestato e imprigionato. Durante la prigionia, compose numerose opere, che avranno una notevole importanza nello sviluppo del movimento anabattista. Tra esse anche alcuni inni, che entrarono a far parte dell’Ausbund, l’innario in uso ancor oggi presso le comunità Amish. Nel gennaio 1528, un tentativo di fuga gli comportò un drastico peggioramento nelle condizioni di prigionia. Dopo ripetute sessioni di tortura, il giovane, non ancora trentenne, fu decapitato. Era il 14 gennaio 1528. Nei successivi dodici anni altri settanta anabattisti, uomini e donne, sarebbero morti a Rattenberg, testimoniando con il loro sangue la loro fedeltà al vangelo della pace e dela nonviolenza.

I testi che la liturgia odoerna propone alla nostra riflessione sono tratti da:
Lettera agli Ebrei, cap.1, 1-6; Salmo 97; Vangelo di Marco, cap.1, 14-20.

La preghiera di questo lunedì è in comunione con le grandi religioni dell’India: Vishnuismo, Shivaismo, Shaktismo.

Noi ne facciamo memoria il giorno della sua scomparsa, il 4 settembre, ma vogliamo ricordarlo anche oggi, giorno della sua nascita, avvenuta a Kaysersberg, in Alsazia, nel 1875. Parliamo di Albert Schweitzer, che scelse di lasciare tutto per dedicarsi agli ultimi e più diseredati dell’Africa equatoriale. Scegliamo, nel congedarci, di proporvi una sua citazione tratta da “Filosofia della civiltà” (Fazi). Che è, per oggi, il nostro

PENSIERO DEL GIORNO
La tentazione di conciliare l’utile, dettato dalla responsabilità sovrapersonale, con l’etico in vista di un’etica relativa è particolarmente forte, perché può far valere l’argomento che chi si è assunto delle responsabilità sovrapersonali non agisce in maniera egoistica. Egli non sacrifica l’esistenza altrui o il benessere altrui a favore della propria esistenza o del proprio benessere personale, ma sacrifica l’esistenza di determinate persone e il benessere di singoli individui a quel che si impone come utile in vista dell’esistenza o del benessere di una collettività. Ma qui etico significa più di non egoista! Etico è soltanto il rispetto, da parte della mia volontà di vita, per ogni altra volontà di vita. Se, in qualche modo, sacrifico o danneggio la vita, io non sono nell’etica, ma divento colpevole, sia che si tratti di una colpevolezza mossa dall’egoismo, con la finalità di conservare la mia esistenza o il mio benessere, sia che si tratti di una colpevolezza priva di egoismo, in vista della salvaguardia di una pluralità di altre esistenze o del loro benessere. Questo errore, tanto facile, di accordare valore morale alla violazione del rispetto per la vita in nome di considerazioni prive di egoismo, è il ponte attraverso il quale, improvvisamente, l’etica approda su un terreno non etico. Questo ponte deve essere demolito. C’è etica solo dove c’è umanità, cioè dove l’esistenza e la felicità di ogni singolo essere umano vengono rispettate. Là dove non c’è più umanità inizia la pseudoetica. Il giorno in cui questo confine verrà tracciato in maniera visibile per tutti sarà uno dei giorni più significativi nella storia del genere umano. Da quel giorno, infatti, non potrà succedere che un’etica che non è più etica venga considerata come vera etica, ingannando individui e popoli e mandandoli in rovina. (Albert Schweitzer, Filosofia della civiltà).

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 14 Gennaio 2019ultima modifica: 2019-01-14T22:35:19+01:00da fraternidade
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