Giorno per giorno – 14 Novembre 2018

Carissimi,
“Uno di loro, vedendosi guarito, tornò indietro lodando Dio a gran voce; e si gettò ai piedi di Gesù per ringraziarlo. Era un Samaritano. Ma Gesù osservò: Non sono stati guariti tutti e dieci? E gli altri nove dove sono? Non si è trovato chi tornasse a render gloria a Dio, all’infuori di questo straniero? E gli disse: Alzati e và; la tua fede ti ha salvato!” (Lc 17, 15-19). Dieci era tradizionalmente, nella cultura ebraica, il numero che designa la comunità. Se fosse così anche nel racconto di oggi, si tratterebbe di una comunità lebbrosa, cioè, secondo la Legge, peccatrice, bisognosa di una salvezza dell’intero, che non è a portata di mano. Siamo dunque anche noi, ci dicevamo stamattina. Come ogni altra comunità umana, che abbia o no coscienza della separatezza in cui vive. L’incontro con Gesù segnala questo primo prendere coscienza, espresso dal grido comune: “Gesù maestro, abbi pietà di noi”. Gesù rinvia all’istituzione, custode di quella Legge, che era stata data all’inizio per dire l’univoca volontà di salvezza di Dio, inteso come primo principio, ma che nel tempo si era corrotta e, divenendo essa stessa lebbrosa, aveva disegnato spazi separati, variamente coniugati e giustificati, di quella salvezza. Nel viaggio verso la città santa, i dieci si vedono guariti. Ma solo uno, più escluso tra gli esclusi, ritorna a Gesù, per fare della sua guarigione occasione di rendimento di grazie e insieme di iniziazione su ciò che significhi “fede che salva”: fare della propria vita, non l’espressione di un quand’anche apparentemente santo egoismo della salvezza, che ci separa dagli altri, ma la disponibilità a ridire nella propria vita la guarigione-inclusione-accoglienza di quanti fanno l’esperienza dell’esclusione. Noi siamo questa porta aperta o espressione di una rocca chiusa in se stessa?

Oggi ricordiamo Gregorio Palamas, mistico esicasta.

Gregorio nacque a Costantinopoli l’11 novembre 1296. A vent’anni, assieme ai fratelli Macario e Teodosio, si fece monaco sul Monte Athos, divenendo in seguito abate del monastero di Esfigmenou. Il suo radicalismo e il rigore nelle pratiche ascetiche lo resero però ben presto inviso ai suoi monaci, che preferivano di gran lunga una vita tranquilla e senza troppe pretese. Dato che come spesso accade, la moneta cattiva scaccia quella buona, anche Gregorio fu cacciato dal monastero. Ma non tutto il male viene per nuocere. Recatosi a Salonicco, potè impegnarsi meglio nella sua battaglia a favore della dottrina mistica dell’ “esicasmo” (la ricerca dell’unione con Dio attraverso la preghiera incessante). Ebbe il tempo di farsi scomunicare come eretico e mandare in esilio. Ma poi con l’appoggio insperato dei suoi antichi confratelli, fu richiamato in patria e eletto arcivescovo di quella città (1347). Da allora la sua diverrà dottrina ufficiale della Chiesa bizantina. Contro ogni pericoloso panteismo, ma anche contro ogni dualismo che contrapponga spirito e materia, Gregorio affermò che lo spirito umano è radicalmente differente da Dio, tanto quanto il corpo: ma Dio, concedendo la sua grazia, salva l’intero essere umano, la sua anima e il suo corpo. Questa grazia e salvezza non si situa fuori della storia, ma agisce già qui e adesso, in un’escatologia realizzata, che ci permette di rifare l’esperienza degli apostoli sul Tabor. Ogni cristiano, indipendentemente dal fatto che sia uomo o donna, laico o consacrato, coniugato o celibe (dato che, come sosteneva san Simeone il nuovo Teologo, “la vita più alta è lo stato a cui Dio chiama ciascuno personalmente”), per raggiungere tale condizione escatologica nel divenire esistenziale dopo il battesimo, deve alimentare incessantemente la propria quotidianità con la pratica sacramentale ed ascetica ed essere così perennemente in comunione con Cristo. Questo il senso anche della “preghiera del Nome”, la ripetizione incessante del nome di Gesù, propria della tradizione esicasta. Gregorio morì il 14 novembre 1359. Fu canonizzato dal patriarca ecumenico Filoteo nel 1368.

I testi che la liturgia del giorno propone alla nostra riflessione sono tratti da:
Lettera a Tito, cap.3, 1-7; Salmo 23; Vangelo di Luca, cap.17, 11-19.

La preghiera del mercoledì è in comunione con quanti ricercano l’Assoluto della loro vita nella testimonianza per la pace, la fraternità e la giustizia.

Oggi ricordiamo il compleanno di due persone che, per diversi motivi, ci sono care: il nostro vecchio Pedro Recroix, e padre Pedro Arrupe. Entrambi lo festeggiano in cielo, loro così diversi, a testimonianza della fantasia di Dio. Di padre Pedro, che aveva fatto sua la preghiera incessante del nome, ci chiediamo se avesse mai saputo di essere nato il giorno in cui le Chiese orientali fanno memoria del santo che ne fu propogatore, come in una sorta di passaggio del testimone. Di Pedro Arrupe vogliamo ricordare ciò che aveva scritto un giorno: “Niente deve importare di più che incontrare Dio, vale a dire, innamorarsi di lui in maniera definitiva e assoluta. Ciò di cui ti innamori afferra la tua immaginazione e finisce per lasciare tracce in tutto. Sarà esso che decide ciò che ti scuote fin dal momento dell’alzata, e quello con cui riempi le tue serate, e spendi i tuoi fine-settimana, e ciò che leggi, quello che conosci, ciò che muove il tuo cuore e ti riempie di gioia e di gratitudine. Innamórati! Rimani nell’amore. Tutto sarà diverso”. Vorremmo fosse vero anche per tutti noi. Ciascuno a modo suo.

E, per stasera, è tutto. Noi ci si congeda qui, offrendovi in lettura una citazione di Pedro Arrupe, tratta da una conferenza tenuta a Valencia il 31 luglio 1973, con il titolo “Uomini per gli altri”. Ed è, per oggi, il nostro

PENSIERO DEL GIORNO
Come l’amore di Dio e l’amore degli uomini si fondano insieme nell’insegnamento di Cristo, così anche si fondono e praticamente si identificano l’amore e la giustizia. “L’amore implica un’assoluta esigenza di giustizia, ossia il riconoscimento della dignità e dei diritti del prossimo” (Sinodo dei Vescovi 1971 su “La giustizia nel mondo”). Come si può amare ed insieme essere ingiusti con la persona che si ama? Sottrarre la giustizia all’amore significa distruggere quest’ultimo nella sua stessa essenza. Non c’è amore, se non si considera e non si riconosce l’amato come persona, rispettandolo nella sua dignità con tutto ciò che essa esige. Anche applicando il concetto romano di giustizia, di dare a ciascuno ciò che gli è dovuto, un cristiano non può non dirsi debitore di amore verso tutti gli uomini, compresi i nemici. “Non abbiate verso alcuno debito di sorta, scrive San Paolo, eccetto quello di un mutuo amore” (Rm 13, 10). Come non possiamo dire che amiamo Dio, se non amiamo l’uomo, così neppure possiamo dire che amiamo gli uomini, se il nostro amore non si trasforma in giustizia. E per giustizia si intende non il semplice “adempimento” di un dovere individuale, ma anzitutto un atteggiamento costante di rispetto per tutti gli uomini, non trattandoli da strumenti a proprio vantaggio; inoltre un impegno deciso di non profittare di situazioni di potere e di privilegio – a cui corrispondono altrettante forme di oppressione – ricordando che anche profittandone passivamente si diventa taciti complici dell’ingiustizia; e infine un comportamento non solo di condanna, ma anche di opposizione contro l’ingiustizia, pronti a collaborare per lo smantellamento delle strutture ingiuste, prendendo partito per i deboli, gli oppressi e gli emarginati. Questa giustizia attiva e liberatrice, che spinge a eliminare l’ingiustizia anzitutto dalla propria vita, non ha nulla che vedere con l’odio vendicativo di chi, sentendosi oppresso, reagisce contro l’oppressore. Chi pratica questo tipo di giustizia non ha nulla da guadagnare in questa vita, perché da una parte egli per primo dovrà privarsi dai vantaggi che permettono le strutture ingiuste, e dall’altra la sua solidarietà coi deboli gli attirerà, come a Cristo, la persecuzione dei potenti. È chiaro che nessuno può fare tutto questo, se non è sostenuto dall’amore, amore verso gli uomini e amore – tante volte anonimo – verso Dio. (Pedro Arrupe sj, Uomini per gli altri).

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 14 Novembre 2018ultima modifica: 2018-11-14T22:21:45+01:00da fraternidade
Reposta per primo quest’articolo