Giorno per giorno – 06 Novembre 2018

Carissimi,
“Un uomo diede una grande cena e fece molti inviti. All’ora della cena, mandò il suo servo a dire agli invitati: Venite, è pronto. Ma tutti, all’unanimità, cominciarono a scusarsi” (Lc 14, 16-18). La parabola che Gesù racconta è in risposta al commensale che, durante il pranzo a casa del fariseo (una qualunque delle nostre comunità), aveva esclamato: “Beato chi mangerà il pane nel regno di Dio!” (v. 15). Essa vuole spiegare perché il regno di Dio tardi ad accadere. Il fatto è che gli invitati, coloro, cioè, che hanno ricevuto la buona notizia (evangelo) della sua convocazione, accampano scuse per non parteciparvi, dato che ritengono altri impegni, che riguardano la sfera dell’economia o degli affetti, più interessanti o urgenti. L’insegnamento di Gesù proponeva invece la priorità su ogni altra cosa della testimonianza del Regno: “Non cercate che cosa mangerete e berrete, e non state con l’animo in ansia: di tutte queste cose si preoccupa la gente del mondo; ma il Padre vostro sa che ne avete bisogno. Cercate piuttosto il regno di Dio, e queste cose vi saranno date in aggiunta” (Lc 12, 29-31). Di fronte al nostro rifiuto, che smentisce la nostra qualifica di testimoni, Dio butta, per così dire, a mare le sue chiese (le chiese del rifiuto) e convoca direttamente, senza più intermediari, i “poveri, storpi, ciechi e zoppi” (v. 21), i senza voce, senza diritti, senza sorte, che poi dovevano essere i destinatari ultimi di quella festa, e pronuncia con amarezza la sua sentenza: “Nessuno di quegli uomini che erano stati invitati assaggerà la mia cena” (v. 24). Che, a veder bene, è ciò che sta già accadendo in comunità che continuano a dirsi cristiane, pur essendo al servizio dell’idolo della ricchezza e dell’accumulazione. Già scomunicate da Dio in persona.

Oggi il calendario ci porta le memorie di Piccola sorella Magdeleine de Jésus, contemplativa tra i poveri, e di Marcel Légaut, cristiano libero e appassionato di Gesù.

Magdeleine Hutin era nata a Parigi, il 26 aprile 1898, in una famiglia originaria della Lorena, a pochi chilometri dalla frontiera con la Germania. La Guerra del 15-18 aveva avuto pesanti conseguenze sulla sua famiglia: la nonna uccisa, due fratelli morti al fronte, la sorella uccisa dall’epidemia di spagnola, lei stessa colpita da una pleurite tubercolosa. Restata sola con i genitori, nonostante tutte le sofferenze che avrebbero potuto schiacciarla, scelse di vivere, coraggiosamente e alla grande. Cioè, secondo il Vangelo, da piccola, piccolissima. Sognava di recarsi in Africa, quando s’imbattè in una vita di Charles de Foucauld, pubblicata nel 1921. Di quella lettura dirà poi: “Mi resi conto che tutte le idee che avevo da così tanto tempo, qualcuno le aveva avute prima di me, e ho pensato che non dovevo far altro che seguire le sue tracce, lasciandomi condurre da lui”. La salute malferma tuttavia non le lasciava troppe speranze, finché il medico un giorno le disse che solo un clima secco poteva darle qualche speranza di guarire. Fu così che con una compagna, Anna, decise di partire per l’Algeria. Nel 1938 incontrò per la prima volta il p. René Voillaume, che pochi anni prima aveva fondato, nel Sahara, la fraternità dei piccoli fratelli di Gesù, che si rifanno alla spiritualità foucauldiana. E, di lì a poco, l’8 settembre 1939, Magdeleine fonderà la Fraternità delle piccole sorelle di Gesù, a Touggourt (Algeria), seguendo la stessa ispirazione. Ciò che maggiormente colpiva in Magdeleine era l’amore ardente che la spingeva instancabilmente all’incontro con i più poveri, i più abbandonati del mondo, per comunicar loro, attraverso la sua amicizia, qualcosa della tenerezza di Dio. Lasciò scritto: “Dio mi ha preso per mano ed io l’ho seguito ciecamente…. Sempre, fin dal primo istante, il Signore mi ha dato una fede pazza, quella fede che Lui aveva promesso di ricompensare spostando montagne”. Magdeleine morì il 6 novembre 1989.

Marcel Légaut nacque a Parigi nel 1900. Professore associato all’Ecole Normale supérieure e dottore in matematica, insegnò alle università di Rennes e di Lyon, animando nello stesso tempo numerosi gruppi di spiritualità nell’ambiente universitario, in un periodo segnato da incontri decisivi per la sua vita, quelli con padre Portal, Gabriel Marcel, Teilhard de Chardin… Segnato profondamente dallo scoppio della Seconda Guerra Mondiale, a quarant’anni, decise di abbandonare l’università, per trasferirisi con la moglie appena sposata a vivere un’esistenza da contadini e allevatori in in una località isolata dello Haut-Diois. Questo isolamento gli permise, durante il periodo bellico, di prestare soccorso a rifugiati, ebrei, disertori e renitenti. Associando il lavoro manuale all’ufficio di padre di famiglia (dalla coppia nacquero sei figli), continuò lungo gli anni una ricerca spirituale esigente e profonda, a cui spesso si affiancarono alcuni amici che raggiungevano la famiglia in estate nella frazione in cui abitava e che si ritroveranno con lui, una volta pensionato, a Mirmande, nella sede dell’Associazione culturale che porta oggi il suo nome. A vent’anni da quella scelta, Marcel Légaut sentì l’esigenza di raccontare e testimoniare ciò che viveva. Nacquero così i libri, una ventina di titoli, che vennero via via descrivendo il suo itinerario di uomo libero. Tra essi: “Lavoro della fede” (1962), “La realizzazione umana”, diviso poi in due volumi “L’uomo alla ricerca della sua umanità” (1971) e “Introduzione all’intelligenza del passato e dell’avvenire del cristianesimo” (1970). E poi ancora: “Cambiamento della Chiesa e conversione personale” (1975), “Pazienza e passione di un credente” (1978), “Divenire se stessi” (1980), “Preghiere d’uomo” (1978). Confessò: “Tutta la mia vita, ho cercato di conoscere Gesù, di raggiungerlo. Mi avevano parlato di lui ed io ho cercato di comprenderlo con la mia intelligenza. Ero commosso e attratto dall’immagine che avevo di lui. È così che sono stato condotto a una conoscenza di Gesù che è la comunione del mio essere con il suo essere”. Chiamò la Chiesa: “Mia madre e mia croce”. Morì il 6 Novembre 1990.

I testi che la liturgia odierna propone alla nostra riflessione sono tratti da:
Lettera ai Filippesi, cap.2, 5-11; Salmo 22; Vangelo di Luca, cap.14, 15-24.

La preghiera del martedì è in comunione con le religioni tradizionali del Continente africano.

A partire da oggi, e per cinque giorni (gli ultimi tre del mese lunare di Āshwin e i primi due di quello Kārtik), tutte le religioni dell’India – incluse le minoranze di giainisti e sikh (pur variando per queste il significato) – celebrano la loro maggior festa, Diwali (o Dipavali, “Fila di lampade”). Gli indú ricordano con essa il ritorno di Rama (considerato un avatāra di Vishnu), nella città di Ayodhya, capitale del suo regno, dopo la sconfitta inferta al re di Lanka Ravana, che gli aveva rapito la moglie Sita. Diwali vuole affermare il trionfo della luce sulle tenebre, della vita sulla morte, della veritá sulla menzogna e ha, in questo senso, un significato universale. Ce n’è di bisogno un po’ ovunque.

È tutto, per stasera. Nel congedarci, scegliamo di proporvi una poesia di Marcel Légaut, che dice tutta la povertà e la grandezza dell’essere umano. La troviamo riportata nel sito dell’Association Culturelle Marcel Légaut ed è, per oggi, il nostro

PENSIERO DEL GIORNO
Minuscoli ed effimeri ma necessari, / sepolti nell’immensità ma coscienti, / perduti nell’innumerevole ma unici. // Impastati di complessità ma ancora essenzialmente semplici, / limitati su tutti i lati ma in sé propriamente mistero, / incompiuti per natura, ma potenzialmente in grado di realizzarsi. // Consegnati alle leggi della materia e della vita, / vincolati irrimediabilmente alle cadenze di tempi e luoghi, / ma liberi e responsabili nel centro del nostro essere, // Soggetti alla disgrazia, / votati alla morte, / ma chiamati ad essere. // Solitari tra i solitari / che procedono fianco a fianco più di quanto si conoscano, / ma sulla via dell’unità. // Improbabili dalla nascita, / sempre più improbabili nella crescita, / brancolando di fronte all’inestricabile, / inciampando di fronte all’impossibile, / costantemente inclini al meno essere, / per fede e fedeltà, / esistiamo nella stabilità, / in mezzo a tutto ciò che si dissipa, / diventiamo sicuri, in mezzo a tutto ciò che si corrompe. // Eredi di un travaglio immenso, / visitati da ciò che ci chiama, / al di là di ciò che s’impone, / spinti, sollevati, sollecitati, / elevati sopra noi stessi, / emergendo dalla schiavitù, / raggiungendo la libertà, / operai del futuro infinito di Dio, / di chi siamo e diventiamo, / che, solo da sempre, è stato, è e diventa. // Qualunque sia il nostro destino, / anche miserabile, perfino tragico, / quando saremo puramente noi stessi, / al nostro posto nel reale, / al di là del fare e dell’apparire, / fuori di piaceri e sofferenze, / desideri e progetti, / preoccupazioni e ansie, / condivideremo la gioia di essere, / con tutti i viventi, / che oltrepassano l’appetito di vivere, / questi echi in loro di Dio / che, solo da sempre, è stato, è e diventa. // Per crederlo in verità, / nonostante tutto ciò che lo nega, / possiamo avere la forza / di portare, / rimanendo presenti a noi stessi, / le nostre miserie in dignità, / la nostra grandezza malgrado le nostre povertà, / il nostro essere in divenire nella sua autonomia, / nel cuore delle contingenze per tutta la vita. // Possa la nostra fede, nella sua nudità, / per il suo radicamento in noi, / prevalere sulla nostra cecità. // Possa la nostra fedeltà, nella sua tenacia, / per la sua azione su di noi, / permettere di essere, / con tutti quelli che sono, / sotto l’azione di Dio / che, solo da sempre, è stato, è e diventa. (Marcel Legaut, Infimes).

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 06 Novembre 2018ultima modifica: 2018-11-06T22:00:07+01:00da fraternidade
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