Giorno per giorno – 23 Dicembre 2018

Carissimi,
“Maria si mise in viaggio verso la montagna e raggiunse in fretta una città di Giuda” (Lc 1, 39). L’amore, che è la parola di Dio (e viceversa), mette le ali a chi se ne ingravida. Così è successo a Maria che, immaginando lo stato di necessità della cugina Elisabetta, per via della gravidanza tardiva, non esita a dimenticare ogni precauzione per sé, né risulta che abbia chiesto il permesso a nessuno, né ai genitori, se abitava ancora con loro, né al promesso sposo. Semplicemente, è detto: “si mise in viaggio”. La fede cristiana, si manifesta dunque così, se è davvero alimentata dalla Parola. Non immediatamente sul piano religioso (anche se questo può non mancare come fonte di ispirazione), ma su quello propriamente secolare della solidarietà. In cui l’animo religioso riconoscerà, come nel caso di Elisabetta, la presenza del Signore; altri semplicemente ne potranno restare meravigliati e grati, come davanti a una cosa bella della natura umana. Che è quanto si potrà immaginare anche nel caso del Samaritano della parabola. Stamattina, Fernando, che coordinava, ancora una volta, la liturgia, richiamando la lettera agli Ebrei, che mette sulla bocca di Cristo le parole rivolte al Padre: “Tu non hai voluto e non hai gradito né sacrifici né offerte, né olocausti né sacrifici per il peccato, cose tutte che vengono offerte secondo la legge” (Eb 10, 8), che sono poi le opere della religione, e subito gli fa aggiungere: “Ecco, io vengo a fare la tua volontà” (v. 9), sottolineava come la volontà di Dio è l’offerta di sé. Offerta che Maria anticipa e profetizza nell’accorrere presso la cugina, figura, in questo caso, di ogni situazione umana in stato di bisogno. È di ciò che dobbiamo tenere conto nell’apprestarci a celebrare il Natale. Che, diversamente, sarebbe ridotto a ben poca cosa.

I testi che la liturgia di questa IV Domenica d’Avvento propone alla nostra riflessione sono tratti da:
Profezia di Michea, cap.5, 1-4a; Salmo 80; Lettera agli Ebrei, cap.10, 5-10; Vangelo di Luca, cap.1, 39-45.

La preghiera della Domenica è in comunione con tutte le comunità e chiese cristiane.

Il calendario ci porta oggi le memorie di Abraham Joshua Heschel, maestro ebreo, mistico e profeta del nostro tempo; di Gabriel Maire, martire per la giustizia in Brasile; e di Edward Schillebeeckx, “teologo felice” del Concilio.

Abraham Joshua Heschel era nato a Varsavia l’11 gennaio 1907, discendente di una famiglia di rabbini e mistici chassidici, tra cui Dov Ber di Mèzeritch e Levi Yitzchak di Berditchev. Pur fedele alla mistica e alla spiritualità dei padri, scelse di intraprendere la carriera accademica, vincendo le resistenze della sua famiglia. Studiò filosofia a Varsavia e poi a Berlino, dove ottenne il dottorato nel 1933, succedendo nell’insegnamento a Martin Buber nella cattedra che questi aveva occupato a Francoforte. Nel 1938, tuttavia, in quanto ebreo straniero, fu espulso dalla Germania e dovette fare ritorno in patria. Da lì si allontanò proprio alla vigilia dell’invasione nazista, dirigendosi prima in Inghilterra e poi negli Stati Uniti, dove sarebbe rimasto per il resto della vita, insegnando in istituti sia ebrei che cristiani. Una serie di libri pubblicati negli anni 50 lo fecero conoscere come una delle voci più significative del suo tempo. Per l’influenza che esercitò anche in campo cristiano, fu chiamato un “nuovo apostolo delle genti”. Fu profeta instancabile del dialogo e della cooperazione tra le religioni. Incontrò Giovanni XXIII e Paolo VI e fu invitato come osservatore al Concilio Vaticano II. Si deve alla sua influenza la storica dichiarazione del concilio sui rapporti della chiesa con l’ebraismo. Fraterno amico di Martin Luther King, con spirito profetico fece sua la battaglia contro ogni forma di razzismo e discriminazione, denunciò la guerra del Vietnam, non evitando prese di posizione su temi squisitamente politici, perché, diceva “moralmente parlando, non c’è limite all’interesse che si deve avere per la sofferenza dell’essere umano, dato che l’indifferenza di fronte al male è peggiore del male stesso, perché in una società libera, alcuni sono colpevoli, ma tutti sono responsabili”. E, “predicare su Dio, ma tacere sul Vietnam è semplicemente una bestemmia”. (Noi dovremmo ricordarcene più spesso, tutti). La religione di Heschel non rappresenta pertanto una fuga in un altro mondo, ma esprime un profondo senso di responsabilità nei confronti di questo mondo, dei suoi problemi e necessità. Poco prima di morire, rivolgendosi ai giovani in un’intervista, dichiarò: “Ricordate che c’è un significato oltre ogni apparente assurdità. Sappiate che ogni atto conta, che ogni parola è potere… Soprattutto, ricordate che siete chiamati a costruire la vostra vita come fosse un’opera d’arte”. Lui ci riuscì. Morì il 23 dicembre 1972.

Gabriel Maire era un prete francese, missionario in Brasile da nove anni, dove aveva assunto l’accompagnamento pastorale delle comunità di base di Campo Grande, a Vitória, nello Stato di Espirito Santo, diventando elemento forte nell’azione di coscientizzazione e organizzazione della popolazione e sostenitore deciso dell’impegno dei cristiani nell’azione politica e sindacale. Ripetutamente minacciato di morte, nonostante le precauzioni prese, il 23 dicembre 1989, di ritorno da una celebrazione tenuta a Castelo Branco, offrì un passaggio in macchina ad uno sconosciuto che gli chiese di essere portato a Porto Santana, dove P. Gabriel era atteso per un’altra celebrazione. In quel tratto di strada, davanti alla stazione Carlos Lindemberg, il prete fu assassinato con un tiro al petto. Aveva 53 anni. Il vescovo di Vitória, dom Silvestre Scandian dichiarò che l’uccisione era l’ultimo atto del martirio di “una vita tutta dedicata al popolo sofferente, massacrato dall’ingiustizia sociale e dall’oppressione”.

Edward Cornelis Florentius Alfonsus Schillebeeckx era nato ad Anversa (Olanda) il 12 novembre 1914, sesto dei quattordici figli di Johanna e Constant Schillebeeckx. Conclusi gli studi dai gesuiti a Cortenberg in Belgio, entrò ventenne nell’ordine domenicano, studiò teologia a Lovanio e nel 1941 fu ordinato sacerdote. Nel 1945 fu mandato a Parigi, per ottenere a Le Saulchoir la licenza in teologia. Decisivo per il futuro della sua riflessione fu l’incontro con padre Marie Dominique Chenu e il confronto ravvicinato con le problematiche culturali e sociali che agitavano l’ambiente parigino. Tornato in patria, a partire dal 1957 iniziò il suo insegnamento all’Università di Nimega, come professore di dogmatica e di storia della teologia. Fu figura di spicco dell’animata stagione del Concilio, contribuendo alla stesura di uno dei suoi documenti più importanti, la Costituzione “Dei Verbum”, dedicata alla rivelazione divina, alla sua trasmissione e interpretazione. Al termine del Concilio fondò con Karl Rahner la rivista internazionale Concilium, come strumento per portare avanti nella chiesa lo spirito del Vaticano II. All’impostazione teologica di Schillebeeckx si ispirò il Nuovo catechismo olandese, che, tradotto in molte lingue, non mancò di suscitare polemiche nei settori più conservatori, ma consentì a molti di riscoprire la bellezza di una fede che agisce responsabilmente nella storia. Tutta l’attività teologica di Schillebeeckx fu orientata alla pastorale della chiesa e alla passione per il dialogo con un mondo che dice di essere “senza Dio”, sapendo che però, come diceva Barth, Dio non vuol essere senza il mondo. Nel 1979, venne chiamato a Roma per chiarire alcune proposizioni che risultavano dubbie all’orecchio della Congregazione per la Dottrina della Fede (che anche in seguito, ogni tanto, non mancherà di importunarlo). Ma seppe dare sempre risposte soddisfacenti. In uno sguardo retrospettivo sulla sua vita, si definì “un teologo felice”. Morì novantacinquenne il 23 dicembre 2009.

È tutto, per stasera. Noi ci si congeda qui, offrendovi in lettura un brano di Abraham Joshua Heschel, tratto dal suo libro “La discesa della Shekinah” (Qiqajon). Che è, per oggi, il nostro

PENSIERO DEL GIORNO
“La Shekinah scese con loro”. “Rabbi Eli’ezer dice: Perché mai il Santo — benedetto sia — si rivelò dall’alto dei cieli parlando a Mosè dal roveto? Soltanto perché, come quel roveto era il più umile fra tutti gli alberi esistenti al mondo, così Israele era sceso al rango più infimo, allora il Santo — benedetto sia — scese con lui e lo riscattò, infatti così dice la Scrittura: Ho visto tutta la miseria del mio popolo in Egitto… Perciò sono sceso a liberarlo dalla mano degli egiziani (Es 3,7-8). E Rabbi Jehoshua dice: Perché mai il Santo — benedetto sia — si rivelò dall’alto dei cieli parlando a Mosè dal roveto? Il fatto è che, quando i figli di Israele scesero in Egitto, la Shekinah scese con loro, come è detto: Io scenderò con te (Gen 46,4). [Quando ne uscirono] la Shekinah continuò a essere in esilio con loro, come è detto: Io ti farò salire e anche io salirò (ibid.). Scesero presso il mare e la Shekinah era con loro, come è detto: Allora si mosse l’angelo di Dio che camminava davanti all’accampamento di Israele (Es 14,19). Giunsero nel deserto e la Shekinah era con loro, come è detto: Nel deserto dove hai visto che JHWH tuo Dio ti ha portato come un uomo porta suo figlio (Dt 1,31). Nelle parole di questi stessi Sapienti il termine “scendere” serviva a spiegare l’idea: Con lui io sono nella sventura (Sal. 91,15). “La Shekinah scese con loro” significa quindi che essa si trovava con loro nella medesima condizione, significa condivisione. Rabbi Aqiva insegnò che il coinvolgimento del Santo — benedetto sia — nella vita di Israele non è una mera forma di sollecitudine, l’attributo di misericordia che si esprime nella relazione con il suo popolo. Infatti la sofferenza di chi compatisce è assimilabile a un patire da lontano, al patire di chi osserva dall’esterno, mentre la condivisione del Santo — benedetto sia – è identificazione, qualcosa di intrinseco, che lo tocca intimamente; come dire che a sua volta egli è colpito, se ciò fosse possibile, dalle sventure della nazione. (A.J. Heschel, La discesa della Shekinah).

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 23 Dicembre 2018ultima modifica: 2018-12-23T22:24:16+01:00da fraternidade
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