Giorno per giorno – 04 Dicembre 2018

Carissimi,
“In quello stesso istante Gesù esultò nello Spirito Santo e disse: Io ti rendo lode, Padre, Signore del cielo e della terra, che hai nascosto queste cose ai dotti e ai sapienti e le hai rivelate ai piccoli. Sì, Padre, perché così a te è piaciuto” (Lc 10, 21). Lo ha detto solennemente Gesù, eppure, in molti casi, quasi ovunque, nelle chiese, sono i dotti e i sapienti che dettano legge. Al punto di trasformare in nuove leggi, in questo modo travisandola, quella che era la buona, gioiosa notizia, recata, anzi incarnata, da Gesù. Buona notizia che dice l’amore incondizionato del Padre, che i suoi (le sue chiese, perciò) dovrebbero testimoniare e vivere. Ciò che portò Gesù a prorompere in questa preghiera fu proprio l’aver visto i suoi, piccoli, poveri, ignoranti discepoli, durante la missione a cui li aveva inviati, riproporre i segni che caratterizzavano la sua azione: prendersi cura dei malati e liberare, chi ne era posseduto, dallo spirito di divisione, dalla logica del potere, dall’asservimento al padre della menzogna, della violenza, della prevaricazione (cf Lc 10, 9. 17). Tutto questo, nel Suo nome, senza altro fine che quello di confessare la verità del Dio-che-salva. Questo è il ciò che basta della rivelazione, che tutti possono intendere e sperimentare, ciò che ci fa entrare nella vita di Dio, nello spazio in cui si esercita la sua regalità, che tutto e tutti abbraccia. L’Avvento vuole riportarci a questa semplice verità. Come condizione del nostro incontro con l’Atteso.

La memoria di oggi cadrebbe in realtà due giorni fa. Se la mettiamo qui, è solo per darle un rilievo maggiore, dato che oggi abbiamo un po’ più di spazio. Noi ricordiamo Ivan Illich, profeta della speranza. Lui avrebbe detto “uomo epimeteico”. Che è la stessa cosa, solo un po’ più difficile.

Ivan Illich era nato a Vienna il 4 settembre 1926 da padre croato e cattolico, e da madre ebrea sefardita. Nel 1941, a causa delle leggi razziali, con la famiglia lasciò l’Austria e si trasferì a Firenze, dove completò gli studi e dove maturò la vocazione al sacerdozio. Dopo gli studi teologici all’Università Gregoriana, fu ordinato prete nel 1951. Assegnato alla diocesi di New York, svolse per alcuni anni il suo ministero in una parrocchia a forte presenza di immigrati portoricani. Amico di Erich Fromm e di Jacques Maritain, nel 1956 fu nominato prorettore dell’Università Cattolica di Portorico, incarico che dovette lasciare nel 1960 per le crescenti incomprensioni con la gerarchia cattolica locale, incapace di una vera inculturazione in una società latinoamericana come quella portoricana. Nel 1961 creò a Cuernavaca, in Messico, il Centro Interculturale di Documentazione (CIDOC), con la finalità di meglio preparare i preti destinati alle missioni in America latina. Illich fu giudice sufficientemente severo per rimandarne a casa la metà, giudicandoli incapaci di rinunciare alla cultura consumista della società industriale nordamericana. Partendo da un’ispirazione radicalmente cristiana, denunciò con convinzione la politica colonialista dell’Occidente. Nel 1968, Illich venne chiamato a Roma per rispondere a un processo intentatogli dal Sant’Uffizio, a causa di alcune sue critiche all’istituzione. Benché ne uscisse prosciolto, nel febbraio del 1969 lo stesso dicastero romano vietò ai preti di seguire i corsi del CIDOC. Due mesi dopo, in una lettera aperta pubblicata dal New York Times, Illich rendeva pubblica la sua rinuncia a tutti i suoi titoli, benefici e servizi ecclesiastici. Non chiese la riduzione allo stato laicale. Restò prete incardinato nella diocesi di New York, conservando l’impegno alla preghiera quotidiana del breviario e mantenendo in tutti gli anni seguenti, fino alla morte, una fortissima tensione morale e religiosa. Dal 1980, Illich fece molti viaggi, dividendo il proprio tempo tra gli Stati Uniti, il Messico, e la Germania, denunciando il neopaganesimo nostro contemporaneo “che ha trasformato la persona umana, creata a immagine e somiglianza di Dio, in un essere larvale pieno di bisogni decisi e risolti da esecutori di regolamenti e da tecnostrutture” e additando la necessità di una profonda deistituzionalizzazione della società e di una decrescita economica, in vista di una ritrovata convivialità. Colpito da un tumore al volto, che lo tormentò per quasi vent’anni, preferì cercare di curarlo con metodi tradizionali, senza successo. Morì il 2 dicembre 2002, al suo tavolo di lavoro. Ad un amico che poco tempo prima gli aveva chiesto a bruciapelo: “Ivan, credi in Dio?”, aveva risposto: “Dio danza sul mio naso, da sempre. Se non credessi in Dio niente nella mia vita avrebbe senso”.

I testi che la liturgia odierna propone alla nostra riflessione sono tratti da:
Profezia di Isaia, cap.11, 1-10; Salmo 72; Vangelo di Luca, cap.10, 21-24.

La preghiera del martedì è in comunione con le religioni tradizionali africane.

È tutto, per stasera. Noi ci si congeda, lasciandovi ad una citazione di Ivan Illich, tratta dal suo libro “La convivialità” (Boroli Editore). Che è, per oggi, il nostro

PENSIERO DEL GIORNO
L’uomo non vive soltanto di beni e di servizi, ma della libertà di modellare gli oggetti che gli stanno attorno, di conformarli al suo gusto, di servirsene con gli altri e per gli altri. Nei paesi ricchi, i carcerati dispongono spesso di beni e servizi in quantità maggiore delle loro famiglie, ma non hanno voce in capitolo riguardo al come le cose sono fatte, né diritto di interloquire sull’uso che se ne fa: degradati al rango di consumatori-utenti allo stato puro, sono privi di convivialità. Intendo per convivialità il contrario della produttività industriale. Ognuno di noi si definisce nel rapporto con gli altri e con l’ambiente e per la struttura di fondo degli strumenti che utilizza. Questi strumenti si possono ordinare in una serie continua avente a un estremo lo strumento dominante e all’estremo opposto lo strumento conviviale: il passaggio dalla produttività alla convivialità è il passaggio dalla ripetizione della carenza alla spontaneità del dono. Il rapporto industriale è riflesso condizionato, risposta stereotipa dell’individuo ai messaggi emessi da un altro utente, che egli non conoscerà mai, o da un ambiente artificiale, che mai comprenderà; il rapporto conviviale, sempre nuovo, è opera di persone che partecipano alla creazione della vita sociale. Passare dalla produttività alla convivialità significa sostituire a un valore tecnico un valore etico, a un valore materializzato un valore realizzato. La convivialità è la libertà individuale realizzata nel rapporto di produzione in seno a una società dotata di strumenti efficaci. Quando una società, qualunque essa sia, reprime la convivialità al di sotto di un certo livello, diventa preda della carenza; infatti nessuna ipertrofia della produttività riuscirà mai a soddisfare i bisogni creati e moltiplicati a gara. (Ivan Illich, La convivialità).

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 04 Dicembre 2018ultima modifica: 2018-12-04T22:36:49+01:00da fraternidade
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