Giorno per giorno – 13 Agosto 2018

Carissimi,
“Gesù disse: Che cosa ti pare, Simone? I re di questa terra da chi riscuotono le tasse e i tributi? Dai propri figli o dagli altri? Rispose: Dagli estranei. E Gesù: Quindi i figli sono esenti. Ma perché non si scandalizzino, và al mare, getta l’amo e il primo pesce che viene prendilo, aprigli la bocca e vi troverai una moneta d’argento. Prendila e consegnala a loro per me e per te (Mt 17, 25-27). L’intervento di Gesù era in risposta alla domanda rivolta a Pietro dagli esattori del tempio se egli pagasse il tributo (del valore di due giornate lavorative), che ogni ebreo con più di ventanni doveva versare annualmente “per il servizio della casa di Dio” (Ne 10, 33). Il racconto intende affrontare il tema della libertà con cui i discepoli sono chiamati a vivere la loro relazione con le istituzioni e le loro leggi. Il centro focale della risposta sta in quel “perché non si scandalizzino”, immediata conseguenza della parola che dice: “Non abbiate alcun debito con nessuno, se non quello di un amore vicendevole; perché chi ama il suo simile ha adempiuto la legge” (Rm 13, 8). Questo è dunque il criterio dell’agire dei discepoli nelle scelte concrete che ciascuno è chiamato a compiere, tanto nella vita comunitaria quanto in quella civile. Espressione della cura dell’altro, della preoccupazione per il suo cammino di fede, anche solo nella semplice forma di fiducia nella vita, ci porta ogni volta a chiederci: questa mia scelta cosa rappresenterà per gli altri, ostacolerà o favorirà in loro il sentirsi accolti, rispettati, amati? Certo, questo avrà spesso un costo, e non è un caso che il brano segua immediatamente il secondo annuncio della passione, in cui Gesù avverte che “il Figlio dell’uomo verrà consegnato nelle mani degli uomini e lo uccideranno, ma il terzo giorno risorgerà” (v. 22-23). Il dono di sé a vantaggio degli altri comporta sempre in qualche modo una sorte di morte a se stessi, a cui rimanda anche l’immagine del pesce (immagine di Cristo, ma anche, a volerlo, di ognuno di noi), che Gesù manda Pietro a pescare, per trovare in esso il valore del tributo. Ne vale la pena?, ci si può chiedere a volte. E la risposta non può che essere di sì, anche se non sempre lo si capisce subito.

Il calendario ci segnala oggi le memorie di Nersēs Šnorhali, monaco e Katholicos degli armeni; Vladimir Solov’ev, mistico russo; Simon Pecke, missionario africano; e Yunus Emré, mistico islamico.

Nersēs era nato nel 1102 nel castello di Zovk in una famiglia che diede alla nazione armena un gran numero di principi e di ecclesiastici. Fratello minore del futuro Katholicos Grigoris III, compì con lui gli studi nel monastero di Karmir Vank’, ove in seguito restò come monaco, men¬tre il fratello maggiore, nel 1113, a soli quindici anni, veniva ordinato sacerdote dal Katho¬licos Basilio, loro parente, che intendeva prepararlo alla sua successione. Cosa che avvenne di lì a poco, alla morte improvvisa di questi. Quanto a Nersēs, dopo essere stato ordinato presbitero non ancora ventenne, fu chiamato dal fratello a svolgere le funzioni di segretario e, nel 1125, fu da lui consacrato vescovo. Uomo di vasta cultura, e di ancor più profonda spiritualità e di costumi ascetici, Nersēs fu soprannominato Šnorhali, che significa “grazioso”, a causa della dolcezza e dell’amabilità del suo carattere. Nel 1166 il fratello Grigoris decise di dimettersi dall’ufficio di Katholicos, chiamando Nersēs a succedergli. Nella Lettera Enciclica che il nuovo Katholicos rivolse agli Armeni in occasione della sua investitura, chiamò tutti, religiosi, vescovi, preti, nobili, militari, contadini, cittadini, uomini e donne, a prendere tutti parte alla riforma della Chiesa. Guidò la chiesa per dodici anni, con umiltà, fermezza e spirito di dialogo con tutti. Morì il 13 agosto 1173.

Vladimir Solov’ev nacque a Mosca, il 16 gennaio (28 gennaio, secondo il nostro calendario) 1853, e fu teologo, filosofo, mistico, poeta ed ecumenista. Riteneva che l’essenza del cristianesimo consistesse nell’unione di Dio e dell’uomo nel Verbo incarnato, ma che l’ortodossia avesse trascurato l’uomo e il cristianesimo occidentale avesse trascurato Dio. Fu profondamente convinto che il cattolicesimo romano e l’ortodossia erano rimasti misticamente uniti nonostante la divisione esteriore. Scomunicato dalla sua chiesa e abbandonato da quanti nella Chiesa cattolica ne avevano appoggiato la visione ecumenica e i progetti di riunificazione tra le Chiese, nei suoi ultimi scritti, segnati da un pessimismo che “solo la fede nelle promesse divine trattiene dal cadere nella disperazione”, presenta il sogno che un “piccolo resto” – formato da ortodossi, cattolici e riformati fedeli all’Evangelo e da ebrei ribelli al falso imperatore cristiano, riuniti tutti intorno al Cristo risorto – inauguri il regno millenario. Morì, il 31 luglio (13 agosto, secondo il nostro calendario) 1900, ricevendo i sacramenti della sua Chiesa, pregando in ebraico con i fratelli ebrei. Scrisse: “Lo spirito di Cristo muove gli atei quando lottano per la giustizia e la solidarietà universali”.

Simon Pecke, “Baba Simon”, era prete della diocesi di Douala, che nel 1959 si recò missionario nel nord del Camerun, tra i Kirdi. Padre Jacques Loew disse di lui: È l’uomo più straordinario che abbia incontrato, un vero san Paolo africano, una meravigliosa figura del cristianesimo eterno e africano al tempo stesso”. Morì il 13 agosto 1975.

Per Yunus Emré, causa e finalità di ogni esistenza è l’amore. È attraverso l’amore che possiamo raggiungere il Creatore. Scrisse: “Non sono qui sulla terra per combattere, / Amare è la missione della mia vita. / I cuori sono la casa dell’amato; / ed io sono giunto qui a edificare ogni cuore vero”. Yunus Emré nacque probabilmente nel 1240 e visse nella regione di Karaman (Larende), in Turchia. Appartenne ad una famiglia emigrata da Horasan al villaggio di Seyh Haci Ismail. Fu musico, poeta, derviscio errante, innamorato di Dio. Su lui fiorirono miriadi di leggende che dicono tutto l’affetto e la simpatia con cui la gente più umile del popolo guardò sempre a questa figura. Morì poco più che ottantenne, nel 1320.

I testi che la liturgia odierna propone alla nostra riflessione sono tratti da:
Profezia di Ezechiele, cap.1, 2-5.24-28c; Salmo 148; Vangelo di Matteo, cap.17, 22-27.

La preghiera di questo lunedì è in comunione con le religioni del subcontinente indiano: Vishnuismo, Shivaismo, Shaktismo.

Bene, noi ci si congeda qui, con il brano di una lettera di Baba Simon, che troviamo citata in Grégoire Cador, “Sulle orme di Fratel Carlo, Baba Simon sacerdote diocesano e fratello universale”, trascrizione degli Esercizi spirituali per le fraternità sacerdotale Jesus-Caritas d’Italia, Ascoli Piceno, Novembre 2003. È questo, per oggi, il nostro

PENSIERO DEL GIORNO
“Cammina alla mia presenza” lo sento più pressante quando mi sono sporcato, perché egli vuole lavarmi senza tardare, lui che è il solo santo. Così mi sono reso conto che, poiché Dio mi ha tessuto, conosce anche tutte le mie fibre. Non ce n’è dunque alcuna che egli non possa riparare, quando, con umiltà, gliela presento. I momenti più difficili sono quelli in cui si sente l’abbandono da parte di tutti, anche di Dio. Ma è proprio in quei momenti che mi viene alla mente la parola di Gesù sulla croce: “Padre mio, Padre mio”, seguito da un supremo e tranquillo atto di abbandono. Questo mi succede a volte, e, anche se spesso in ritardo, mi getto in Dio, il solo che può rendermi forte. (Baba Simon, Lettera a Annie Dufour, 21/11/1972).

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 13 Agosto 2018ultima modifica: 2018-08-13T23:13:37+02:00da fraternidade
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